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La ricerca “scientifica”, avvicina o allontana? Illusioni della scienza da «Legg...

Dell'aggettivo “scientifico” si abusa. Nei tempi moderni è usato per dire di ogni sapere che non consente dubbi; è usato anzitutto per le scienze della natura. In quel caso “scientifico” è l'approccio caratterizzato dal fatto di sospendere le domande relative al senso...


La ricerca “scientifica”, avvicina o allontana? Illusioni della scienza da «Leggere la Bibbia, si può?» terza puntata

da Teologo Borèl

del 15 novembre 2008

Dell’aggettivo “scientifico” si abusa. Nei tempi moderni è usato per dire di ogni sapere che non consente dubbi; è usato anzitutto per le scienze della natura. In quel caso “scientifico” è l’approccio caratterizzato dal fatto di sospendere le domande relative al senso; tale sospensione consente al sapere di progredire in maniera assai più sicura e in maniera cumulativa.

L’aggettivo è usato poi anche per il sapere relativo ai fatti umani (nell’Ottocento la storiografia; nel Novecento le “scienze umane”). Ma è davvero possibile “scienza” a proposito dei fatti umani? e dei testi?

 

a) Per riferimento ai fatti, pare di sì; nella lingua dei giornalisti è diventata corrente la distinzione tra fatti e opinioni. Il programma della storiografia “scientifica” o “positiva” è appunto questo: accertare i fatti attraverso la (provvisoria) sospensione di ogni interpretazione; solo una volta ricostruiti i fatti si potrebbe poi discutere dell’interpretazione. Ma:

1.     l’accertamento dei fatti non è mai concluso;

2.     inoltre la sospensione della domanda sui significati rende la stessa selezione dei fati degni di attenzione impossibile e la ricerca positiva dispersiva.

 

b) Ancor più evidente è la difficoltà quando si tratti di testi: se difetta la selezione degli aspetti rilevanti suggerita dal significato, l’inflazione informativa si fa ingovernabile. Due rischi della ricerca “scientifica”:

(a) scoraggiamento della lettura del cristiano e ibernazione museale della Bibbia;

(b) l’integrazione dei frammenti si produce a procedere da criteri sintetici non consapevoli, che assumono di fatto la consistenza del pregiudizio.

I problemi posti dai moderni approcci scientifici alla Bibbia molto assomigliano a quelli posti nel medioevo dal passaggio dalla teologia monastica alla teologia di scuola, dialettica e “scientifica”.

 

 

Oltre il metodo storico critico

 

Al suo primo affermarsi, l’approccio “scientifico” coltivò la presunzione d’essere unico e obbligato; professò la fede nel metodo, qualificato in maniera sommaria come storico/critico. Esso prevedeva questi momenti maggiori: (a) la critica testuale; (b) la critica storica (autenticità del testo, conoscenza dell’autore e delle sue fonti); (c) la critica propriamente letteraria (lessico, struttura, paralleli, eccetera).

L’avvento della consapevolezza ermeneutica: la comprensione suppone una pre-comprensione, la quale è istituita dalla tradizione viva del testo. Non si può studiare la Bibbia come si studierebbe un testo sanscrito o atzeco; essa ha generato la tradizione culturale che ci costituisce.

Alla fine della fiducia superstiziosa nel metodo storico critico succede una proliferazione di metodi o di approcci. Indice eloquente di tale proliferazione ingovernabile è l’elenco proposto dal documento della Pontifica Commissione Biblica del 1993, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, che elenca una dozzina di metodi e approcci:

A/    Storico-critico

B/    Nuovi metodi di analisi letteraria: retorica, narrativa, semeiotica

C/    Approcci basati sulla Tradizione: canonico, mediante il ricorso alle tradizioni interpretative giudaiche, attraverso la storia degli effetti del testo.

D/ Approcci attraverso le scienze umane: sociologico, attraverso l’antropologia culturale, psicologico e psicanalitico.

E/ Approcci contestuali: liberazionista e femminista

 

Il documento della PCB appare incapace di suggerire prospettive di sintesi o di raccordo tra i metodi e/o gli approcci parziali e la lettura cristiana e teologica del testo. Tali prospettive non possono essere definite se non a prezzo di precisare la ragione di astrazione dei pretesi metodi di lettura.

 

Il carattere analitico della ricerca specialistica sul testo biblico pare dunque disporre per se stessa ostacoli alla lettura della Bibbia, in duplice senso: - per un lato non aiuta a comprendere;

- inoltre alimenta dubbi nei confronti di quella comprensione spontanea del testo, la quale appare ora destinata ad apparire ingenua.

 

L’aiuto che viene dalla ricerca

 

Non possiamo tuttavia ignorare l’altro lato della questione: la ricerca specialistica aiuta a superare molte ragioni di distanza e di sospetto del lettore contemporaneo nei confronti del testo biblico, che altrimenti minacciano di condannare il testo ad apparire una favola per bambini. Una struttura caratteristica delle introduzioni alla Bibbia distingue tre momenti:

1. La storia (di Israele, di Ges√π, della predicazione apostolica)

2. L’iscrizione dei libri in questa storia

3. L’introduzione ai singoli libri.

Rispetto allo schema sopra riportato (testo, storia, forma letteraria) questo chiede la collocazione dei libri entro il Sitz in Leben in cui sono nati, quindi l’attenzione alla storia. Ma quale storia? Quella dei mirabilia dei (storia sacra) o quella della cultura? Gerard VON RAD (Teologia dell’AT, 1957), legato al programma di

