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La spiritualità della “Introduzione alla vita devota” come un'ascesi dell'amore

La vita devota è possibile ad ogni tipo di persone, in qualsiasi vocazione o professione. La chiamata alla perfezione non consiste in opere esterne, ma nell'interiorità. Non v'è orologio, per buono che sia, che non si debba rimontare o caricare due volte al giorno, al mattino e alla sera; e almeno una volta all'anno bisogna smontarlo in tutti i pezzi...


La spiritualità della “Introduzione alla vita devota” come un’ascesi dell’amore

da Spiritualità Salesiana

del 24 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

La spiritualità della “Introduzione alla vita devota” come un’ascesi dell’amore           Pubblicata per la prima volta nel 1609, l’Introduzione alla vita devota venne accolta con grande favore; quando fu stampato il Trattato dell’amor di Dio (1616) era già arrivata alla sua terza edizione. Essa si proponeva di estendere la tensione alla perfezione ben oltre gli ambienti monastici, in modo che la santità potesse essere vissuta da tutti «coloro che conducono una vita secolare sotto ogni aspetto». SFS ha cercato di orientare i cristiani ad una vita interiore piena e fervente per mezzo della vera devozione, che non è altro se non un genuino amor di Dio che ha raggiunto tale grado di perfezione per cui «non soltanto ci fa agire bene, ma ci fa operare con diligenza, fervidamente e prontamente». Tale vita devota è possibile ad ogni tipo di persone, in qualsiasi vocazione o professione, ma viene esercitata in modo diverso «dal gentiluomo, dall’artigiano, dal servo, dal principe, dalla vedova, dalla fanciulla e dalla donna sposata». Può adattarsi alle forze, alle responsabilità e ai doveri di tutti. Per questo, dunque, non dobbiamo sorprenderci se a Francesco è riconosciuto «il merito di aver strappato la spiritualità Cristiana dalle mura monastiche in cui era stata confinata per molti secoli». 

1.    L’ascesi salesiana: libertà dal peccato, dai desideri disordinati e dall’amor di sé           Anche se SFS accentua la dignità della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio, nello stesso tempo, riconosce la possibilità del peccato come offesa all’amor di Dio e del prossimo. Mette in risalto questo paradosso relativo al nostro essere simili a Dio, ma non identici a Lui, quando predica: «In quanto creati ad immagine di Dio riceviamo tutto ciò che è buono da Lui; ma in quanto creati dal nulla, rimane sempre in noi qualche imperfezione». Se la dignità e la crescita della nostra vita spirituale consiste nell’amare Dio e il prossimo, è vero anche il contrario; noi ci degradiamo nel peccato quando non amiamo Dio e il prossimo. Per S. Francesco, come esseri umani abbiamo una duplice tendenza ad uscire da noi stessi: o l’estasi sensuale che ci abbassa al livello delle bestie o l’estasi dello spirito che ci rende capaci di rispondere al bene a vantaggio del prossimo. In sintesi, siamo proiettati fuori di noi verso la carità o verso l’egoismo. Questa lotta all’interno dell’essere umano non può essere ridotta alla semplice interpretazione dualistica della battaglia tra lo spirito e la carne. Va invece capita, nel senso paolino, come conflitto tra due amori, l’amore sacro e l’amor di sé. La realtà del peccato nella nostra vita rivela una mancanza di libertà ed implica la nozione di lotta o di sforzo per conquistarla. Francesco scrive nell’Introduzione: «L’esercizio della purificazione dell’anima non può e non deve finire che con la vita stessa». Nel linguaggio classico della spiritualità tale riconoscimento afferma la necessità dell’ascesi. L’ascesi è la lotta per superare le divisioni profonde all’interno della nostra natura, per mettere ordine nei nostri desideri, affinché la vita possa essere vissuta in armonia con le esigenze della fede Cristiana. «In senso generale, si può dire che l’ascesi rappresenti tutti quegli elementi della vita spirituale che includono una campagna organizzata contro gli aspetti peccaminosi dell’io e contro le tentazioni esterne, come anche gli sforzi positivi diretti verso la perfezione delle nostre attività spirituali». La visione spirituale di Francesco di Sales si colloca in questa tradizione ascetica che accentua la necessità dello sforzo umano per raggiungere la libertà, creando le condizioni di apertura e di recettività alla grazia di Dio. Il significato originale di ascesi è legato con l’esercizio per raggiungere una competenza. Anche se nel linguaggio quotidiano è diventata sinonimo di rinuncia, l’ascesi, nella tradizione monastica, significava qualcosa di positivo, un esercitarsi per acquistare un comportamento religioso. Tale comprensione si ritrova negli scritti di san Francesco di Sales, al quale offre quest’orientamento a uno dei suoi corrispondenti:

Poco a poco esercita la tua volontà a seguire il volere di Dio, ovunque egli voglia condurti; vedi che la tua volontà è fortemente scossa quando la tua coscienza dice: Dio vuole questo. Gradualmente la forte resistenza che senti diminuirà e presto sparirà del tutto.

