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«La scuola mi è sacra come l'ottavo sacramento» (Don Milani)

La «Lettera a una professoressa» di don Milani compie 40 anni. «Non è facile parlare con mente serena e sincera partecipazione alla vicenda esistenziale e culturale di don Lorenzo Milani, morto quarant'anni fa, perché si rischia ancora o di strumentalizzarlo o di rimuoverlo, data la difficoltà che s'incontra a prenderlo sul serio...».


«La scuola mi è sacra come l'ottavo sacramento» (Don Milani)

da Quaderni Cannibali

del 17 marzo 2007

Non è facile parlare con mente serena e sincera partecipazione alla vicenda esistenziale e culturale di don Lorenzo Milani, morto quarant'anni fa, perché si rischia ancora o di strumentalizzarlo o di rimuoverlo, data la difficoltà che s'incontra a prenderlo sul serio, ad ascoltare le sue provocazioni di prete-maestro, che ha scandalizzato e testimoniato, dando un senso alto, forse troppo alto per i nostri tempi modesti, all'educazione e alla scuola, scorticando diffuse convinzioni, di destra e di sinistra, laiche e cattoliche. Ma proprio perché c'è bisogno di maestri, la sua figura e la sua storia non vanno rimosse. Il nostro è un Paese dalle grandi risorse, ma è anche composto in maggioranza da cattolici non praticanti, e da «cittadini non praticanti», a giudicare da certi comportamenti e dalla diffusione di certi reati. La passione milaniana per l'uomo, per la Chiesa e per la scuola come strumenti di salvezza non sembrano in sintonia con la maggioranza di questo Paese. E chi crede nella Chiesa e nella scuola si trova talvolta in imbarazzo di fronte ai modi e agli argomenti di questo cristiano convertito dall'ebraismo, polemico e obbediente, e di questo maestro, già mediocre alunno del Berchet di Milano, pittore mancato e divenuto e restato prete in modo imprevedibile e geniale. Se l'epoca che cominciò a glorificarlo e a combatterlo, forse senza capirlo pienamente, era caratterizzata da un'intensa e passionale elaborazione ideologica del disagio e dell'ingiustizia sociale, e delle prospettive di lotta o per lo meno di agitazione per un suo superamento, la nostra epoca è piuttosto appiattita su visioni depressive e rinunciatarie o su visioni funzionalistiche, prive di passione: certo in complesso non interessate a guardare in faccia i ragazzi veri e a leggere nei loro occhi un futuro migliore, come rivelava don Milani ai giudici, per differenziarsi da loro e per chiarire la sua posizione di insegnante. È anche vero che negli occhi di molti ragazzi d'oggi non si legge un grande futuro. Per questo è interessante accettare di nuovo la provocazione e fare i conti col passato e con la propria fede nell'uomo e nella sua educazione, come ha fatto nella sua breve vita don Milani. Lui è stato un prete-maestro 'contro' molte cose, e 'a favore' di pochissime: quelle essenziali, per le quali ritenne giusto battersi e polemizzare. I care, motto scritto sulla sua scuola, serviva per indicare ai suoi ragazzi un'alternativa al fascista «me ne frego». Ma la radice stava nel Vangelo.

Il priore di Barbiana era scomodo anche per chi voleva farne una bandiera. Ma ad un amico, Franco Loi, che gli chiedeva insistentemente d'essere ricevuto, scrisse queste parole: «Sto male, sono in ospedale, sto per morire. Ma se è per la salvezza della tua anima, vieni pure». Sulla struttura e sulla pedagogia corrente nella scuola media non aveva tenerezze. Ricostruiva in questo modo il dibattito parlamentare per la sua Professoressa: «I deputati si divisero in due parti. Le destre a proporre il latino. Le sinistre le scienze. Non ci fu uno che pensasse a noi, che ci fosse stato dentro, che avesse faticato a seguire la vostra scuola. Topi di museo le destre, topi di laboratorio i comunisti. Lontani gli uni e gli altri da noi che non si parla e s'ha bisogno di lingua e non di specializzazioni. Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli». La premessa del suo impegno educativo scolastico, maturata lentamente a San Donato di Calenzano, sta qui: «Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa». Questa elevazione civile acquista sempre più, ai suoi occhi, un significato religioso. Tra la capacità di accoglienza della Parola di Dio e la comprensione e produzione della parola umana non c'è, in fondo, grande differenza. In Esperienze Pastorali arriva a dire: «La scuola mi è sacra come l'ottavo sacramento». Visione religiosa e visione antropologica s'intrecciano: «La scuola è l'unica differenza che c'è fra gli uomini e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l'umanità va avanti». Come Paulo Freire, anche don Milani fa coincidere l'evangelizzazione con la coscientizzazione, e la coscientizzazione con la scuola, ossia con l'abilitazione al possesso e all'uso della parola. Tutta la sua attività può in tal modo essere letta sia in chiave religiosa, sia in chiave laica. «Anche le lettere ai cappellani e ai giudici sono episodi della nostra vita e servono solo per insegnare ai ragazzi l'arte dello scrivere, cioè di esprimersi, cioè di amare il prossimo, cioè di far scuola». Questa gragnola di cioè indica il processo di deduzione e di sintesi in cui la prospettiva teologica e la prospettiva pedagogica venivano a coincidere, come due facce della stessa medaglia. L'equazione fra salvezza teologica e accesso laico alla conoscenza funziona anche nella definizione del sapere e del maestro. «Il sapere serve solo per darlo. Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo». E ancora: «La scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde».

In Esperienze Pastorali aveva scritto: «Dicesi commerciante colui che cerca di soddisfare i gusti dei suoi clienti. Dicesi maestro colui che cerca di contraddire e mutare i gusti dei suoi clienti. Lo schierarsi di qua o di là di questa barriera è per il prete decisione ben più grave». Gesualdo Nosengo, fondatore dell'Uciim, che nel 1939 insegnava religione al magistrale Virgilio di Milano mentre Lorenzo Milani studiava al Berchet, riteneva che la Lettera a una professoressa fosse non una sconfitta della 'sua' scuola media, ma una lettura obbligatoria per gli insegnanti.

Luciano Corradini

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