La vita è una vocazione che inizia sulla terra e finisce in cielo Omelia per le ...

Carissimo don Piergiorgio, nel salutarti ci rimangono nel cuore queste parole che abbiamo trovato tra le tue carte: «Gesù ci insegna a gestire il distacco dalla persona che sale al cielo, continuando a mantenere la comunione spirituale. Dopo quello che si è vissuto assieme, rimane da vivere una missione, fatta di opere, ma soprattutto di sostegno dall'alto. La vita è una vocazione che inizia sulla terra e finisce in cielo».

La vita è una vocazione che inizia sulla terra e finisce in cielo Omelia per le esequie di don Piergiorgio Busolin

da MGS News

del 02 novembre 2006

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Omelia per le esequie di don Piergiorgio Busolin

(Sap 3,1-9; Rm 6,3-9; Lc 12,35-40)

 

 

1.   «Li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto» (Sap 3,6)

 

      Nel brano della Sapienza che abbiamo appena letto, l’autore affronta il tema della morte dei giusti: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio (…). Essi sono nella pace» (Sap 3,1.3). La «pace» è la pienezza di vita e di felicità; è la «pace» di chi è già presso Dio, fonte di vita e di felicità. La nostra fede cristiana ha espresso la sua serenità di fronte alla morte e la sua sicurezza dell’immortalità con le parole: «dorme, riposa in pace». Per capire il senso di una vicenda umana, il significato della vita, bisogna partire dalla «fine», che non è la morte, ma la nuova vita nell’aldilà.

      La sofferenza della vita presente è la prova cui Dio sottopone i giusti per purificarli. La ricerca fedele e amorosa della volontà di Dio, anche in mezzo a sofferenze e tribolazioni, costituisce la vera giustizia che assicura la vicinanza a Dio. La beatitudine eterna consiste nel vivere presso Dio nell’amore: «Quanti confidano in lui comprenderanno la verità; coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell’amore» (Sap 3,9).

In un foglietto inserito nel messale feriale, usato per la meditazione, don Piergiorgio ha scritto: «La morte va preparata con una vita che guarda in faccia la propria fine. Ci si prepara al giudizio di Dio. In quell’ora sarà il figlio dell’uomo a venirti incontro sulle nubi, con la croce del Risorto; alza il capo senza paura perché la tua liberazione è vicina. Vegliate e pregate in ogni momento!».

Si può anche dire che la morte è un sacrificio. Se è offerto senza riserve Dio l’accoglie con bontà, perché riconosce nella morte di ogni persona il sacrificio del suo Figlio diletto: «Dio li ha provati e li ha trovai degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto» (Sap 3,5-6).

Il sacrificio eucaristico che stiamo celebrando segna l’ingresso di don Piergiorgio nella vera vita con Cristo che, la vigilia della sua morte, diceva al Padre: «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io» (Gv 17,24).

 

2.   «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte» (Rm 6,4)

 

      Il brano della lettera ai Romani, che abbiamo appena letto, ci insegna che il battesimo ricevuto non ricorda semplicemente la morte di Cristo, ma fa entrare in rapporto con la morte di Cristo. Il battesimo incorpora chi crede in «Cristo», in modo da farlo vivere «in Cristo» e «per Dio», per poter essere un giorno «con il Signore» (1 Ts 4,17). Il battesimo è il momento in cui il credente è sottratto alla signoria del peccato, per camminare in libertà al servizio del vero Signore.

Il vero segreto della vita di don Piergiorgio trova il suo fondamento nel suo battesimo: il segreto della vita nuova battesimale è il «vivere per Dio» (Rm 6,11). Don Piergiorgio si è donato tutto a Dio fin dai primi anni della sua giovinezza, affidandosi con generosità alla volontà di Dio. In una sua riflessione scrive: «Gesù cerca sempre compagni di viaggio, ma lungo la strada chiede di fidarsi della sua guida; chiede di seguirlo subito, abbandonando famiglia, lavoro, amici; subito, quasi che non lasci il tempo per altre persone, il tempo per riflettere almeno un po’. La scelta di una vita cristiana rimane oggi e sempre la scelta di seguire Gesù, fidandoci di quello che ci chiede e avendo chiara la meta della nostra vita: andare verso la Gerusalemme Celeste con Gesù e coi molti  suoi discepoli».

 

3.   «Segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani» (Cost 2)

 

Vorrei ricostruire, sia pure in breve, il cammino di vita di don Piergiorgio.

