I diritti degli adulti contano più della sofferenza dei giovani... Abbiamo bisogno di un nuovo eroismo; dobbiamo reimparare che prima del “diritto a rifarsi una vita” viene il dovere di “donare la propria vita”.
del 18 dicembre 2006
Non avevo mai visto un ragazzino piangere in quel modo. Mi è successo due giorni fa. Mi trovavo nel corridoio di una scuola media. Fuori della porta della classe prima c'era uno studente, evidentemente espulso dalla professoressa. Baratto due parole con lui, quando esce la docente e, nel sentirla parlare col ragazzo, capisco cosa è successo: il giovinotto (richiamato verbalmente per non aver fatto i compiti) aveva risposto, strafottente, “Io la sfido”! Risultato: fuori dalla porta. Il ragazzo è lì, tra l'imbronciato e l'umiliato. Ma la situazione precipita quando la professoressa gli chiede se aveva avuto problemi in famiglia. Il ragazzino piange a dirotto; un pianto vero, nervoso, angosciato, disperato. Il pianto di uno che vede buio nella propria vita, che sente sopra di sé il peso dell'esistenza, che non vede luce. Undici anni e tanta sofferenza nel cuore! M'informo: è figlio di genitori separati, il più grande di tre fratelli, e ora deve badare anche alla sorellastra, che la madre ha avuto da un altro uomo.
 
Avrò conosciuto almeno un migliaio di giovani nella mia carriera di docente e, per esperienza, so che dietro la stragrande maggioranza di ragazzi che presentano problemi psicologici, che sono iperattivi e irrequieti o, al contrario, chiusi e involuti, e comunque sempre in difficoltà quando si tratta di applicarsi nello studio, ci sono casi di traumi provocati da separazioni familiari. Quest'anno ho conosciuto due studenti ripetenti, bravi ragazzi, intelligenti e anche buoni, ma in evidente difficoltà nel rapportarsi con la vita di tutti i giorni. Una chiacchierata informale e il problema salta subito fuori: M. è stato abbandonato dal padre quando è nato, e nutre nei suoi confronti un senso di rivincita e quasi di vendetta; non gli ha perdonato quel che ha fatto a sua madre e la ferita che gli ha aperto nel cuore.
 
A., invece, ha assistito, all'età di cinque anni, alla separazione dei suoi; gli mancava la figura paterna, si sentiva diverso rispetto agli altri bambini, voleva capire. La madre lo porta dallo psicologo, che non fa altro che confondergli le idee. Poi la decisione di andare a vivere col padre: “Lui aveva preso una nuova compagna in casa, da cui aveva avuto un'altra figlia, e forse fu quello che mi fece più male: vedere un'altra persona, che non fosse mia madre, che stava con mio padre da cui aveva avuto per giunta un'altra figlia che io dovevo chiamare sorella, ma che non aveva niente a che vedere con mia madre”. Finalmente capisce e torna a vivere con la mamma.
 
Un caso che mi ricorda quello di F., una mia studente che aveva notevoli difficoltà anche ad esprimersi. Mi raccontò dello schock avuto per la separazione dei suoi. Poi se ne era dovuta fare una ragione e si era autoconvinta che era giusto così, perchè “quando non provi più niente è giusto che ti rifai una vita”. I diritti degli adulti contano più della sofferenza dei giovani. I figli devono capire, farsene una ragione, crescere in fretta. Come J. (una genialoide, casinara, bisognosa di affetto), che mi confessava di sentirsi a volte più adulta di sua madre, ovviamente separata.
 
Ora, si dirà, casi del genere sono sempre esistiti. Già, sarà pure così, ma l'inflazione attuale è un fatto del tutto nuovo. L'eccezione è diventata la regola e i casi abnormi (come quello di un tizio che si è fatto un vero e proprio harem e ha figli da tre donne diverse) stanno diventando normali. S'impone la famiglia “leggera” (tra poco non sarà più nemmeno famiglia, ma una sigla, PACS), quella stile Beautiful, sempre cangiante, sempre fluttuante. E l'immagine falsa è quella che tutto sia rose e fiori, mentre la realtà è fatta di traumi, dolori, ferite irrecuperabili, sulla pelle dei poveri figli.
 
Il problema è alla radice. Prendete i bulli e scavate nel loro vissuto, andate a guardare dietro la loro frenesia, i loro atteggiamenti da spaccamondo, i loro “ti sfido”. Troverete il pianto disperato di un ragazzino sconvolto dalla brutalità di un affetto strappato; scoprirete occhi che si sono dovuti aprire troppo presto sul baratro del male; troverete (quando va bene) madri e padri che viziano, solo per farsi perdonare, per surrogare quello che non hanno saputo garantire. Tutti argomenti scottanti, di cui ovviamente Beautiful non parla mai.
 
Le statistiche in Italia parlano chiaro: ci si sposa di meno, ci si lascia di più. I matrimoni calano, le separazioni e i divorzi aumentano di continuo (ce n'è una ogni 4 minuti!). La tendenza è quella a risposarsi, ovviamente in municipio. In Parlamento e sui giornali si discute di come rendere più leggero il vincolo matrimoniale e dei diritti all'eredità per le coppie omosessuali. E' il “diritto a rifarsi una vita” quello che va garantito!
 
Un giorno, forse, apriremo gli occhi, e ci metteremo a considerare quante vittime ha fatto il divorzio, questa “conquista di civiltà”. Conteremo i cuori spezzati, gli insuccessi nella vita, i brandelli di esseri umani che ha lasciato sul terreno.
 
“Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli!” ha detto Uno. Ora che ho visto il pianto disperato di un ragazzino, i suoi angosciosi singhiozzi, quell'avvertimento mi risulta più chiaro.
 
Abbiamo bisogno di un nuovo eroismo; dobbiamo reimparare che prima del “diritto a rifarsi una vita” viene il dovere di “donare la propria vita”.
Gianluca Zappa
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