          L’allenamento o l’esercizio è essenziale per l’ascesi. Lo scopo di tale esercizio è quello di coltivare un atteggiamento di apatheia o di indifferenza che ci condurrà ad una situazione di pace profonda. In ogni modo, questa pace scaturisce soltanto dalla lotta per dominare tutto ciò che potrebbe allontanarci da Dio. Questa lotta, nel linguaggio salesiano, è sentita come un «combattimento spirituale». Scrive nell’Introduzione: «Non agitiamoci per le nostre imperfezioni, perché la perfezione consiste appunto nel lottare contro di esse». Commentando l’uso di questa terminologia del “combattimento spirituale”, Marceau sottolinea che:

Il combattimento spirituale non è una metafora letteraria utilizzata come titolo di un libro. È un’espressione adeguata per esprimere un significato sofferto e sperimentato […] Per trovare la pace, la santa tranquillità, si deve scendere al di sotto delle agitazioni superficiali, fino alle regioni santificate dell’anima. 

2.    Il “Combattimento spirituale”

L’influsso de Il combattimento spiritual di Lorenzo Scupoli sulla vita e sugli scritti di Francesco di Sales non deve essere sottovalutato. In una lettera a Giovanna Francesca de Chantal egli scrive:

“Mia carissima figlia, leggete il capitolo ventottesimo del Combattimento spirituale [libro] che apprezzo molto e che mi sono portato sempre in tasca negli ultimi diciotto anni. Ogni volta che lo rileggo, scopro qualcosa di nuovo”.

          Questa sua ammissione sulla “rilettura” del Combattimento spirituale, unita al fatto che se lo è portato in tasca per diciotto anni, non solo indica quanto lo stimasse, ma anche quanto la sua progressiva assimilazione abbia contribuito all’evoluzione del suo pensiero. Il rapporto tra la spiritualità Salesiana e il Combattimento spirituale dello Scupoli è profondo. Nel trattato dello Scupoli, troviamo un piano metodico di lotta per la vita interiore, con l’obiettivo di arrivare al puro amor di Dio, ad imitazione di Cristo. La chiamata alla perfezione non consiste in opere esterne, ma nell’interiorità. Uno sguardo all’indice del Combattimento spirituale ci rivela una serie di temi diventati cari a SFS: la sfiducia nel proprio io e la corrispondente fiducia in Dio; un uso corretto della comprensione e dell’esercizio della volontà; la lotta tra la volontà inferiore e quella superiore; il controllo regolato dei sensi e la resistenza alle tentazioni; l’acquisto della virtù e il progresso nella preghiera; e, infine, la totale rinuncia alla propria volontà e l’assoluto affidamento al beneplacito divino.

          Tale processo e tale metodo è usato chiaramente anche nell’Introduzione. SFS incomincia colla necessità della purificazione dal peccato, l’indispensabilità della preghiera e della meditazione, il progresso nella pratica delle virtù, l’aiuto per superare le tentazioni, gli esercizi per rinnovare la propria devozione. In breve, il combattimento spirituale nell’Introduzione comprende le pratiche ascetiche che mirano a liberare dal peccato, dall’amor di sé, dai desideri disordinati. Tra le virtù proposte da Francesco si dà particolare rilievo all’umiltà, alla gentilezza, alla semplicità che portano verso la virtù principale della santa indifferenza. La dinamica del Combattimento spirituale e dell’Introduzione è fondamentalmente la stessa: un movimento cha va dallo sradicamento dei vizi al consolidamento delle virtù, mentre si cresce nella vita di preghiera. Riteniamo che l’influsso del trattato dello Scupoli sia avvenuto per osmosi più che per appropriazione. Lo vediamo ad es. quando Francesco istruisce Filotea sulla devozione e lo Scupoli invita il suo lettore alla perfezione:

«Volendo tu figliuola in Cristo amatissima conseguire l’altezza delle perfezione ed accostandoti al tuo Dio diventare uno stesso spirito con Lui […]»(Il Combattimento spirituale).

«Voi aspirate alla devozione, carissima Filotea, perché essendo cristiana sapete che è una virtù immensamente gradita alla divina Maestà» ( Introduzione alla vita devota).

