La pasqua: un mondo “nuovo”

Papa Benedetto XVI al convegno ecclesiale di Verona ha definito l'evento pasquale la più grande “mutazione” mai avvenuta. Si tratta di un “salto” decisivo e verso una dimensione di vita profondamente “nuova”. La chiesa accoglie i “doni” pasquali come alimento per la sua testimonianza e come “profezia” dei tempi “nuovi”.

La pasqua: un mondo “nuovo”

da Teologo Borèl

del 06 aprile 2007

Le donne che al mattino andarono in fretta al sepolcro avevano bisogno di vita e non si appellavano al Vivente: erano ancorate al triste passato, ad un amore deluso e ad una religiosità legata all’evidenza. Sono molteplici gli aromi con cui oggi si cerca di “imbalsamare” Gesù: la ragione chiusa al trascendente, la religiosità fai-da-te, la separazione tra fede e vita, la paura dell’identità cristiana, la presa di distanza (se non il rifiuto) dalla chiesa… Don Primo Mazzolari scriveva che «i morti vogliono la pietà, il vivente l’audacia».

 

La civiltà occidentale, le vuote ritualità omologanti e le superbie possono essere divenute il luogo in cui gli uomini hanno deposto Gesù. Urge risentire il messaggio dell’angelo: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo ?» (Lc 24,5). Di fronte al Bambino o al Crocifisso ci si può lasciare prendere dalla tenerezza e dalla compassione, ma di fronte all’annuncio del Risorto si accetta o si nega, ci si inginocchia o si va lontano. La pasqua è decisiva per ognuno ed è la scommessa che permette di superare la cultura della morte. Infatti il comandamento pasquale è: «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Lc 28,7). Se Cristo è il Risorto, è vera ogni sua parola, giusta la sua strada ed efficace ogni sua scelta.

 

 

Pasqua, “salto” decisivo        

 

Al convegno ecclesiale di Verona, Benedetto XVI ha svolto un’insuperabile catechesi pasquale, presentando la morte e la risurrezione di Cristo come mistero qualificante e cuore del cristianesimo, compimento sovrabbondante di tutte le profezie di salvezza, esplosione dell’amore, nuova dimensione della vita e della realtà, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, centro della predicazione e della testimonianza cristiana e anticipazione e pegno della nostra speranza.

 

Per il papa la risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia e tuttavia non è riducibile ad un semplice ritorno alla vita terrena: è invece la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova e l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo. La risurrezione di Cristo ha sciolto l’intreccio fino allora indissolubile del “muori e divieni”.

 

Il teologo D. Bonhoeffer considerava la risurrezione di Cristo il punto di appoggio per sollevare la terra e per cambiare la realtà, perché Gesù, dopo la risurrezione, non appartiene più al mondo percepibile, ma al mondo di Dio. Quindi, può vederlo solo colui al quale egli stesso lo concede in un coinvolgimento di cuore, spirito e purezza interiore. Papa Benedetto XVI ha precisato che la cifra di questo mistero è «l’amore e soltanto nella logica dell’amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte». Essendo una cosa sola con la vita indistruttibile, Gesù poteva donare la vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte. Egli ha rotto la “definitività” della morte, perché in lui era presente la “definitività” della vita.

 

La risurrezione è un avvenimento di Gesù stesso, che egli rende “accessibile” agli uomini. Le apparizioni non sono la risurrezione, ma solo il suo riflesso. Nella pasqua Dio rivela se stesso, la forza dell’amore trinitario che fa eterna una parte del nostro mondo. Con la risurrezione, il Risorto ha fatto in modo che quel poco di cui siamo fatti, terra e materia, diventasse capace di amare. Come ricordato a Verona, la pasqua è «quel grande “sì” che, in Gesù Cristo, Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza». Questo dà diritto a cantare “Alleluia” in un mondo sovrastato dalla nube della morte.[1]

 

 

Dal rito alla vita

 

Vivere la pasqua, quindi, non è un rito, ma un immergersi nelle sorgenti della vita e un lasciarsi rinnovare totalmente da essa. Si è persone “nuove” perché toccate dalla pasqua, passaggio visibile e fecondo dall’inerzia della morte alla vitalità della vita nuova in Cristo. “Fare pasqua”, quindi, è confrontare la propria vita con la vittoria di Cristo su satana, vittoria che agisce nei cuori e nelle strutture, e poter vivere, con la stessa dignità di Cristo, una stagione di speranza. Credere al mistero pasquale significa ritenere che c’è qualcosa che va al di là dei mutevoli stati d’animo della nostra vita. Si può essere «allegri o tristi, ottimisti o pessimisti, pacifici o adirati, ma la solida corrente della presenza di Dio si muove più in profondità delle piccole onde delle nostre menti e dei nostri cuori».[2]

 

 

PASQUA

 

Pasqua è la “buona notizia” che Dio è presente, anche quando la sua presenza non è direttamente avvertita e che, anche se le cose sembrano andare per il peggio nel mondo, il maligno è già stato sconfitto. Pasqua permette di affermare che, nonostante Dio sembri molto lontano e molte preoccupazioni riempiano il cuore dell’uomo, il Signore cammina lungo la strada della storia e continua a spiegare le Scritture.        

