Senza carità la missione diviene sterile. è tempo di una profonda riforma della Chiesa, di scelte profetiche nel segno dell'amore agli ultimi.
del 05 ottobre 2006
«È questa la nostra via: essere umane il più divinamente possibile ed essere religiose il più umanamente possibile». Sono parole della fondatrice delle Piccole sorelle, Magdaleine di Gesù, che prendo a commento del messaggio del Papa per la Giornata missionaria: «La carità, anima della missione». Piccola sorella Magdaleine, sulla scia di Charles de Foucauld, fonda numerose comunità: «Intimamente mischiate alla massa umana, come un lievito nella pasta. Siamo fatte per mescolarci alla folla, come Gesù sulle strade di Galilea». Negli anni Quaranta in Francia, qualcuno già cominciava a parlare di questo Paese come di una «terra di missione». Piccoli gruppi iniziavano esperienze coraggiose (ad esempio i preti operai), piccola sorella Magdaleine scelse la via dell’amore tra la gente. Questa donna aveva il coraggio della fede per denunciare una certa vita religiosa (e cristiana) dove la regola doveva essere rispettata, e non importava poi molto se i rapporti umani venivano mortificati: «…è desolante la formazione che a volte si dà. Viene demolito tutto l’umano... e l’umano è opera di Dio. Non si dice che è una colpa grave non amare i fratelli e si fa un affare di Stato dell’essersi serviti di un ago senza permesso... Sempre lo stesso errore che filtra il moscerino e ingoia il cammello».
Sono passati oltre sessant’anni, ma queste parole sono ancora una grande provocazione per noi missionari e per noi Chiesa italiana. Dobbiamo riconoscere che, dopo i decenni in cui l’impegno sociale dei cristiani è stato vissuto con intensità, anche se con il limite di essere stato a volte «ridotto a mera attività filantropica e sociale» (come scrive il Papa all’inizio del messaggio), si assiste oggi a una certa chiusura all’interno del mondo ecclesiale, a una rinuncia alla ricerca di vie nuove per evangelizzare e servire gli ultimi.
La Chiesa italiana insiste nel mettere la parrocchia al centro dell’attività missionaria, e promuove molte iniziative di servizio per le nuove povertà: ma quanto è grande l’impressione che moltissime di esse siano strutture ben organizzate, dove però manca l’anima, cioè «il fuoco della divina carità in grado di incendiare il mondo», come scrive il Papa. E anche tante opere, persino quelle in missione, sono apprezzate perché «funzionano» ma rischiano di non trasmettere l’essenziale. Mi diceva una giovane suora missionaria: «Il nostro ospedale funziona bene, è apprezzato, pulito e fornito di tutto, ma per fare questo si è sempre arrabbiate col personale locale perché non rispetta i nostri standard: alla fine che cosa passa? Che vogliamo loro bene? Che in noi arde un amore divino?».
Occorre una rinnovata riforma nella Chiesa per «essere umani il più divinamente possibile». Fondamentale è il continuo riferimento personale a Gesù. Ma questa riforma passa anche attraverso scelte ecclesiali coraggiose. Pongo alcune domande: quale segno profetico dell’amore di Cristo sono le comunità religiose oggi? Perché non si punta con coraggio a fraternità sacerdotali, privilegiando la testimonianza di vita all’efficienza? I missionari mentre fanno tante opere sociali, si domandano se queste sono segno della carità evangelica? E le famiglie educano i figli a scelte controcorrente rispetto al consumismo e all’individualismo?
Soprattutto resta la testimonianza personale di ogni cristiano: il primo vescovo della Guinea Bissau, mons. Settimio Ferrazzetta, viene ricordato da tutti (anche dai musulmani) come un «padre della patria»: non per il lebbrosario o le tante scuole da lui create,  ma per gli ultimi mesi della sua vita, passati, quand’era già malato, ad attraversare i fronti della guerra civile per tentare di riconciliare le parti. L’immagine di questo vecchio che sprofonda nel fango per incontrare il leader dei ribelli è per ogni guineense il segno più forte e credibile che Dio è amore.
Davide Sciocco
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