          Mettendo a fronte il testo salesiano con quello dello Scupoli, come qui si vede, scopriamo alcune sfumature importanti. La sostituzione della parola perfezione con devozione non è una questione puramente semantica, ma di grande rilievo. La parola ‘devozione’ indica una spiritualità che non è preoccupata di perfezionare se stessi, ma di crescere nell’amor di Dio e del prossimo. Nell’Introduzione, Francesco di Sales distingue tra vera e falsa devozione:

Dico, dunque, che la devozione non consiste nella dolcezza, nella soavità, nella consolazione e nella tenerezza percettibile del cuore, che ci spingono alle lacrime e ai sospiri e ci danno in alcuni esercizi spirituali, una specie di soddisfazione piacevole e saporita […]. La vera devozione consiste in una volontà costante, risoluta, pronta e attiva di eseguire ciò che si sa essere gradito a Dio.

Nonostante queste sfumature, resta il fatto che la natura ascetica di entrambe le opere è molto chiara e che gli autori hanno molte più cose in comune di quante li dividano. 

3.    Il linguaggio del combattimento spirituale

          Il linguaggio da combattimento (Ef 6, 10‐18) potrebbe sembrare lontano della nostre moderne sensibilità, ma nell’ottica della letteratura spirituale classica è un concetto chiave. Il linguaggio dell’ascetica riconosce che dobbiamo contribuire con i nostri sforzi nella lotta per conquistarci la libertà. Lo scopo di questa lotta o combattimento è la padronanza di sé ordinata al dono di sé. Nella tradizione ascetica, sia Cassiano che Agostino parlano di questa lotta come di un combattimento, san Bernardo si riferisce alla necessità di combattere l’amor proprio e san Tommaso disquisisce sulla lotta per arrivare alla perfezione.

          Scupoli come san Francesco di Sales riconoscono il ruolo decisivo della volontà in questo combattimento. Francesco scrive:

Quanto alla dilettazione che può seguire alla tentazione, poiché vi sono due parti nella nostra anima, l’una inferiore e l’altra superiore, e l’inferiore non seconda sempre la superiore, ma anzi fa parte a sé, accade talvolta che la parte inferiore si compiaccia della tentazione senza il consenso, anzi contro la volontà della superiore: sono il contrasto e la guerra che l’apostolo san Paolo descrive là dove dice che “la sua carne brama contro il suo spirito”, e che vi è “una legge delle membra e una legge dello spirito” e simili cose.

           Da questa lotta o combattimento tra la volontà superiore e la volontà inferiore non dobbiamo concludere che ci siano in noi due volontà, ma piuttosto che la volontà è divisa in se stessa. Per Francesco di Sales, «il lavoro specifico della volontà consiste nell’ordinare il nostro amore; poiché la volontà decide il consenso o il rifiuto che noi diamo all’amore». Lavelle continua, «la volontà regola l’orientamento dell’amore e deve essere vigilante per mantenerne viva la fiamma e preservarla dalle deviazioni verso oggetti che possono affascinarlo ma non potranno mai saziarlo. Tali oggetti sono degni di essere amati solo alla luce dell’Infinito Amore che sostiene la volontà stessa e nel quale, una volta trovato, essa raggiunge il suo compimento.

4.    Ascesi del cuore

L’ascesi è, nello stesso tempo, l’amor di Dio che cerca di renderci liberi e la nostra corrispondenza con l’azione liberatrice di Dio. Scrive Francesco:

Il nostro cuore è fatto per Dio, che lo alletta continuamente e non cessa di lanciargli le attrattive del suo celeste amore; ma cinque cose impediscono a quella sante attrattive di essere operanti: (1) il peccato, che ci allontana da Dio; (2) l’attaccamento alle ricchezze; (3) i piaceri sensuali; (4) l’orgoglio e la vanità; (5) l’amor proprio con tutta la moltitudine di passioni sregolate che genera e che costituiscono in noi un pesante fardello che ci opprime.

           Lo scopo principale degli esercizi ascetici, quindi, è di rendere libero il cuore perché possa rispondere nell’amore. Qui si rispecchia il pensiero dello Scupoli, che scrive:

Il tuo cuore è stato creato da Dio soltanto per questo fine, per essere amato e posseduto da lui […] la prima cosa, quindi, che tu devi fare, è di rettificare e consolidare l’intenzione del tuo cuore, affinché l’esterno scaturisca dall’interno.