 

È la risurrezione di Gesù l’antidoto alla vecchiaia del mondo e la causa della continua giovinezza della chiesa. La gioia pasquale è la prova dell’attualità di Cristo e il superamento della tendenza alla “lamentela”. Proclamando che “Gesù è risorto”, la chiesa vive senza complessi, offre al mondo il Vangelo senza riserve e si prende cura di ogni persona insegnandole ad amare. La pasqua non fa della chiesa un “ghetto”, ma uno spazio d’amore smisurato e mai pienamente penetrabile con le categorie umane.

 

Ma il corpo glorioso del Risorto continua a portare le ferite della crocifissione: la pasqua è anche la celebrazione delle cure quotidiane prestate ai corpi dei malati, disabili, incidentati e terminali. Lavarli, nutrirli, spingere le carrozzelle, sostenerli, baciarli, accarezzarli: sono tutti modi con cui questi corpi vengono preparati al momento della “nuova” vita. Non solo le loro ferite rimarranno visibili nella risurrezione, ma anche le cure di cui saranno stati oggetto. È un grande mistero la “risurrezione della carne”: avere un “corpo nuovo” e “reale”, non più oggetto di sofferenza e di distruzione. Il corpo non è una “prigione” da cui fuggire, bensì un tempio in cui Dio già dimora e in cui la sua gloria sarà pienamente manifestata il giorno della risurrezione.

 

 Inoltre, il Cristo risorto illumina il pianeta delle dipendenze e delle trasgressioni (alcol, droghe, disturbi alimentari, consumismo sessuale), aiutando a passare dalla considerazione degli effetti fisiologici all’attenzione alla persona e alle sue motivazioni. Oggi, per vincere la timidezza o essere felici ed efficienti, cioè per vivere meglio, non si attinge più alla cultura, all’educazione e alla spiritualità, ma a “ritrovati chimici”. Questo toglie la fatica del coinvolgimento personale, l’umiltà di riconoscere i propri limiti e l’impegno a parlare di sé e del proprio profondo. In questo processo è in gioco uno stile di vita che responsabilizza in prima persona e, quindi, la gamma di motivazioni che lo sostengono.

 

 Il metodo del convegno di Verona è stato tipicamente “pasquale” perché non ha posto l’accento sulle tre tradizionali “funzioni” della chiesa (annuncio e insegnamento della Parola; preghiera e liturgia; carità) né ha fatto riferimento alle categorie dei “destinatari” (giovani, famiglia, malati ecc).

 

La relazione finale del card. Ruini ha ribadito che la radice della pastorale integrata è l’unità della persona rigenerata in Cristo, cioè destinata a realizzare la pienezza della sua umanità nel Risorto. La pasqua educa alla pastorale integrata perché avvia un’ascesi di liberazione dal proprio egoismo, dalla volontà propria e dal desiderio di autoaffermazione.[3] Generando la “morte” dell’“io” superbo e narcisista, la pasqua è la condizione per il dono di sé a Dio e agli altri. La radice profonda della fragilità e dell’inconsistenza di tante personalità odierne sta nell’attaccamento a se stessi, nella dipendenza da pulsioni istintive, nella paura di affrontare la fatica del maturare e nel rifiuto di superare l’egocentrismo.

 

 

I doni della pasqua

 

 La potente irruzione del Risorto nella storia avviene senza spettatori e senza riflettori, nella logica del seme caratterizzata dal silenzio delle parole e dall’eloquenza dei fatti. Si tratta di un invito ad avere più fiducia nello Spirito Santo, il primo agente della risurrezione di Gesù. Senza lo Spirito, la pasqua resta «un bene inesplorato, un concetto e non un fatto, un avvenimento del passato e non un appuntamento odierno, un canto muto, una piantagione senza frutti» (S. Martinez).

 

 A Verona, il teologo F.G. Brambilla invitava a «non disperdere la promessa di una chiesa tutta pasquale, continuamente convocata dall’eucaristia del Signore, incentrata sulla novità del Vangelo, capace di curare legami freschi e nuovi, di generare storie di vita cristiana, di immaginare forme incisive di presenza sociale».

 

 La pasqua è anche “profezia” di un mondo nuovo. L’annuncio destinato agli undici è affidato alle donne, che a quel tempo rivestivano un ruolo di irrilevanza sociale. Incontrando il Risorto, esse rinascono come “donne nuove”: discepole, diaconesse, testimoni, missionarie ed evangelizzatrici. È il riscatto dei piccoli e dei deboli.

 

Inoltre, il Risorto reca una pace che, perdonando e confermando nella fede, rinnova i rapporti all’interno dei primi discepoli. Solo attorno alla professione di fede “Gesù è il Signore” si costruisce l’unità e la ministerialità. Le apparizioni del Risorto pongono al centro un elemento essenziale, che il convegno di Verona ha sottolineato: il “Vangelo della relazione”, per mostrare non che il Vangelo “ha ragione”, ma che è “bello” e “liberante” in una società competitiva, consumista e violenta. Anche la gioia rientra nell’annuncio pasquale: il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste, diceva G. Bernanos. La gioia dell’esperienza personale di Gesù morto e risorto “per me” è contagiosa. Prima dell’apologetica, quindi, c’è l’annuncio da “innamorati di Cristo, il Vivente”.

