Le famiglie cristiane devono essere “fuoco acceso” nella società per mostrare apertamente la bellezza della vita cristiana, ha affermato il Cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia...
del 21 settembre 2008
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Le famiglie cristiane devono essere “fuoco acceso” nella società per mostrare apertamente la bellezza della vita cristiana, ha affermato il Cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia.
 
Incontrando i giornalisti nella sede del dicastero, di cui ha assunto la guida recentemente (cfr. ZENIT, 8 giugno 2008), il porporato ha affermato che “se non abbiamo qualcosa da far vedere è difficile persuadere”.
 
E' per questo che “la bellezza della famiglia cristiana deve essere testimoniata concretamente”, ha dichiarato, esortando a “edificare autentiche famiglie cristiane che possano essere un fuoco acceso, un punto di riferimento per tutti” e siano caratterizzate “da un'unità profonda, nel rispetto delle differenze, con un'apertura generosa alla vita” e “la cura delle persone più deboli”.
 
Il Cardinale ha quindi ricordato le “due linee generali di impegno” del Pontificio Consiglio che presiede: “promuovere il rispetto della vita umana, l'etica della vita, cioè la cosiddetta bioetica”, e “promuovere la valorizzazione della famiglia nella Chiesa, nella cultura e nella società civile”.
 
Vita e famiglia, sostiene, sono “beni fondamentali” della persona, dove quest'ultima è “più che individuo”, cioè “soggetto singolo, irripetibile, autocosciente, libero, ma anche costitutivamente in relazione” “con gli altri e con l'Altro”.
 
Secondo il porporato, è proprio nella famiglia – nel rapporto uomo-donna e genitori-figli – che “si giocano le differenze fondamentali dell'umano”, e tali differenze “si intrecciano, si legano tra loro e sviluppano tutta la loro ricchezza, tutta la loro potenzialità”.
 
I progetti che il nuovo presidente vuole realizzare nel dicastero sono essenzialmente due: da un lato, “attivare maggiormente la consultazione con i Vescovi, le Conferenze Episcopali, le famiglie, gli esperti, le istituzioni che si interessano della famiglia, le associazioni”; dall'altro, “privilegiare la pastorale ordinaria per le famiglie e con le famiglie”, nelle parrocchie e nelle associazioni.
 
Questo secondo aspetto è particolarmente rilevante nel momento in cui si vuole far conoscere la realtà della famiglia cristiana felice, alla cui base deve esserci anche una grande attenzione alla preparazione dei coniugi, da iniziare già nel periodo del fidanzamento.
 
Per questo, il Cardinale ha auspicato che il cammino precedente il matrimonio sia non un corso, ma un vero e proprio itinerario, “il più possibile personalizzato”.
 
Allo stesso modo, è necessaria grande cura per le famiglie in difficoltà o che non sono in piena sintonia con la Chiesa.
 
A questo proposito, ha sottolineato, non si deve pensare soltanto alla situazione dei divorziati, ma anche alle violenze familiari, ai rapporti sbagliati tra genitori e figli e ad altri problemi che spesso sfuggono alle statistiche ma sono dolorosi quanto le separazioni.
 
In queste situazioni, la Chiesa deve essere presente e “sostenere le coppie in difficoltà, non lasciarle sole”, mostrando di voler “aprire degli spazi per tutti” per “essere maestra e madre”.
 
Circa la delicata questione dei divorziati risposati, il Cardinale ha affermato che si cerca di “accoglierli in tutti i modi possibili, per far sentire che la Chiesa è accanto a loro, li inserisce concretamente nella vita della comunità cristiana, crea anche anche dei cammini specifici di sostegno”.
 
Nonostante questo, ha affermato, “non possiamo dimenticare che il matrimonio indissolubile è nel Vangelo, e la Chiesa oggettivamente deve riconoscere che queste situazioni non sono in piena sintonia con il Vangelo stesso”.
 
Visto che la Chiesa non può approvare queste realtà “perché deve essere segno pubblico del Vangelo e delle sue istanze”, il Cardinale ammette di “non vedere spiragli” per la possibilità che i divorziati risposati possano ricevere l'Eucaristia, giacché quest'ultima richiede una piena comunione con la Chiesa “a livello interiore e a livello visibile”.
 
Il “peccato fondamentale” in questo caso, ha osservato, è quello di “non riconoscersi peccatori e bisognosi della misericordia di Dio, di essere salvati”; “gli uomini si autogiustificano, fanno la legge morale secondo la propria coscienza, come se fossero autosufficienti”.
 
Per il Cardinale Antonelli, questa situazione è la perfetta esemplificazione del “peccato originale”, “quello che è alla radice di tutti i peccati: l'uomo che vuole essere autonomo da Dio, autonomo dalla verità oggettiva, quindi non cerca la verità, non aderisce alla verità, ma pretende di costruire lui stesso la verità, di stabilire cosa è vero e cosa è falso”.
 
Compito della Chiesa è allora quello di aiutare a comprendere e a vivere la verità senza abdicare dall'insegnamento del Magistero. Come diceva Giovanni Paolo II, ha ricordato il presidente del dicastero vaticano, “non dobbiamo abbassare la montagna”.
 
“La montagna è alta, è difficile, il cristianesimo è difficile”, ha riconosciuto, ma bisogna “aiutare le persone a salire la montagna con il loro passo”, perché “possano almeno fare i passi che sono capaci di fare”.
 
Roberta Sciamplicotti
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