La leggenda del pianista che amava la vita

C'è quell'intervista, poi, quel sipario con l'ospite d'eccezione che può diventare un pezzo di storia...

La leggenda del pianista che amava la vita

 

Sanremo è Sanremo. In questa frase ci sono 66 anni di storia della musica e della televisione italiana. E la storia si scrive in tante, piccole ma indispensabili diapositive. C’è la canzone che non tramonterà mai, c’è il presentatore che resta nel cuore di tutti, c’è l’esibizione che ci ha fatto commuovere.

 

C’è quell’intervista, poi, quel sipario con l’ospite d’eccezione che può diventare un pezzo di storia, e allora sei fortunato se non te lo sei perso.

Io mi sento molto fortunata, perché qualche sera fa ero sul divano, a guardare Sanremo, quando sul palcoscenico è entrato Ezio Bosso. È arrivato sorridendo, emozionato e con gli occhi lucidi. Ha salutato calorosamente il pubblico che lo acclamava, e in quel momento io, e con me tantissimi altri italiani hanno cominciato a chiedersi chi fosse Ezio Bosso. Ma in quell’istante, ciò che più importava era che lui fosse lì, con un pianoforte accanto, segno delle sue vittorie, e seduto su una sedia che, seppure lo àncori saldamente a terra, non riesce a limitare i meravigliosi viaggi della sua mente.

 

Quando un uomo come Ezio Bosso parla, non c’è mai da attendersi che dica cose scontate. Non serve conoscere la sua storia per comprendere la sua genialità, la sua forza. Vederlo tremare, combattendo ogni singolo secondo con il suo corpo, così insignificante e limitato per una mente grandiosa come la sua, equivale a vedere vincere la determinazione e la forza della creatività su un destino atroce, che si illudeva di averlo condannato ad una vita limitata e limitante.

E invece no, Ezio non ci sta: la sua terapia è la musica, il grande amore della sua vita.

“La musica siamo noi, è una fortuna che condividiamo. Noi mettiamo le mani, ma ci insegna la cosa più importante che esiste, ascoltare. La musica mi ha dato il dono dell’ubiquità, perché la musica che ho scritto è a Londra, e la suona, lì, un direttore bravissimo, mentre io sono qui”. Quanta genialità in queste frasi? Quanto è sorprendente rendersi conto che, mentre noi guardiamo l’orologio, ci sforziamo di essere puntuali, ci arrabbiamo se dobbiamo spostare un appuntamento, c’è un uomo, che probabilmente impiega gran parte del suo tempo a compiere gesti quotidiani, per noi banali, e che, nonostante tutto, si ritiene talmente fortunato da avere il dono dell’ubiquità?

 

Con le sue mani tremanti suona melodie incredibilmente perfette, in lui si concentrano tutti quelli che penseremmo essere dei controsensi. Un uomo che potrebbe essere arrabbiato con la vita, è in realtà innamorato di essa. Un uomo che potrebbe voler dimenticare, ci dice che, invece, tra le “stanze” della sua vita ama esplorare proprio quelle che gli piacciono di meno, perché non contengono ricordi felici. Un uomo che potrebbe portare rancore nei confronti di terzi, in realtà ci invita a “perdere pregiudizi, paure”, perché ciò ci spinge in alto, fino ad  ottenere quello che desideriamo. “Perdere ci insegna l’importanza di seguire”. È quando rischiamo di perdere qualcosa che ci premuriamo di tenerla d’occhio, è quando perdiamo qualcosa, che proviamo ad inseguirla, perché in quell’istante capiamo l’importanza di ciò che stiamo perdendo.

 

Quando un uomo come Ezio Bosso entra nelle case di milioni di italiani, quando li distrae dalla frivolezza di uno spettacolo televisivo e li trascina in un circolo di sensazioni, emozioni, e di profonda ammirazione, allora sì che possiamo dire di essere stati fortunati ad aver vissuto quella diapositiva di storia che ci ha insegnato a ricordare che “la musica, come la vita, si può fare solo in un modo, insieme”.

 

Rossella Angirillo

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