Tra cambiamenti storici, utopie e proposte per il futuro, un'opportunità concreta per ristabilire pace e giustizia a livello mondiale, a partire dai valori cristiani della propria identità .
del 11 marzo 2008Un po’ di storia 
 
Nascere e crescere come cittadini italiani e, al contempo, europei è diventato per le nuove generazioni un dato di fatto, una realtà che trova la sua normale realizzazione giorno dopo giorno in un ambito politico, economico e sociale i cui limiti si estendono oltre i confini nazionali in modo del tutto naturale.
Tuttavia, il percorso che ha portato alla nascita dell’Unione Europea, iniziato negli anni ’40 e tuttora in atto, è caratterizzato da un’impronta rivoluzionaria: esso merita una pausa di riflessione, un’analisi che ne metta in evidenza la portata innovativa delle strutture in relazione alle motivazioni più profonde con le quali è stato concepito.
Dopo la caduta dell’impero romano, si affermano spinte unificatrici, in particolare nella prima parte del medioevo, che poggiano tutte sulla conservazione della vita, della cultura, delle forme di società fatte da strutture e realtà cristiane e sostenute dalle nuove forme imperiali. Tuttavia, dopo la morte di Carlomagno, si assiste ad una progressiva frammentazione della compagine europea, la quale – riconoscendosi nell’identità cristiana – risente dei vari conflitti disgreganti che nascono all’interno di essa. A questo declino progressivo dell’impero e ad una certa crisi dell’universalismo religioso si aggiungono spinte eterogenee: l’opposizione tra l’ovest marittimo e l’est continentale, l’invasione mongola, le differenze economico-culturali tra nord e sud, la nascita, tra le diverse popolazioni germaniche, dei primi stati… tutte cesure che frammentano l’Europa cristiana nella quale, tuttavia, rimane la matrice geo-storica da cui nascerà, molto più tardi l’Europa moderna.
Da questo punto in avanti, nonostante l’assenza di invasioni dall’esterno, l’Europa non cesserà di essere attraversata da guerre interminabili. Sorgono gli stati monarchici ed iniziano a formarsi gli apparati statali che costituiscono gli embrioni degli stati moderni. Crescono esponenzialmente le comunicazioni nel continente: commerciali, economiche, ma anche culturali, costituendo delle vere e proprie reti transeuropee che, tuttavia, preparano una frammentazione multiforme.
Le diverse monarchie si rafforzano sempre più e all’idea del loro prestigio si associa con preponderanza la minaccia che viene dall’esterno: la mancanza di una regolamentazione dei rapporti tra gli stati diventa presupposto per il mantenimento di una permanente tensione e minaccia bellica tra essi. Inoltre, maturando nei secoli l’idea di stato nazionale e della necessità della sua grandezza, prendono il via aggressive e violenti politiche coloniali che causano la distruzione di antiche civiltà, le deportazioni schiavistiche e l’impoverimento cronico di molte popolazioni.  Questa tendenza consolidata all’autoaffermazione trova nuova linfa nelle dittature del ‘900  – basate sul mito della nazione, sull’autarchia economica e sulla necessità dello “spazio vitale”- e nelle due guerre mondiali, sintomi di quell’anarchia consolidata nei rapporti internazionali che è stata punto di partenza per le deleterie scelte di politica estera delle nazioni europee.
 
 
Il Manifesto di Ventotene 
La presa di coscienza delle contraddizioni insite nelle ideologie nazionalistiche e nelle strutture statali vigenti, assieme alla proposta di una via alternativa per ricostruire la società moderna emergono con forza proprio nel periodo più drammatico della storia d’Europa.
Nel 1941, nel carcere di Ventotene - luogo di reclusione per gli oppositori del fascismo- tre intellettuali italiani redigono un documento illuminante non solo per la classe politica ma per un’intera società che, reduce dagli orrori della dittatura e della guerra, sente l’esigenza di costruire un futuro diverso.
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, tracciando un’analisi della storia passata e contemporanea d’Europa, giungono a teorizzare la necessità di una dimensione soprannazionale dei rapporti tra cittadini che, uscendo dai tradizionali e meschini parametri individualistici, veda nella pace e nel rispetto dei diritti umani i capisaldi delle scelte di ogni nazione in materia di politica estera, nell’ambito di un’organizzazione internazionale regolamentata e vincolante per i membri che ne fanno parte, in grado di legiferare e verificare l’applicazione delle proprie leggi, limitando la libertà nazionale in vista di un bene più grande.
 
 
Le posizioni di Jean Monnet 
Parallelamente all’esperienza di Ventotene e, ancora una volta, sulla scorta degli orrori della seconda guerra mondiale, si affermano le posizioni innovatrici di Jean Monnet, il quale porta avanti con determinazione la causa europeista sostenendo: “Non vi sarà pace in Europa, se gli stati si ricostituiranno sulla base della sovranità nazionale… I paesi d’Europa sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la prosperità e l’evoluzione sociale indispensabili. E’ necessario che gli stati europei si costituiscano in una federazione…”.
Monnet scorge con lungimiranza possibili nuove tensioni franco-tedesche a causa del controllo della Rurh, il bacino carbosiderurgico, ed elabora una proposta rivoluzionaria: la condivisione delle risorse di carbone e acciaio, regolamentata da un governo europeo: 'Accomunando le produzioni di base e istituendo un nuova Alta Autorità, le cui decisioni vincoleranno la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, questa proposta getterà le prime fondamenta concrete di una federazione europea indispensabile per preservare la pace'. Nacque così la CECA –Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio- grazie anche all’azione determinante di Robert Shumann, il quale si fece anche sostenitore della necessità di formulare una politica europea di difesa comune.
La complessità dell’obiettivo è palese, ma ne costituisce anche la fondamentale bellezza: la creazione di un sistema che renda impraticabile de facto la risoluzione violenta delle controversie tra gli stati e faccia, inoltre, dell’emancipazione dell’essere umano la propria ragione d’essere.
 
