“Testimoni verso Colonia”: incontriamo quella che forse è la più conosciuta dei testimoni verso la prossima Gmg: Edith Stein, canonizzata con il suo nome di religiosa, santa Teresa della Croce. La filosofa Angela Ales Bello: “Riuscì a unire contemplazione e azione e darsi un progetto di vita. Che realizzò in pieno nel dono di sè”.
del 01 marzo 2005
A parlarcene è la più grande esperta in Italia di Edith Stein, la professoressa Angela Ales Bello, docente di Storia della filosofia contemporanea alla Pontificia Università Lateranense di Roma. La prof.ssa Bello è anche presidente dell’Associazione Italiana Edith Stein, fondata alcuni anni fa per far conoscere la figura e spiritualità della carmelitana. Sulla martire di Auschwitz ha scritto una biografia della nostra testimone, Edith Stein. Patrona d’Europa (Piemme, 1999). Già, perché Edith è stata proclamata patrona del Vecchio Continente da Giovanni Paolo II in occasione della sua canonizzazione nel ‘99. 
 
Angela Ales Bello, inoltre, cura l’edizione italiana (presso Città Nuova) delle opere della Stein: opere intrise di quella filosofia fenomenologica che trova nell’evento di Cristo la cerniera sapienziale di comprensione della realtà. Con la professoressa Bello possiamo entrare nelle pieghe della vita e dell’esempio della santa che si fece monaca carmelitana a Colonia e morì martire nei campi nazisti.
 
Prof.ssa Ales Bello, chi è Edith Stein? Come presentarla a chi poco ne sa?
Le rispondo con una delle definizioni più sintetiche che sono state date di Edith: filosofa, ebrea, cristiana e martire. Edith fu una personalità dalle diverse sfaccettature e con varie dimensioni, anche se la sua caratteristica di fondo è l’essere un’intellettuale con aperture notevoli alla spiritualità, educazione e politica. La vita di Edith si snoda dagli ambienti accademici della sua giovinezza fino al “chiudersi” nel Carmelo di Colonia: una chiusura, se così vogliamo chiamarla, davvero particolarissima perché dalla clausura mantenne forti contatti con amici, giovani e sacerdoti.
 
Quale la dimensione più attuale della multidimensionalità di Edith?
È una persona che pian piano elabora un progetto esistenziale sempre più articolato, e giunge a realizzarlo. In un modo tutto suo. Il suo passaggio dall’ebraismo della famiglia al cattolicesimo avviene proprio grazie e a causa della sua ricerca intellettuale e dell’approfondimento spirituale. Edith scopre la Chiesa come luogo ecumenico e universale (“cattolico”, direi) che sgorga dall’incontro con Cristo. Questo rapporto fra Cristo e la Chiesa è il fondamento che chiarisce a Edith tutte le questioni del suo cercare. La sua inquietudine arriva a compimento nella vocazione monastica, che non è per lei chiusura agli altri ma invece vera apertura a partire dal contatto con Dio.
 
Come avvicinare Edith Stein senza essere fermati dalla “paura” di leggere una filosofa?
Molti scritti della Stein sono di carattere spirituale e trattano del rapporto della persona con Cristo e con la vita mistica. La sua attenzione alla pedagogia, inoltre, la rendono molto spendibile anche per l’educazione dei giovani e la trasmissione della fede. Penso che leggere una biografia di Edith, magari commentata, possa essere un primo passo significativo per avvicinarsi a questa straordinaria figura di santa.
 
Il Papa la indica ai giovani incamminati verso Colonia come modello di fede e di ricerca. La Gmg 2005 si caratterizza per il tema dell’“adorazione”, di cui Edith è stata assidua frequentatrice, vista la sua vocazione claustrale. Cosa può dirci il suo esempio al riguardo?
Tutta la vita di Edith è stata caratterizzata dal desiderio di mettersi in contatto costante con Dio: tale ricerca è giunta a maturazione completa con l’entrata in monastero. Ma questo “chiudersi” monastico non è stato mai per Edith un estraniarsi dalle vicende del mondo e dei fratelli. Il momento di adorazione, infatti, per lei serviva per mettersi in contatto con la vita di tutti i giorni, e non come periodo di “evasione” e benessere spirituale. In Edith l’adorazione e la contemplazione non sono in contrasto con la vita pratica, ma sono la fonte ultima, la sorgente prima della sua vita concreta.
 
Il martirio è stato l’ultimo atto della vita di Edith Stein. Guarda caso, proprio di recente il Papa ha detto ai giovani che testimoniare Cristo può portare a un “martirio quotidiano”, una testimonianza della fede fuori …
Edith non ha scelto il martirio, ma ha sempre dato una sua disponibilità: “Offro la mia vita per il popolo ebraico perché Gesù era ebreo” scriveva negli anni bui del nazismo. E quando fece questa scelta, Edith non sapeva che la sua fine sarebbe stata la camera a gas ad Auschwitz. Ma nel suo essere disponibile a seguire Cristo, ebreo, ella mette in preventivo il martirio come concretizzazione di questa sua aperta alla testimonianza di adesione totale a Gesù Cristo.
 
Quale il messaggio che la Stein può dare ai giovani di oggi?Può sembrare inattuale, ma Edith ha dimostrato che la realizzazione di sé può diventare qualcosa di “strumentale” di fronte a qualcosa di più grande e di più alto per la vita di una persona. Il modello culturale contemporaneo è sintetizzato nel successo mondano a tutti i costi, ma Edith mostra un altro paradigma di vita: spendere la propria esistenza per un traguardo più grande e più ampio del proprio tornaconto. È un messaggio ancora valido oggi, certo contro–corrente rispetto alla moda attuale, ma profondamente vero e pieno di significato. Penso inoltre che per i giovani di oggi Edith testimoni l’importanza di un programma esistenziale costruito alla luce di una profonda spiritualità che diventa spontaneamente apertura agli altri, un primato di Dio che si tramuta naturalmente in ascolto e attenzione al fratello.
Lorenzo Fazzini
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