La passione di Maria

All'ecumenicismo equivoco che vorrebbe addomesticare la croce di Cristo, l'attrice (di origini ebraiche) Maia Morgenstern risponde con una strepitosa interpretazione della madre di Gesù. Ancora sul film di Gibson. Anteprima con vista su Maria.

del 01 gennaio 2002

Eppure non sono le facce di pietra delle autorità ebraiche, né la ferocia del giudizio popolare, e nemmeno il sangue, il cuore pulsante di “The Passion”. Certo, tutto questo, il massacro e il sacrificio, e la bestialità degli uomini – ebrei e romani – rabbiosi come mute di cani avvinghiate sull’agnello, t’inchioda al silenzio. Ma al centro, o piuttosto al fondo di tutto, c’è la faccia di una donna. C’è lei.

Quasi sempre silenziosa – abituata a «serbare tutto nel suo cuore» – i grandi occhi neri nel viso che, all’inizio, è ancora giovane e bello. È nella notte della cattura, nell’istante in cui sa, che Maria inizia a trasfigurare. Sapeva, del resto, oscuramente, già tutto, già dal primo giorno, forse. Corre sconvolta al luogo del processo, là dove gli ebrei amministrano la loro giustizia, e nel vedere il figlio già coperto di sangue dice solo: «È iniziata, Mio Signore». Come un amen, ma un amen così pesante da annientare. Perché sulla croce andava il Figlio di Dio; ma lei, Maria, era una donna. E su di lei quel giorno s’è abbattuta una massa di dolore bestiale. Qualcosa di quella massa atroce si vede in “The Passion”. Il supplizio di Cristo, specchiato nella faccia di sua madre – una donna, diversa dalle altre, e però soltanto una donna – ammutolisce più che la violenza stessa, abominevole, su di lui perpetrata. Lui, era il Figlio, e aveva accettato il sacrificio. Ma come una donna abbia potuto accogliere tutto quel dolore, è cosa difficilmente comprensibile (è come se l’oceano fosse entrato in un vaso, e il vaso l’avesse miracolosamente contenuto).

Ciò che sconvolge è che Maria non arretra mai, per tutta la durata del supplizio. Dal primo istante all’ultimo, dagli insulti alla fustigazione allo sfacelo delle membra, quando gli spettatori in sala non tollerando più chiudono gli occhi, Maria è sempre lì, con Maddalena, che assiste, ferma, come di pietra, straziata – immobile. Ti chiedi: possibile? Massacrano tuo figlio a quel modo, e tu stai ferma, non fuggi, non svieni, resti lì a guardare? Eppure sì, ti rispondi, se una grazia te ne dà la forza, rimani: rimani perché speri che voltandosi lui ti veda, e veda che almeno tu non l’hai abbandonato. Certo, ti costa cento anni di vita. Ed è vecchia infatti Maria sul Golgota, molto vecchia, disfatta, mangiata via dal dolore.

Ma neppure per un attimo cede. Con Giovanni e Maddalena – straordinario connubio, la sola senza peccato e l’adultera perdonata, unite da un’estrema tenerezza per l’unico loro Signore – corre per i vicoli paralleli al corteo della croce. Vuole solo una cosa: abbracciarlo ancora. Ci riesce, gli si para davanti mentre lui, già agonizzante, già moribondo per le nerbate e i calci dei centurioni, coperto dai loro sputi, crolla sotto a quel peso. E allora, immagina Gibson, la madre rivede il giorno lontano in cui Gesù cadde, bambino, in cortile, e come lei lo rialzò – e come lui la guardava, e sorrideva. Ora, Maria deve soltanto lasciarlo andare. Quel figlio non le appartiene, non le è mai appartenuto. E deve andare.

E al Golgota la Madonna ha il colore di cenere della terra di Palestina. La Passione del figlio le è penetrata in faccia, gliel’ha scolpita come una maschera di dolore. è la Madre, ed è tutte le madri della storia del mondo, tutte le madri che mettono al mondo figli che il male e le pesti e l’odio divorano. Quella sofferenza sulla faccia di una donna è più potente tuttavia di ogni cosa, del sangue e dell’odio, e della bestiale sguaiata ferocia da bestie dei soldati romani. Perché gli ebrei hanno emesso la sentenza, ma che gusto ci hannno preso quei centurioni, a eseguirla. Perché cattivi sono sempre “quelli”, “altri”, e mai, disperatamente, noi, tutti noi?

Si potrà dire: tutto questo è Vangelo, c’era bisogno di un film per scoprirlo? Beh, fortunati voi se non ne avete bisogno. Duemila anni sono maledettamente tanti, e la polvere si accumula e ci sembra di sapere già tutto, e poi la nostra memoria è così breve. Ben venga qualsiasi qualcosa, anche e tanto più se uno strumento “popolare” come un film, che ci ricordi, quel giorno, com’è andata.

 


di Corradi Marina

tratto da: http://http://www.tempi.it/archivio/articolo.php3?art=641

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