La Formazione Professionale: quando a penalizzare sono le regioni (1° parte)

Con l'innalzamento dell'obbligo a 16 anni molte amministrazioni regionali si sono lavate le mani. Abbandonando al suo destino una risorsa preziosa contro la dispersione scolastica

La Formazione Professionale: quando a penalizzare sono le regioni (1° parte)

da Attualità

del 26 settembre 2007

L'avvio del nuovo anno scolastico ha confermato l’allarme lanciato qualche mese dai Centri di formazione professionale: la fuga di una buona parte delle Regioni dai corsi triennali professionali, complice l’attivazione del nuovo obbligo d’istruzione fino ai 16 anni, varato nella Finanziaria 2007.

Un biennio che molte Regioni hanno inteso come esclusivamente «scolastico» e perciò – ignorando il passaggio in cui si parlava del mantenimento in questa fase dei percorsi professionali triennali avviati con i protocolli tra ministero e Regioni – se ne sono lavate le mani. È il caso della Toscana, della Sardegna, della Campania e delle Marche, che hanno delegato il tutto alla scuola. Risultato? Molti centri chiusi, personale a spasso e «soprattutto alcune migliaia di ragazzi costretti a stare ancora nella scuola per due anni alla stregua di un parcheggio» commenta don Mario Tonini, presidente nazionale della Cnos-fap, l’organizzazione che riunisce tutti i centri salesiani di formazione. Davvero sconcertante, anche perché obiettivo primario dell’innalzamento dell’obbligo d’istruzione è quello di combattere la dispersione scolastica, che nel nostro Paese si attesta intorno al 20,6%. Insomma tra i 18 e i 25 anni, un giovane su cinque ha soltanto la licenza media. Il risultato ottenuto è quello di «una situazione di disomogeneità e frantumazione», come ha sottolineato il presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco, durante la sua prolusione d’apertura del Consiglio permanente lo scorso 17 settembre. Uno scenario, che il presidente della Cei si augura possa essere superato.

Nella fotografia scattata dai Cfp compare anche una nutrita pattuglia di Regioni che pur mantenendo vivi percorsi formativi, li integrano con la scuola, lasciando di fatto la titolarità a quest’ultima. Accade in Calabria, Basilicata, Puglia, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e sono presenti anche in Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, sebbene in quest’ultime tre Regioni esistano pure perco rsi autonomi di formazione professionale. Esperienze che per lo meno lasciano uno spazio ai Centri, anche se «occorre stare attenti a non omologare i nostri percorsi formativi con quelli scolastici, salvaguardando al contrario la specificità dei percorsi stessi» avverte Michele Colasanto, presidente nazionale di Forma, la federazione che riunisce tutti i Centri di formazione professionale (Cfp).A sostenere la bandiera dei percorsi professionali autonomi, oltre alle tre Regioni già citate, sono rimaste Lombardia, Veneto, Lazio, Sicilia, Trentino Alto Adige, dove la tradizione di questo canale è molto più forte e radicata. Una situazione di profondo travaglio, che il mondo della formazione professionale affronta mantenendo vivo un dialogo con tutte le istituzioni in causa: ministeri della Pubblica Istruzione e del Lavoro da una parte, Regioni dall’altra. Una scelta che si basa sulla consapevolezza di poter offrire davvero un aiuto nell’obiettivo di portare i ragazzi al successo formativo. Una recente indagine condotta dall’Isfol, in collaborazione con lo Iard, ha evidenziato l’alto grado di soddisfazione dei giovani che hanno conseguito una qualifica professionale triennale: ben l’82%. E la stessa pubblicazione evidenzia come solo il 37% arrivi direttamente dalle medie, mentre il 58% degli iscritti provenga dalla scuola superiore, dopo un fallimento scolastico (la bocciatura o il ritiro in corso d’anno). Eppure «gran parte di questo 58% consegue una qualifica, dimostrando che si può essere rimotivati allo studio» sottolineano all’unisono i responsabili delle associazioni dei Cfp. Non solo: una percentuale del 15-20% del totale dei possessori di una qualifica professionale prosegue nel biennio superiore per conseguire il diploma di scuola superiore. Uno scenario il più delle volte sconosciuto o taciuto, mentre il mondo della formazione professionale continua a dover combattere contro stereotipi e pregiudizi. Come dimostrano l’indagine Isfol e una ricerca condotta dal Censis per conto del Cnos-fap. Nel mirino la scuola media e il passaggio dell’orientamento. Per l’Isfol un terzo degli studenti di terza media dice di non conoscere le finalità formative e gli sbocchi dei Cfp e coloro che affermano di conoscere il sistema «ne forniscono una rappresentazione spesso stereotipata, descrivendola come un percorso facile». Non meno sconsolante lo scenario descritto dalla ricerca promossa dal Cnos-fap: solo il 3,3% degli studenti delle medie dice di aver avuto notizie sul canale della formazione professionale in fase di orientamento post-licenza.

Sorprende constatare, invece, l’alta percentuale di giovani con qualifica contenti della scelta fatta e del percorso svolto, con un 82,8% di soddisfatti per il bagaglio di cultura generale ottenuto, come evidenzia la ricerca Cnos-fap e Censis. Segnali su cui riflettere.

Enrico Lenzi

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