Con Giovanni Paolo II è cambiato il modo di vedere i santi, afferma un vaticanista. Secondo Fabio Zavattaro, giornalista della RAI, Wojtyla propone una santità della “porta accanto”.
del 01 gennaio 2002
In questa intervista concessa a ZENIT, il giornalista vaticanista Fabio Zavattaro ha voluto offrire la sua lettura del pontificato di Giovanni Paolo II attraverso i tanti santi e beati elevati agli onori degli altari dall’attuale Pontefice. Zavattaro, la cui carriera giornalistica è iniziata nel 1981, ha cominciato scrivendo per il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana “Avvenire”, prima di lavorare al servizio informativo televisivo di RAI 1. Dal 1983 segue il Papa in tutti i suoi viaggi.
Di recente è apparso in libreria un suo volume intitolato “I santi e Karol. Il nuovo volto della santità”, pubblicato dalla casa editrice Ancora (pp. 192, Euro 14,00) e il cui prologo è stato curato da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.
È cambiato qualcosa nel mondo dei santi con Karol Wojtyla?
Direi proprio di sì. Ed è quello che ho cercato di raccontare nel mio libro, e spero di esserci riuscito, magari solo in parte. È cambiato, secondo me, il modo di “leggere” i santi.
Giovanni Paolo II, nei suoi ventisei anni di pontificato, ha donato alla chiesa, ai cristiani, oltre mille trecento beati e 480 santi: sono compagni di viaggio, nella gioia e nella sofferenza. Sono uomini e donne che hanno scritto una pagina nuova nella loro vita e nella esistenza di tante persone. Per questo il Papa ha voluto proporli.
Cerco di spiegarmi meglio: un tempo santi e beati erano figure quasi inavvicinabili, i grandi dottori della chiesa, san Francesco, santa Chiara. Papa Wojtyla ha invece innovato portando agli onori degli altari persone che spesso sono ancora nella memoria dei loro concittadini, magari hanno ancora figli in vita, un marito: penso alla Gianna Beretta Molla o ai coniugi Beltrame Quattrocchi. Sono uomini e donne del nostro tempo, li abbiamo conosciuti, abbiamo magari diviso con loro un cammino, una breve pagina di storia comune. Insomma sono santi e beati della “porta accanto”.
Ed ecco, dunque, il messaggio del Papa: la santità non è un dono riservato a pochi. Tutti possiamo aspirare a questo traguardo, perché è una meta alla nostra portata. Una grande lezione che ha la sua origine nel Concilio e nella nuova stagione che ha avviato di una Chiesa, cioè, che si è aperta sempre più al mondo.
È possibile disegnare un modello di santità “alla Giovanni Paolo II”?
Credo che il modello “alla Giovanni Paolo II”, per usare la sua espressione, sia proprio in una santità vissuta nel quotidiano: il santo è l’uomo vero, concreto, come dice proprio Papa Wojtyla; la sua testimonianza di vita attira, interpella e trascina perché egli manifesta una esperienza umana trasparente, colmata dalla presenza di Cristo.
Per il Papa, la chiamata alla santità non esclude nessuno, non è privilegio di una élite spirituale. Sono santi, beati, che non cercano di passare da eroi, di sbalordire, di provocare. Il santo è anche una persona comune, un medico, un giovane universitario, una suora che è stata schiava, un sacerdote che ha sofferto i gulag, una coppia di sposi, un catechista. Amici.
Il Papa è stato ordinato sacerdote il primo novembre, per la Solennità di tutti i Santi. Lei vede in questa ricorrenza una profezia?
Certamente un dato dal quale è impossibile prescindere. Nel senso che tutta la sua vita, le figure che ha avuto vicino, la scelta del luogo della prima messa, il Wawel, il giorno dell’ordinazione, spingono a pensare che Giovanni Paolo II abbia posto grande attenzione alla presenza di beati e santi nella sua vita ma anche nella vita della chiesa.
E lo spiega il Papa stesso in “Dono e mistero” quando dice che c’era una speciale valenza teologica nell’aver scelto il luogo e la data della sua ordinazione e della sua prima messa. Nella cattedrale del Wawel sono sepolti i re, i principi, cardinali e vescovi, e grandi maestri della parola che hanno avuto una importanza enorme nella sua formazione cristiana e patriottica. Come non vedere, dunque, una sorta di cammino già segnato, un disegno già tratteggiato.
Che ne dice lei della critica alla inflazione di santi e beati proclamati dal Papa?
È difficile rispondere ad una simile domanda. Da un lato, la prima risposta potrebbe essere proprio nella linea di dire: ha esagerato con tutti quei santi e beati. Ma poi provate invece a riflettere su questo: trovare una guida, un maestro capace di accompagnarti nel percorso di vita che stai facendo, in più una persona che in qualche modo è a te vicina; un volto conosciuto, magari incontrato; un sacerdote, un laico che hanno lasciato un tangibile segno della loro presenza proprio nei luoghi dove noi viviamo – quante volte sentiamo dire: quella persona, quel sacerdote, è davvero un santo – quanto ti può aiutare nelle scelte e decisioni rispetto ad un altro che hai imparato a conoscere solo attraverso i libri e i racconti edificanti? Chi dei due testimoni diventa più facilmente compagno di viaggio? Allora è pensabile parlare di inflazione di santi e beati?
Lei oserebbe dire quali sono i santi preferiti del Papa?
No. Non oserei tracciare una classifica, anche perché credo che di classifiche davvero non se ne possano fare: tutti i santi e i beati hanno, per il Papa, una grande importanza. Sono testimoni, punti di riferimento per ogni uomo e donna: nessuna classifica, dunque.
Ma se posso proseguire in questa riflessione, non mi sembrerebbe di commettere una eresia se dicessi che le figure che più stanno a cuore a questo Papa sono i santi e beati semplici, umili. Figure magari di secondo piano rispetto a fondatori di Ordini, Papi, imperatori. Ma non per questo figure da mettere dietro le quinte. E ancora, sacerdoti che hanno pagato con la vita la loro fedeltà al Vangelo e alla chiesa.
Mi vengono in mente i sacerdoti perseguitati dai regimi oppressivi, vescovi incarcerati e ridotti al silenzio, giovani catechisti e sacerdoti impegnati nelle terre di missione. Una umanità che, come dire, ha “tirato sempre la carretta” senza attendersi premi e riconoscimenti ma proprio per questo figure di primo piano nella storia della cristianità.
Il mondo ha bisogno più che di maestri, di testimoni credibili. Giovanni Paolo II con la sua scelta di proclamare così tanti santi e beati ha voluto in un certo senso aiutare ad individuare delle figure capaci di accompagnare questa stagione della vita.
Lui stesso è un testimone che attraverso la sua sofferenza, la sua fatica, comunica un messaggio straordinario all’uomo di oggi: un messaggio fatto di cose vere ed essenziali, di voglia di vivere nonostante pesantezze e impedimenti.
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