 

Don Piergiorgio è nato a Ca’ Fornera, Jesolo (Venezia), l’11 aprile 1941 da Pietro e Antonia Carniel e viene battezzato nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Jesolo il 16 aprile. Nella stessa parrocchia riceverà la cresima il 12 novembre 1950.

Il primo incontro con don Bosco avviene nell’Oratorio di San Donà di Piave, nell’ottobre del 1944. Dopo aver frequentato le scuole elementari al paese, parte per l’aspirantato a Castello di Godego il 24 ottobre 1953 e il 24 maggio 1959 chiede di entrare in Noviziato ad Albaré di Costermano, dove, un anno dopo, emette la prima professione religiosa (16 agosto 1960).

Dopo gli studi filosofici a Cison di Valmarino (1960-1964) viene destinato come assistente nell’aspirantato di Castello di Godego (1964-1967), dove si manifesta laboriosità e attitudini pratiche. Si inserisce bene nello spirito religioso della comunità, dimostrando un carattere socievole, giudizioso ed equilibrato; è di esempio nella osservanza della vita religiosa e nella vita apostolica. Uno stato gracile di salute lo accompagna fin dagli inizi della vita salesiana, ma non gli impedisce di immergersi nello studio e nell’intenso lavoro salesiano.

Nel 1967 inizia gli studi di teologia a Monteortone (1967-1969) e successivamente allo Studio Teologico Salesiano Saval di Verona (1969-1970). Viene ordinato sacerdote a Padova il 6 aprile 1971 da Mons. Girolamo Bortignon.

Inizia il suo sacerdozio con gli aspiranti di Castello di Godego (1971-1975) come animatore e insegnante, dimostrando doti di relazione che gli permettevano di entrare in sintonia spirituale con i giovani.

Dopo un anno di studio nella Comunità di San Tarcisio a Roma (1975-1976) viene destinato all’oratorio di San Donà di Piave, prima come incaricato dell’Oratorio (1976-1986) e poi come direttore (1986-1992). In mezzo ai giovani oratoriani evidenzia le sue doti di animatore nel cortile, nei gruppi e nelle varie attività, manifestando la simpatia e la volontà di contatto con i giovani. Un atteggiamento di fondo, appreso alla scuola di don Bosco, che non lo abbandonerà mai: «Qui con voi mi trovo bene, è proprio la mia vita stare con voi» (MB IV, 654). La sua presenza in mezzo ai giovani è attiva ed amichevole, intenta a favorire ogni loro iniziativa per crescere nel bene. Il suo intervento è forte nell’incoraggiarli a liberarsi da ogni schiavitù, affinché il male non domini la loro fragilità. La sua era una presenza accogliente, vigile e costante; una presenza mite, ma ferma e decisa. Era difficile poter parlare con lui di cose che non fossero i cammini vocazionali dei giovani e le loro difficoltà, le strategie per una maggiore efficacia apostolica e per veicolare i valori umani e cristiani. Non era raro che condividesse la sua stessa esperienza spirituale, parlando come un bambino delle sue difficoltà, chiedendo consigli per timore sbagliare o di non essere all’altezza. Non era mai abbastanza quello che avrebbe dovuto fare. Sapeva ascoltare i giovani con il cuore prima che con la mente e sapeva farsi carico dei loro problemi: ne veniva fuori sempre una soluzione umana e spirituale, caratteristica di chi sa mettere a disposizione in armonia intelligenza e cuore. Aveva l’umiltà di indirizzare le persone a chi gli pareva più adatto e competente, senza mai un briciolo di gelosia o presunzione.

Al termine dell’intensa stagione di missione apostolica a San Donà di Piave viene inviato all’Istituto «G. Bearzi» di Udine come catechista (1992-1994) e nel 1994 viene nominato direttore all’Istituto «San Marco» di Venezia Mestre dove rimarrà per nove anni come Direttore (1994-2003).

Nel 2003 il compianto don Claudio Filippin lo invia a Mogliano Veneto come incaricato della Comunità Proposta e della animazione vocazionale ispettoriale. Per gli ultimi tre anni di vita passati con i giovani in ricerca vocazionale possiamo applicare a lui le parole di don Bosco: «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita» (Don Ruffino, Cronaca dell’Oratorio, ASC 110, quaderno 5, p. 10).

