Intervista al Card. Ravasi. Devo riconoscere che la cultura giovanile, il fenomeno direi anche sociale giovanile, non è di facile decifrazione. Perché ha al suo interno tutta una serie di contraddizioni. Sono da un lato fortemente individualisti però dall'altra parte seguono la massa, le mode di massa...
In Vaticano, si è aperta la plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, dedicata quest’anno alle “Culture giovanili emergenti”. Il presidente del dicastero, il cardinale Gianfranco Ravasi, ha posto una particolare cura nell’organizzazione di un avvenimento che intende stimolare la Chiesa a un nuovo e più attento ascolto dei giovani di oggi, dei loro linguaggi digitali e della cultura che da essi scaturisce.
Ho posto, io, delle domande ai giovani. Le ho messe in Rete, queste domande. Ho ricevuto una valanga di risposte, di reazioni. I nostri interlocutori non sono soltanto i mediatori della comunicazione – cioè i giornalisti – ma sono loro, i giovani. E loro non sono più lettori di quotidiani, non sono neppure grandi fruitori di televisione: sono soprattutto giovani fruitori del linguaggio virtuale. E devo dire che questo dialogo che è stato costruito ha – secondo me – un grande rilievo, soprattutto per noi, pastori. Perché ci fa capire che tante volte l’importanza che noi diamo ad alcuni temi non è parallela e condivisa da loro. Quindi, dobbiamo in qualche modo ascoltare di più la loro interrogazione. C’è anche una responsabilità da parte del mondo adulto, rispetto a questa frattura comunicativa che si è creata con i giovani, e parlo anche dell’ambiente ecclesiale…
Sicuramente. Io devo però subito dire e riconoscere che la cultura giovanile, il fenomeno direi anche sociale giovanile, non è di facile decifrazione. Perché ha al suo interno tutta una serie di contraddizioni. Sono, ad esempio, da un lato fortemente individualisti però dall’altra parte seguono la massa, le mode di massa. Sono da un lato fortemente – all'apparentenza – desiderosi di non avere vincoli di alcun genere – ad esempio dal punto di vista etico – e poi hanno un senso fortissimo dell’amicizia, della violazione del rapporto. Da un lato sono pronti, ad esempio, a celebrare la libertà assoluta e dall’altra parte seguono molti stereotipi, già dall’abbigliamento stesso. Sono un fenomeno molto complesso. E hanno dei linguaggi completamente nuovi: io ne voglio ricordare uno, a cui vorrei dare particolare rilievo, che è quello della musica. La loro musica che è diventato il maggior consumo in assoluto di forma culturale musicale. Proprio per tutte queste ragioni, io penso che sia indispensabile che noi adulti, noi generazioni precedenti, noi pastori anche, dobbiamo fare la fatica non di metterli sotto una sorta di microscopio, ma di entrare al loro livello e incominciare a sentire, un po’, com’è il battito della loro mente e del loro cuore. Quindi, più ascolto dei giovani ma anche più responsabilità ai giovani, anche nel mondo ecclesiale?
E' questa, forse, anche una delle questioni che bisogna aprire, perché da un lato noi abbiamo il compito di educarli, anche di guidarli, dall’altra parte però, proprio perché la comunità ecclesiale non è fatta solo della gerarchia – non è fatta solo degli anziani, come purtroppo accade spesso all’interno delle nostre chiese, non è fatta soltanto di un pubblico femminile di una certa età – abbiamo bisogno di richiamare questa presenza perché la Chiesa sia completa. Quindi, potremmo dire: obiettivo della plenaria è favorire un nuovo incontro tra i giovani e la Persona di Cristo, trovare nuovi linguaggi per annunciare la fede – se ne è parlato anche al recente Sinodo…
Il lavoro che noi stiamo facendo, che è un lavoro evidentemente prima di tutto di analisi, è soprattutto per proporre due percorsi. Il primo è quello dell’umanità: dare ai ragazzi ancora la consapevolezza che esistono dei grandi valori, e questi valori sono valori etici, culturali, spirituali in senso lato. E in secondo luogo, far capire loro il rilievo estremo che può avere proprio il cristianesimo. Quelli che in gualche modo reagiscono con me in chiave religiosa su un tema religioso, non su un tema etico-sociale generale, interloquiscono soprattutto parlando del fatto che noi preti non siamo più in grado di presentare loro così bene la figura di Cristo.
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