Le «barriere» del mondo che non vogliono crollare

Con il Muro si è sbriciolata anche l'illusione che tutte le barriere sparissero. La storia ha scoperto e inventato altri muri, altre barriere, ha secreto altre divisioni...

Le «barriere» del mondo che non vogliono crollare

 

Venticinque anni fa si “sbriciolava” il Muro che aveva tagliato in due, come un’implacabile mannaia, Berlino. Il mondo esultava, la cicatrice della storia appariva risanata, il blocco dell’Est evaporava, pensatori come Francis Fukuyama vaticinavano la fine della storia, in molti scommettevano sul compimento delle promesse, per tanti era il vagito di una nuova era, quella della pace mondiale.

A distanza di 25 anni l’ubriacatura si è dissolta. E con il Muro si è sbriciolata anche l’illusione che tutte le barriere sparissero e che i confini si risolvessero in cuciture permeabili e attraversabili. La storia ha scoperto e inventato altri muri, altre barriere, ha secreto altre divisioni (ultima, ma per ora siamo agli annunci, potrebbe sorgere in Ucraina). Si edificano reticolati per fermare chi bussa alle porte della prosperità (Ceuta Melilla, Usa-Messico). Si innalzano barriere per mummificare la storia (Coree). Si chiude per sigillare un territorio e immunizzarlo dal terrore (Cisgiordania). E la mappa delle divisioni appare oggi drammaticamente lunga.

Da una parte la prima economia al mondo. Dall’altra un Paese devastato dalle mattanze dei narcos. In mezzo  un confine lungo 3.200 chilometri. Che il governo Usa vuole sigillare con una barriera lungo un terzo del percorso. L’obiettivo? Bloccare l’immigrazione dal Messico e dagli altri Paesi dell’America centrale.

È una striscia di terra che taglia la Penisola Coreana e serve come zona cuscinetto tra le due Coree, l’aggressivo (e povero) Nord, il democratico (e ricco) Sud. La Zona demilitarizzata coreana è lunga 248 chilometri e larga 4. Ha un triste primato: è il confine più armato del mondo.

Un altro muro sopravvive in Europa. A Cipro. Le forze turche invasero ed occuparono la parte nord dell’isola nel 1974 dopo il golpe dei grecociprioti appoggiato dalla Grecia. La linea verde divenne una vera barriera con 180 chilometri di filo spinato, e una “no man’s land” di larghezza variabile, dai 3 metri nel centro della capitale ai 7,5 chilometri nel villaggio di Athienou. Si erge invece alle porte dell’Europa la barriera di Ceuta e Melilla: nelle due enclave spagnole situate in territorio africano, oltre lo Stretto di Gibilterra sono state edificate due barriere di filo spinato (di 8,2 e 12 chilometri) al confine con la Spagna per bloccare l’accesso in massa degli immigrati che vogliono raggiungere l’Ue. Costruite alla fine degli anni Novanta, da allora sono state innalzate fino a raggiungere l’altezza di 6 metri.

La barriera di separazione israeliana è invece un sistema di barriere fisiche costruito in Cisgiordania a partire dalla primavera del 2002 con il nome di security fence allo scopo d’impedire fisicamente l’intrusione dei terroristi palestinesi dopo la stagione degli attentati suicidi in Israele. La barriera, lunga circa 700 chilometri, è stato ridisegnato più volte a causa delle pressioni internazionali, consiste in una successione di muri, trincee e porte elettroniche.

L’Arabia Saudita ha costruito un muro di cemento al confine con lo Yemen, equipaggiato con le più sofisticate e moderne apparecchiature elettroniche di sorveglianza. Il muro dovrebbe “proteggere” il Paese dagli immigrati provenienti dallo Yemen. Il re saudita Abdallah ha anche annunciato la costruzione di quasi 900 chilometri di barriere e posti di controllo a difesa dalle infiltrazioni jihadiste dello Stato islamico dall’Iraq. Anche nel cuore dell’Africa troviamo la “ferita” di un muro. Il Botswana ha annunciato nel 2003 la costruzione di una barriera elettrica metallica al confine con lo Zimbabwe. Lunga 500 chilometri per un’altezza di due metri, ufficialmente è stata edificata con lo scopo di prevenire la diffusione tra il bestiame di malattie infettive da altri Paesi. Di fatto la barriera elettrica voleva essere una barriera dai civili in fuga dal vicino Zimbabwe.

Infine un altro fronte caldo (e minaccioso). La linea di demarcazione militare che divide India e Pakistan è chiamata “Linea di Controllo”, si estende per 3.300 chilometri e dal 1949 divide la regione del Kashmir in due zone: quella sotto il controllo indiano e quella sotto il controllo pachistano. A partire dal 1990 l’India ha iniziato a costruire dal suo lato una barriera di separazione, completata nel 2004.

 

 

Luca Miele

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