K. Barth, immagina di poter dissociare la storia sacra da quella umana; in tal senso ignorò il debito della legge mosaica nei confronti delle tradizioni giuridiche dei popoli; negò il rapporto tra la sapienza credente e sapienza dei popoli, tra l’oracolo dei profeti e la loro coscienza umana. Mentre questi rapporti sussistono; non solo, la considerazione di essi offre un contributo essenziale a intendere il significato della rivelazione di Dio nella storia. Proprio l’iscrizione dei libri sacri entro il contesto storico dispone le condizioni propizie per superare la distanza della Bibbia dalla nostra sensibilità. Tali difficoltà possono essere ricondotte schematicamente a tre grandi ordini di fattori:

 

 

a)     La distanza di cultura

 

Le difficoltà maggiori sono quelle legate alla distanza culturale o di mentalità. La cultura non è una teoria, una visione riflessa del mondo; ma anzitutto una lingua, poi molte pratiche di vita. Documentare in poche parole la consistenza delle difficoltà connesse alla distanza culturale è arduo. Pensiamo tipicamente al tema della personalità corporativa, discussa abbondantemente a margine della questione di Adamo e del monogenismo. La differenza di cultura è decisiva per intendere anche la lingua. Faccio un esempio: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (Lc 14, 26)…: non è soltanto questione di parole, ma anche di idee.

Alla distanza di cultura si aggiunge il pregiudizio di una lettura appunto “idealistica” del cristianesimo; essa ignora la necessità di passare per il dramma per giungere alla giustizia; vedi l’esempio: Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra…

 

 

b)     Difetto di conoscenze dei fatti

 

Un secondo ordine di difficoltà è legato appunto al difetto di conoscenza della storia che sta sullo sfondo dei testi. Tale conoscenza è spesso criterio indispensabile per leggerli bene. I testi biblici infatti hanno la fisionomia di testimonianze rese a margine di una storia. Il profeta parla, e poi scrive, per prendere posizione in un contenzioso tra Dio e il suo popolo. Se non conosciamo il contenzioso è difficile intendere la loro parola. Il rapporto tra il testo scritto e la storia sottesa, spesso ignorato, è in ogni caso complesso; la memoria trova infatti configurazione nella massima parte dei casi attraverso un lungo processo di tradizione orale.

Appunto la conoscenza delle forme di tale tradizione offre criteri importanti per interpretare (vedi il caso della tradizione sinottica).

Abbiamo già visto l’esempio del paralitico di Mc 2, 3-11; possiamo aggiungere l’esempio di una parabola, quella del seminatore (Mc 4, 3-20), o quella degli invitati a nozze (Mt 22, 1-4).

 

 

c)     I generi letterari

 

Il problema dei generi letterari è stato formalizzato per primo. Di fronte a un testo poco plausibile – Dio impasta il fango per fare l’uomo – facilmente si dice: “è una lingua figurata”. La stessa affermazione in diversi contesti ha un significato diverso.

In passato di generi letterari si è discusso soprattutto a margine dei racconti di creazione (Gn 1 e Gn 2-3).

L’alternativa storia o mito appariva “tragica”: per un lato appariva poco plausibile che si potesse trattare di storia, dunque di memorie; ma appariva inquietante l’ipotesi che si trattasse di miti. Oggi almeno in quei casi abbiamo dalla scienza risposte soddisfacenti: non mito, né storia, ma racconto eziologico. Una prima apertura intervenne già con la Divino afflante Spiritu di Pio XII (1943):

Quale poi sia il senso letterale di uno scritto, spesso non è così ovvio nelle parole degli antichi Orientali com'è per esempio negli scrittori dei nostri tempi. Ciò che quegli antichi hanno voluto significare con le loro parole non va determinato soltanto con le leggi della grammatica o della filologia, o arguito dal contesto; l'interprete deve quasi tornare con la mente a quei remoti secoli dell'Oriente e con l'appoggio della storia, dell'archeologia, dell'etnologia e di altre scienze, nettamente discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età. Infatti gli antichi Orientali per esprimere i loro concetti non sempre usarono quelle forme o generi del dire, che usiamo noi oggi; ma piuttosto quelle ch'erano in uso tra le persone dei loro tempi e dei loro paesi. Quali esse siano, l'esegeta non lo può stabilire a priori, ma solo dietro un'accurata ricognizione delle antiche letterature d'Oriente.

Il riferimento al genere letterario sempre spaventa il lettore. Quando si dice che Tobia è una novella, o che Giona è una parabola, la conclusione facile del non addetto ai lavori è che allora questi due libri non sono “veri”. Proprio i libri storici, o meglio di genere narrativo, hanno suscitato discussioni più vivaci.

L’attendibilità della Bibbia pareva minacciata dal sospetto che i libri biblici siano elaborazione mitizzante di ricordi arcaici ad opera della memoria collettiva; i fatti all’origine delle memorie bibliche sfuggirebbero senza di rimedio a ogni precisa ricostruzione.

 

L’obiezione ha particolare gravità nel caso della storia di Gesù. Ma proprio in quel caso la “scienza” ha dovuto ricredersi: dai dubbi radicali di Bultmann ai riconoscimenti della seconda e della terza ricerca su Gesù. Certo conosciamo virtualmente molto del Gesù della storia; ma per passare dalla conoscenza virtuale a quella reale occorre accettare di misurarsi con la ricerca specialistica. Il risultato sarà un’immagine di Gesù – meglio, un’immagine della sua vicenda – molto più viva e realistica di quella oggi comune; essa consente una lettura spirituale più feconda dei vangeli.

 

don Giuseppe Angelini

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