La chiamata di Dio

Le scelte di don Bosco sono dettate dagli appelli di Dio, Signore della storia. La situazione dei giovani poveri che incontra nella Torino degli anni '40 e '50, ma anche gli eventi ecclesiali, politico-sociali e le nuove leggi, stimolano e orientano operativamente la sua sensibilità educativa, il suo zelo pastorale, i suoi doni naturali e lo portano a operare un discernimento in funzione proattiva e preventiva.

La chiamata di Dio

da Teologo Borèl

del 09 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

  

          Nel cuore dell’Antico Testamento c’è una chiamata. La chiamata di Dio a Mosè, il giorno del roveto ardente. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello...» (Esodo 3,7-8).

«Ho osservato… ho udito… conosco… sono sceso per liberarlo». Sono i quattro verbi della paternità perfetta. Dio non abbandona i suoi figli. Don Bosco è stato chiamato per incarnare la paternità di Dio nel nostro tempo.

Un tempo di lacerazioni

          Don Bosco vive e opera in un periodo di rapide trasformazioni epocali. Questa transizione fu traumatica, soprattutto in ambito sociale ed ecclesiale. In particolare si accelerò il processo iniziato con i Lumi che mise fine alla societas cristiana, attraverso il trionfo delle ideologie agnostiche e anticristiane, la conclamata incompatibilità tra ragione-scienza e fede, la progressiva disaffezione dei ceti medi e popolari dalle istituzioni ecclesiali (più rapida in città, graduale nelle campagne). In Italia la questione romana aprì una grave lacerazione nell’animo dei credenti. Sotto la pressione dell’intellighenzia laica anticlericale e della borghesia imprenditoriale, che con l’arma dell’editoria orientava opinione pubblica e stili di vita, le nuove generazioni, formate in una scuola progressivamente agnostica, rimanevano disorientate, facile preda di idee e pratiche lontane dal costume cristiano. Nello stesso tempo si manifestavano povertà nuove, massicce migrazioni interne ed esterne, sradicamenti culturali, sfruttamento lavorativo e abbrutimento morale dei ceti più poveri.

Salvare i giovani

          Proprio questo contesto storico, questi traumi sociali e queste tensioni furono per don Bosco stimolo e occasione preziosa di discernimento della voce del Signore. Mentre altri polemizzavano, condannavano, si lamentavano della tristezza dei tempi egli, portato a percepire Dio presente e operante nella storia umana, formato a sentire se stesso come pastore chiamato a lavorare per la salvezza dell’umanità specialmente della gioventù, si immerge criticamente ma amorosamente e creativamente nel suo tempo, vivendone tutte le vicende con partecipazione spesso sofferta, pronto a dare la propria vita per la missione di cui si sentiva portatore, convinto che la grazia di Dio è più forte di ogni umano ostacolo e sostiene efficacemente chi lavora per diffondere nei cuori il Regno di Cristo.

          La situazione dei giovani poveri che incontra nella Torino degli anni ’40 e ’50, ma anche gli eventi ecclesiali, politico-sociali e le nuove leggi, stimolano e orientano operativamente la sua sensibilità educativa, il suo zelo pastorale, i suoi doni naturali e lo portano a operare un discernimento in funzione proattiva e preventiva.

          Cambieranno le situazioni nei decenni successivi, nuovi problemi sorgeranno, ma questo atteggiamento mentale e questa disposizione spirituale lo indurranno ad ampliare orizzonti, ad articolare opere e proposte, a moltiplicare iniziative, coinvolgendo schiere sempre più ampie di discepoli, sostenitori, benefattori e simpatizzanti. Così l’espressione “giovani poveri e abbandonati” acquisterà un significato sempre più vasto, non solo socio-economico, ma spirituale, culturale ed etico. 

«Tutto posso in chi mi dà la forza!»

          La sua modernità sta qui: non solo iniziative al passo con le esigenze e i gusti dei tempi e dei giovani, ma risposte tempestive ed efficaci (perché lungimiranti e frutto di discernimento e di genuina carità) a nuovi problemi, nuove sfide, nuovi bisogni, nuovi attacchi “satanici”, a partire da una fede granitica, da una speranza incrollabile, da una donazione assoluta a Dio e ai fratelli, da una libertà interiore frutto di purificazione e distacco da sé. Scriveva a un prete scoraggiato: «C’è da lavorare? Morrò sul campo del lavoro sicut bonus miles Christi. Sono buono a poco? Omnia possum in eo qui me confortat. Ci sono spine? Con le spine cangiate in fiori gli Angeli tesseranno per lei una corona in cielo. I tempi sono difficili? Furono sempre così, ma Dio non mancò mai del suo aiuto: Christus heri et hodie» (25 ottobre 1878, Ceria, Epistolario di S. Giovanni Bosco, III, 399).  

Per noi è una lezione di speranza e di coraggio, un invito a scuoterci e rinnovarci nella fedeltà e nell’impegno, e nella confidenza in Dio.

Pasqual Chavez Villanueva

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