          Sia san Francesco di Sales che lo Scupoli riconoscono che «rettificare l’intenzione del tuo cuore» significa esercitarlo a rispondere alla volontà di Dio o al divino beneplacito di Dio. Ne deriva che esiste una lotta tra la propria volontà e la volontà di Dio. Questo combattimento, comunque, non va inteso in senso dualistico come una lotta tra corpo e spirito. È questo “combattimento benedetto” che lotta contro la concupiscenza, non il corpo, dal quale nascono movimenti disordinati radicati nell’amor proprio. L’ascesi in prospettiva salesiana, quindi, è necessaria per spianare il cammino verso il cuore, sradicare il peccato, l’amor proprio e i desideri disordinati. Lo scopo delle pratiche ascetiche è quello di renderci liberi dalle passioni disordinate e dagli attaccamenti dannosi cosicché possiamo raggiungere la purezza del cuore. È questo ricollegarsi col nostro cuore che ci riunifica con la nostra più vera e profonda origine che è l’amore. In breve, «Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine somiglianza, vuole che tutto sia ordinato come in se stesso, per amore e con amore».

          Nelle sue lettere a Filotea, nell’Introduzione, egli aveva già scritto che «noi troviamo Dio presente dovunque andiamo o siamo», ma non ci badiamo; così «dobbiamo eccitare l’anima nostra all’attento pensiero della sua presenza. Non solo Dio è nel luogo dove tu sei, Filotea, ma in maniera particolarissima è nel tuo cuore […] come cuore del tuo cuore e spirito del tuo spirito»; la tua anima è tempio di Dio. In questo tempio, «aspira molto spesso a Dio, o Filotea, con brevi ma ardenti slanci del cuore». Il ritiro monastico dal mondo ora è sostituito dall’invito a Filotea a ritirarsi nel cuore nel bel mezzo delle varie sue occupazioni. Scrive: «Né, d’altra parte, le occupazioni sono mai, d’ordinario, così serie che non si possa di tanto in tanto ritirar da esse il nostro cuore per riportarlo in quella divina solitudine». Tuttavia, questo movimento verso l’interno, deve essere seguito da un movimento verso l’esterno, in sintonia col respiro del cuore, che inspira ed espira. Egli ricorda:

Ci si ritira in Dio perché si aspira a Lui, e a Lui si aspira per raccogliersi in Lui; così che l’aspirazione a Dio e il ritiro spirituale si sostengono a vicenda, e ambedue provengono e nascono dai buoni pensieri.

          San Francesco conclude che «in questo esercizio del ritiro spirituale e delle orazioni giaculatorie consiste la grande opera della devozione […] senza questo esercizio, non si può adempiere bene la vita contemplativa, e non si saprebbe condurre che male la vita attiva». L’ascetica Salesiana ci mette di fronte a un paradosso: da una parte dobbiamo lavorare su di noi, ma d’altra parte, dobbiamo riconoscere che non possiamo migliorarci attraverso i nostri sforzi, solo Dio può trasformarci.

          Non v’è orologio, per buono che sia, che non si debba rimontare o caricare due volte al giorno, al mattino e alla sera; e almeno una volta all’anno bisogna, inoltre, smontarlo in tutti i pezzi, per togliere la ruggine che avrà contratta, raddrizzare i pezzi contorti e riparare quelli logori.

          Così colui che ha una vera cura del suo cuore deve ridargli forza in Dio la sera e la mattina, mediante gli esercizi. Da un punto di vista salesiano, la grazia precede la nostra risposta, ma richiede il nostro consenso. In questo modo noi “collaboriamo” con la grazia di Dio, perché «noi riceviamo invano la grazia di Dio, quando la riceviamo alla porta del cuore e non nel consenso del cuore». Per di più, questo consenso ha bisogno di essere espresso nelle azioni perché «avere in cuore il consenso senza maturarne l’effetto, sarebbe come piantare una vigna senza volere che fruttifichi».

5.    L’ascesi salesiana: libertà per amare

La nostra esplorazione dell’ascesi salesiana del cuore ci porta inesorabilmente più in profondità nel mistero della libertà e della grazia. Francesco afferma sinteticamente:

La libertà è la vita del nostro cuore [e] il più grande dono che possiamo dare a Dio […] Nemmeno Dio, che ci ha fatto questo dono, vuole mai violarlo. Invitandoci a rispondere con libertà, Dio desidera che lo facciamo volontariamente e liberamente […] Benché Dio sia onnipotente, non ha mai costretto alcuno a servirlo.

