Domenica 17 settembre, nel settimo anniversario della dedicazione della chiesa di Marango vicino a Caorle Venezia, è stata benedetta la nuova grande icona della “Madre di Dio di Marango”, scritta da Giovanna Faccincani, iconografa di Verona, discepola del maestro A. Stal'nov, dell'Accademia teologica di San Pietroburgo.Abbiamo ritenuto una cosa bella riportare alcune riflessioni di Giovanna per rendere ancora più significativo il suo servizio ai fratelli nella fede.
del 09 ottobre 2006
Giovanna, alcune delle tue opere più importanti si trovano in chiese e in comunità monastiche in Italia e all'estero. Ma perché dipingere icone nelle chiese in epoca post – moderna quando non solo si è dissolta l'arte figurativa ma stiamo perdendo in fretta anche il concetto stesso di persona?
 
Oggi c’è un grande desiderio di bellezza e l’icona ha in sé una bellezza pacificante che permette di entrare in relazione con Dio. C’è una grande difficoltà per l’arte contemporanea di trattare il sacro e soprattutto di comunicarlo. L’azione comunicativa dell’icona è fondamentale, soprattutto oggi che viviamo in un tempo segnato profondamente dal soggettivismo, dove ognuno esprime se stesso in modo tale che nessuno più lo capisce. L’icona è arte ecclesiale, comunionale, anonima. La bellezza dell’icona è ascesi verso Dio verso il Creatore che riporta a Lui sia chi esegue sia chi fruisce l’immagine in una unità dove è fondamentale il ruolo dell’autore come di coloro che completano l’opera con le loro preghiere e la loro fede.
 
L'icona non è scritta tuttavia in un linguaggio fin troppo semplice e ripetitivo come se avesse paura di affrontare forme e concetti nuovi?
L’icona è un linguaggio solo in apparenza semplice, ma in realtà è molto complesso perché è parola, rivelazione e memoria che non si può pensare slegato dalla teologia e dalla liturgia. Non si può capire in profondità un’icona al di fuori della Chiesa e del servizio liturgico. L’icona racconta ciò che si celebra nella liturgia. L’icona è realtà spirituale nel senso che tramite l’azione dello Spirito Santo ci parla di  Dio, ce lo ricorda, ce lo comunica e ci riporta a Lui. Credo che, anche se il valore della riscoperta dell’icona non sia stato ancora pienamente compreso, essa abbia un fondamentale ruolo nel dialogo ecumenico, e interconfessionale, possedendo un linguaggio che può essere compreso dai credenti di tutte le confessioni. L’icona è cristocentrica, basata sulla Parola di Dio e per questo esprime principi che sono patrimonio di tutti i cristiani.
 
E' vero che l'icona nasce non solo dalle capacità artistiche ma anche dalla preghiera?
 
Si. Questa è la mia ultima “preghiera” che ha preso forma e colore. Preghiera vissuta in comunione profonda con gli amici di Marango. L’icona è via di preghiera, è un dare forma e colore al mistero di Gesù, della Vergine, degli angeli, dei santi mediante un processo pittorico di illuminazione dei volti e dei corpi fino a renderli trasfigurati nella luce dello Spirito.
L’icona ci spinge ad anticipare nella nostra vita la trasfigurazione alla quale siamo chiamati per “riflettere come in uno specchio il volto di Dio”. E’ il volto del più bello tra i figli dell’uomo che si dona a te chiedendo solo di essere accolto, fino a farci diventare figli di Dio, uomini e donne a Sua somiglianza.
 
Qual'è, allora, il compito ecclesiale dell'iconografo?
 
La capacità di contemplare un’icona è dono gratuito che proviene da Dio e genera nell’uomo trasformazione, conversione. Compito dell’iconografo è proclamare il Regno di Dio attraverso la propria arte e aiutare la contemplazione perché  tutti possano avvicinarsi nello spazio più segreto della preghiera a Dio. Se ci lasciamo guardare dagli occhi delle icone, che parlano solo al cuore, se ci lasciamo toccare dal silenzio di Dio, impareremo a pregare senza troppo pensare, ad amare senza troppo ragionare nella continua ricerca del volto di Dio.
 
Vuoi descrivere brevemente il soggetto di questo tuo ultimo lavoro?
 
Si tratta dell’icona di Maria in trono con il Bambino tra i santi. La chiesa parrocchiale di Marango è dedicata a Maria, più precisamente al Nome di Maria. Si tratta di un’icona complessa, un’unica tavola in legno di tiglio suddivisa in cinque campiture. Al centro Maria assisa in trono con in braccio il figlio Gesù e ai lati San Giovanni Battista e San Marco; ai due lati del riquadro centrale quattro santi, San Francesco, Sant'Ignazio di Antiochia, San Benedetto e Santa Teresa di Gesù bambino. In alto l’Annunciazione e le Pie donne al sepolcro del Signore risorto.
 
Un lavoro molto complesso, dunque, che ti avrà occupata per molto tempo...
 
Questo lavoro mi ha impegnata per quasi due anni. Per poter dipingere un’immagine nuova come questa bisogna studiare a fondo il tema e i relativi canoni iconografici, trovare una moltitudine di modelli artistici affini, acquisirne le sottigliezze del linguaggio e della tecnica, così come approfondire l’agiografia, la teologia e la liturgia che la riguardano. Infine considerare il contesto storico e culturale che accoglierà l’immagine.
 
Probabilmente la conoscenza dei canoni iconografici e dei modelli artistici, come pure la necessaria competenza teologica e liturgica, non sono ancora sufficienti per creare un'icona...
 
L’icona prima di essere trasportata sulla tavola va generata nella preghiera e nel silenzio. Dipingere un’icona significa andare sempre più a fondo nella conoscenza e nell’incontro con il volto di Cristo. Come la parola della Scrittura poco alla volta ha la potenza di convertire la nostra vita, così l’amore per l’icona è stato per me una via privilegiata di incontro con il mistero di Cristo incarnato, morto, risorto e glorificato. Il senso di un'icona sta nella comunicazione di questa esperienza spirituale dalla quale è nata, esperienza resa possibile solo dallo Spirito Santo. La tecnica non basta, non è la perfezione estetica che fa l’icona; se mancano umiltà, amore e preghiera non si respira in essa il soffio dello Spirito. Ogni volta che affronto un nuovo lavoro sento tutta la mia piccolezza di fronte alla grandezza di ciò che devo dipingere e per me è fondamentale sentirmi sostenuta dalla preghiera di chi mi chiede di dipingere. Così come è stato nel caso specifico di questa tavola. E’ un continuo affidarsi al soffio dello Spirito perché possa illuminare il mio cuore e guidare la mia mano. Una  lunga gestazione interiore quindi, prima di uscire in colore e immagine, che partecipa della mia vita di sposa, madre, catechista.
 
Non è sempre facile conciliare questo lavoro che richiede silenzio, preghiera, raccoglimento con il ritmo incalzante della tua vita famigliare.
 
Sì, questa tavola è impastata della mia vita quotidiana e i miei figli sono cresciuti per quasi due anni in compagnia di Maria, di Cristo e di questi santi.
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