 
Perché non resti un bel sogno 
Affinché l’UE non diventi solo una scorciatoia per lo sviluppo economico e per l’espansione del mercato globale, ma cresca seguendo il sogno di chi per premo l’ha pensata, è necessario abbracciare e portare avanti un ideale internazionale ed interculturale mediante la formazione individuale, l’informazione e gesti concreti perché sono molti ancora i passi da compiere.
Un obiettivo su cui puntare è senza dubbio l’accrescimento del peso politico internazionale in modo da opporsi con efficacia ai conflitti armati e ai crimini contro l’umanità. A tal proposito risulta indispensabile rivoluzionare il rapporto con l’ONU. Infatti, nonostante la chiarezza inequivocabile del compito ad esso affidato, negli anni successivi alla costituzione delle  Nazioni Unite è stata a più riprese riscontrata la sostanziale inefficacia di tale istituzione nel tradurre in azioni concrete e decisive i propri obiettivi di salvaguardia dei diritti umani e di mantenimento della pace, un esempio importante è quello della guerra in Iraq. Questo avviene a causa dell’inadeguatezza della sua organizzazione: nel Consiglio di Sicurezza risiedono cinque membri permanenti (le nazioni che hanno vinto la seconda guerra mondiale) le quali possono bloccare le decisioni dell’Assemblea grazie al diritto di veto di cui ancora godono. Lo stesso impasse decisionale aveva caratterizzato la Società delle Nazioni di cui Monnet fu nominato segretario generale, e proprio questa sua esperienza costituisce un supporto indispensabile da cui partire per riformare l’ONU; Monnet affermò infatti “Il veto è la causa profonda nello stesso tempo il simbolo dell’impossibilità di superare gli egoismi nazionali”.  Si aggiunge che la politica estera in Europa rimane appannaggio dei governi nazionali, mancano influenti prese di posizione unitarie e ciò comporta un peso politico limitato nei confronti dei paesi più forti.
Occorre insistere con la richiesta di una profonda democratizzazione delle Nazioni Unite: è auspicabile la formazione di un’assemblea di tipo parlamentare, liberamente eletta e a cui partecipino le grandi compagini mondiali  per decidere a prescindere dalla volontà e dall’interesse del singolo stato, prendendo in considerazione i bisogni di tutta l’umanità e attribuendo a ciascun paese e a ciascun popolo pari dignità.
 
Con la prospettiva di un avvenire di giustizia e pace mondiali, ogni cittadino europeo deve portare avanti in modo consapevole il cammino già iniziato, riconoscendo che “ La federazione Europea è l’unica garanzia che i rapporti con i popoli (…) possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo (…). Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi (…)”.*
 
La bandiera dell'Europa raffigura dodici stelle dorate disposte in cerchio su campo blu.
Anche se la bandiera viene comunemente associata all'Unione europea, venne inizialmente usata dal Consiglio d'Europa, ed è pensata per rappresentare l'intera Europa geografica e non una particolare organizzazione come la stessa Unione europea od il Consiglio d'Europa.
La bandiera venne inizialmente adottata dal Consiglio d'Europa l'8 dicembre 1955, su disegno suggerito dall'araldo capo irlandese. Il Consiglio d'Europa fin dall'inizio desiderò che venisse utilizzata da altre organizzazioni regionali che cercavano l'integrazione europea. La Comunità Europea la adottò il 26 maggio 1986.
Il numero di stelle sulla bandiera non è legato al numero di stati membri dell'UE, infatti non rappresentano gli stati ma è un simbolo antico di armonia e solidarietà a indicare appunto l'armonia e la solidarietà che vi deve essere tra i paesi europei.
La scelta della bandiera avvenne tramite un concorso che fu vinto dal disegnatore cattolico francese Arsène Heitz. Il significato della bandiera riprende un'immagine della devozione alla Madonna propria del dodicesimo capitolo dell'Apocalisse: 'Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle'.
 
 
L'inno europeo
 
Si tratta dell'inno non solo dell'Unione europea ma anche dell'Europa in generale. La melodia è quella della Nona Sinfonia, composta nel 1823 da Ludwig van Beethoven.
Per il movimento finale della sinfonia, Beethoven musicò l''Inno alla gioia' composto nel 1785 da Friedrich von Schiller. Il poema esprime la visione idealistica di Schiller sullo sviluppo di un legame di fratellanza fra gli uomini, visione condivisa da Beethoven.
Senza parole, con il linguaggio universale della musica, questo inno esprime gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall'Europa. Nel 1985 venne adottato dai capi di Stato e di governo dell'UE come inno ufficiale dell'Unione europea. Non intende sostituire gli inni nazionali degli Stati membri ma piuttosto celebrare i valori che essi condividono e la loro unità nella diversità.
 
 
Il motto: 'Unita nella diversità'
 
Il motto europeo è stato scelto in seguito ad un concorso organizzato da un gruppo di cittadini europei, al quale hanno partecipato 80.000 giovani di età compresa tra i 10 e i 20 anni.
 
(*Citazioni tratte dal: Manifesto di Ventotene, Spinelli, Rossi, Colorni, Hirschmann, Ventotene, agosto 1941)
   
Maddalena Marconato
Versione app: 3.26.4 (097816f)