          Quest’enfasi sul nostro libero consenso all’amore ci conduce alla soglia della vita mistica perché presuppone la grazia preveniente di Dio sempre all’opera in noi. Nella terminologia salesiana questo è il ruolo delle ispirazioni. Sebbene si pensi generalmente che l’Introduzione sia un’opera ascetica e il Trattato sia di genere più mistico, questa chiara distinzione tra ascetica e mistica non è incoraggiata da Francesco di Sales. Anche se riconosce la differenza tra ascetismo e misticismo, egli li unisce insieme assegnando un ruolo fondamentale all’amore. La lotta o combattimento incluso negli esercizi ascetici è sentita come un atto d’amore. Brix osserva: Pare sorprendente non trovare alcuna insistenza sul sacrificio, la sofferenza, il dono di sé, la rinuncia. Essi, comunque, sono implicitamente contenuti nell’amore: infatti, l’unica cosa che Do ci chiede è il nostro cuore, cioè la nostra libertà, il libero dono di noi stessi. Possiamo offrire questo dono solo se ne siamo pienamente consapevoli e lo desideriamo ardentemente.

          L’amore trasforma l’ascesi, quindi è difficile stabilire quando lascia il passo alla mistica perché anch’essa è orientata all’unione con Dio per mezzo dell’amore. Come suppone giustamente Lajeunie:

La spiritualità salesiana è stata definita “una sintesi di ascetica e di mistica”; questo è apparentemente vero, ma esaminandola più attentamente, si può facilmente vedere che è di fatto pura mistica, dal momento che fin dai primi passi che l’anima fa nella fede, il nostro dottore scopre il ruolo decisivo dell’ispirazione e l’ispirazione è un fattore mistico. Di nuovo, l’ascensione dell’anima continua attraverso l’aspirazione sentita nel cuore: l’ascesi, dunque, è integrata nella mistica, e questa è la caratteristica dello spirito e del metodo del nostro santo.

          La libera volontà dà all’amore il suo valore prezioso, e il retto amore dà alla volontà la sua libertà. È tale visione positiva della libertà che ne caratterizza la comprensione salesiana. Questa è il valore centrale incastonato nelle profondità del cuore umano. Di fatto, essa è la ragione di vita del nostro cuore, ma anche dell’esistenza del desiderio in noi. Quindi, l’obiettivo degli esercizi ascetici nella spiritualità salesiana è quello di tornare al cuore per vivere la sua vocazione specifica che è l’amore. Un’ascesi dell’amore ci mette di fronte all’evidenza del fatto che i nostri cuori sono feriti o incrostati a causa del peccato originale, per questo motivo «sono affetti da ‘aritmia’; pulsano con un ritmo tutto loro». Il reditus ad cor, perciò, non è semplicemente «questione di ‘ritornare al cuore’ ma di ‘ricreare il cuore’, e solo Cristo può garantirci questa rigenerazione, questo nuovo inizio, questo nuovo cuore». Per vivere appieno la sua vocazione all’amore, il cuore umano ha bisogno, come nota Wright,

di un cuore mediatore, che possa collegare il regno umano e quello divino, un cuore che sia, contemporaneamente, modello e mediatore, in grado di trasformare i cuori umani e permettere loro di diventare ciò che per creazione devono essere. Questo cuore è il cuore crocifisso di Cristo, che invita tutti ad andare a lui e imparare da lui perché egli è mite e umile di cuore.

          La spiritualità dell’Introduzione, di conseguenza, punta alla nostra trasformazione in Cristo. La nostra assimilazione in Cristo ci porta alla nostra divinizzazione, inclusa in modo appropriato nel detto salesiano “Viva Gesù”. La grazia come divinizzazione va compresa come la libera partecipazione della persona alla vita di Dio liberamente offerta. Non è una qualità aggiunta, ma il compimento della nostra natura creata che possiamo conseguire se saremo pienamente umani. Francesco ricapitola così:

Insomma, il piacere che si prova nella cosa amata è in un certo senso un’avanguardia che fa penetrare nel cuore amante le qualità della cosa che piace; per questo la santa compiacenza ci trasforma in Dio che amiamo, e quanto maggiore sarà la sua dimensione, tanto più perfetta sarà la trasformazione; per cui i Santi che hanno fortemente amato si sono trasformati molto rapidamente e perfettamente, perché l’amore trasferiva e trasmetteva i modi di fare e gli umori da un cuore all’altro.

          L’idea della trasformazione in Cristo, quindi, pur essendo del tutto personale, è anche radicalmente comunitaria. Francesco di Sales evidenzia questa dimensione comunitaria affermando che, dal momento che ogni persona è creata ad immagine e somiglianza di Dio, «insieme noi rappresentiamo una stessa immagine, che è Dio». Qui si entra in quello che Lajeunie chiama il «Cristocentrismo cosmico» salesiano. Il vertice della creazione, dunque, è la comunione di tutti nell’amore vicendevole e con Dio.

Eunan Mc Donnell

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