 

 La pasqua diventa anche “pedagogia” dell’annuncio: l’attenzione non è posta sul singolo o sulla comunità, ma sul Cristo che “precede” ed è sempre più avanti delle previsioni e delle miserie umane. Risulta decisivo essere uniti a lui: l’adorazione deve precedere ogni attività e la santità diventa il principio della vita in forza del cambiamento della propria identità essenziale. Come annotava il papa a Verona: “Io, ma non più io”: è questa la “formula” dell’esistenza cristiana fondata nel battesimo, la “formula” della risurrezione dentro al tempo e la “formula” della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo. In questo senso, la pasqua rasserena perché ristabilisce ogni realtà in Cristo, fondamento e traguardo della creazione. Il Risorto trasforma l’esistenza in un frammento di storia della salvezza.

 

 La pasqua è anche “criterio di giudizio”. Annunciando la risurrezione di Gesù, la chiesa non dà forma simbolica al desiderio inestinguibile del cuore umano di immortalità, né raccomanda di tener sempre viva nella memoria la “causa di Gesù” come fattore di vera promozione dell’uomo e della civiltà. La chiesa narra un avvenimento realmente accaduto e si propone come “corpo di Cristo”, dove la salvezza avviene ancora oggi. Il discorso di Paolo all’aeropago di Atene svela lo scontro tra un rispettabile umanesimo e il Cristo, fonte di una nuova speranza.

 

Ben lungi dalla logica dell’insignificanza e del relativismo, il cristiano è disposto al martirio per la fedeltà al Credo che professa, ma è pronto a collaborare con quanto c’è di umano, di giusto e di bello nelle posizioni altrui. La fede in Cristo valorizza anche la ragione, come apertura al mistero e come ricerca del senso della vita. Il cristianesimo, infatti, non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo, venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte.

 

Oggi, nell’epoca delle biotecnologie, guardare al Risorto diventa decisivo per comprendere le trasformazioni radicali cui sono sottoposte le stesse nozioni di nascita, di vita e di morte. Il Risorto chiede di vincere la tentazione titanica nascosta dentro l’imperativo tecnologico “se si può, si deve fare”. Si pensi alle conseguenze negative del separare differenza sessuale, amore e procreazione, che l’amore vero rende indisgiungibili.

 

 

Testimoni del Risorto

 

 La luce del Risorto si mescola ancora oggi con le ombre della morte; l’evidenza della sua risurrezione permane velata e la gloria del suo trionfo va contemplata con lo sguardo “contemplativo” della fede. La grazia di Cristo comincia a trasformare i cuori e le culture, ma non si tratta ancora della vittoria finale e definitiva. Siamo in un tempo del “già” e del “non ancora”, che richiede pazienza e perseveranza, consolazione della mente e del cuore.

 

 Ma a pasqua risplende comunque la bellezza che salva e la carità divina che si effonde nel mondo. Partecipando nella fede all’evento di pasqua, si è trascinati in questo “vortice” che invita ad uscire da se stessi per donarsi a colui che chiama a partecipare alla sua pienezza di vita e che porta a “gridare” la lieta confessione di fede: «È il Signore» (Gv 21,7) e «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).[4]

 

 Origene diceva che la pasqua si fa “salendo al piano superiore”, come Cristo, perché essa è memoria, presenza e attesa. Il “cercare le cose di lassù” (Col 3,1-2) non porta all’alienazione, ma ad una maggiore responsabilità per l’oggi greve e opaco. Fare la pasqua – diceva sant’Agostino – è «passare a ciò che non passa, passare dal mondo per non passare col mondo».

 

 La “cinquantina pasquale”, concepita dalla chiesa come un solo giorno di festa, non è semplicemente il prolungamento dell’impegno e dello stile quaresimale, ma richiede un atteggiamento rinnovato, fatto di letizia per la vita nuova ricevuta in dono, di approfondimento del mistero di Cristo-chiesa reso possibile dallo Spirito, di forte esperienza di fraternità e di desiderio di testimonianza, perché la novità liberante della pasqua arrivi a tutti. La “grande veglia”, la meditazione degli Atti degli apostoli e dell’Apocalisse, la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, l’attesa della Pentecoste e il riferimento a Maria-donna pasquale servono a risvegliare lo stupore dell’essere cristiani, anche oggi.

 

 

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[1] Ratzinger J., Il cammino pasquale, Àncora, Milano 2006, pp. 110-117; “Discorso del papa nella veglia pasquale”, in Avvenire (16 aprile 2006), p. 5.

[2] Nouwen H. , Mostrami il cammino, Queriniana, Brescia 2003, p. 166.

[3] Caffarra C., Piccolo direttorio per la pastorale integrata, EDB, Bologna 2007, pp. 7-10.

[4] Martini C.M., Incontro al Signore risorto, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007, pp. 28, 68.

Luigi Guglielmoni

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