 

Don Piergiorgio è stato un salesiano capace di coltivare l’amicizia in profondità, è stato «segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani» (Cost 2). L’amore di Dio si è servito di lui per fare arrivare in comunità giovani, adulti e tanta provvidenza. I genitori, conosciuti all’Istituto San Marco di Venezia Mestre, venivano volentieri a fare i lavori di casa, a portare viveri, a pregare, a fare adorazione eucaristica per le vocazioni, a confessarsi e a far festa con la comunità.

I giovani della Comunità Proposta sottolineano l’atteggiamento allegro e gioioso che si componeva con l’operosità instancabile e la cura di far bene ogni cosa con semplicità e misura: «Scherzava volentieri con noi, facendosi giovane con i giovani: ricordiamo le guerre con i cachi, le lotte sulla neve, il lancio di coriandoli e il suo modo scherzoso di fare. Ci colpiva la sua disponibilità e umiltà nella cura della casa e dei servizi quotidiani: pulizia dei bagni, lavare i piatti, curare i fiori della chiesa. Era particolarmente attento a curare la preghiera, il canto e la meditazione quotidiana che chiedeva anche alla comunità e ai giovani». Fino agli ultimi giorni ha continuato la sua presenza quotidiana in cortile, giocando a basket, calcio, pallavolo, con qualsiasi tempo, anche se sentiva il distacco di età dai giovani che incontrava.

Don Piergiorgio ha fatto della sua vita un dono per Dio e per i giovani. Tutto il resto è sempre passato in secondo ordine. La sua scelta di darsi tutto a Dio e ai giovani ha fatto crescere in lui la virtù dell’obbedienza e dell’umiltà. Sapeva rimettere tutto nelle mani di Dio, con grande senso della provvidenza, e nella convinzione che solo quando si dà tutto, anche se poco, la vita diventa feconda agli occhi di Dio. Ha vissuto il servizio ai giovani con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatiche, ma sempre con la sensibilità di un cuore umile e generoso. Ha vissuto con un grande senso di umiltà, anche quando questa significava umiliazione.

Si è sempre preoccupato di curare personalmente i giovani della Comunità Proposta preoccupandosi che ognuno avesse una guida spirituale che lo seguisse nel cammino vocazionale. Disponibile ad accogliere i gruppi più vari in Comunità durante i fine settimana, riempiva la casa fino all’inverosimile. Voleva che tutti si sentissero come a casa loro, offrendo quello che c’era. Una ragazzo del San Marco, orfano di padre, ha detto al telefono piangendo: «è morto il mio migliore amico».

      Operando per la salvezza dei giovani don Piergiorgio ha fatto esperienza della paternità di Dio ed ha coltivato l’unione con Dio, avvertendo l’esigenza di pregare in dialogo semplice e cordiale con il Signore Gesù, in particolare nel sacramento dell’Eucaristia. In un foglio inserito nel messale scrive: «La visita a Gesù eucaristia è fondamentale. La collocazione della cappella nell’edificio salesiano deve essere accessibile a tutti. Eucaristia e Confessione frequente sono il segreto della santità salesiana. I santi dell’amore del prossimo sono i santi dell’amore all’eucaristia. Il corpo eucaristico ci trasforma in corpo mistico che ci divinizza».

 

4.   «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli» (Lc 12,37)

 

      L’evangelista Luca ci ha annunciato oggi una beatitudine di Gesù: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37). La vita umana ha senso se viene compresa come il tempo della responsabilità, tempo donato e da accogliere come tale nel prendersi positivamente cura di sé e degli altri, prima che il padrone torni.

      Don Piergiorgio ha chiesto al Signore di non chiamarlo all’improvviso, ma di lasciargli il tempo per prepararsi all’incontro gioioso con Lui. Il Signore lo ha accontentato: nelle ultime ore si è preparato all’incontro con il «Signore che viene» con la confessione ed ha ricevuto il dono dell’unzione degli infermi. Il Signore Gesù, giungendo «prima dell’alba» (Lc 12,38), lo ha trovato come un servo fedele e vigilante e lo ha posto alla tavola del suo Regno, si è fatto suo servitore e lo ha onorato come un ospite stimato ed amato.

      Carissimo don Piergiorgio, nel salutarti ci rimangono nel cuore queste parole che abbiamo trovato tra le tue carte: «Gesù ci insegna a gestire il distacco dalla persona che sale al cielo, continuando a mantenere la comunione spirituale. Dopo quello che si è vissuto assieme, rimane da vivere una missione, fatta di opere, ma soprattutto di sostegno dall’alto. La vita è una vocazione che inizia sulla terra e finisce in cielo».

don Eugenio Riva

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