Le vie della educazione vocazionale (in famiglia ma non solo)

...di mons. Angelo Comastri.La prima via: stare insieme! - La seconda via: offrire modelli di vita - La terza via: orientare ed accompagnare i figli - Quarta via: far incontrare i giovani con la sofferenza quinta via: la preghiera in famiglia.

Le vie della educazione vocazionale (in famiglia ma non solo)

da Quaderni Cannibali

del 19 novembre 2005

LA PRIMA VIA: STARE INSIEME!

Mons. Tonino Bello, Vescovo “santo” di Molfetta, un giorno ad un convegno di genitori raccontò un episodio fortemente significativo.

Una giovane mamma - disse il Vescovo -, tornando a casa dal lavoro, passò a prendere la propria bambina alla scuola “a tempo pieno” La bambina, salutando la mamma con grande gioia, sentì subito il bisogno di dirle: “Mamma ho una sorpresa per te! Voglio parlarti un pochino... con calma”.

La mamma, eccitata dal traffico caotico della città e innervosita dal peso del lavoro appena concluso, disse alla bambina: “Ora stai calma! Arriviamo a casa. Non vedi quanto sono stanca?”. E subito accese una sigaretta, incurante del danno che arrecava ai giovanissimi polmoni della piccina, la quale, senza farsi vedere, abbassò di due dita il vetro del finestrino. Giunta a casa, la bambina, cosi come fanno i bambini, riprese subito il discorso interrotto: “Mamma ora stai un pochino con me?”. La mamma prontamente reagì: “Ora?! Ma non vedi quante cose ho da fare? Devo preparare la cena, fra poco torna papa! Devo fare tutto io... non lo vedi?”. La bambina non azzardò ribattere, ma si fece triste sul volto lasciando parlare i suoi occhi delusi: la mamma lo notò... e accese velocemente la televisione cercando i cartoni animati (pensate, che delicatezza!) per far distrarre la bambina.

Arriva il papà, ci si mette a tavola, qualche parola viene strappata durante gli intervalli (brevi!) televisivi... e poi a letto, cara piccina! La bambina, prima che la mamma spegnesse la luce, ebbe il coraggio di dirle: “Mamma ho una cosa da dirti”.

La mamma prontamente la tranquillizzò dicendo: “Dormi tesoro mio! Dì subito la preghierina e poi dormi tranquilla”. La bambina guardò la mamma con dolore e delusione... e la mamma delicatamente (ci mancherebbe!) spense in fretta la luce. Ma, tornata in cucina, non riuscì a dimenticare gli occhi addolorati della piccina e, furtivamente, entrò in camera per verificare se la bambina stesse dormendo. La bambina evidentemente non dormiva, ma stava singhiozzando. La mamma accese subito la luce del comodino e si sedette sul bordo del lettino e strinse fortemente al petto la bambina, chinandosi su di lei. “Piccola mia!”, disse affettuosamente la mamma, notando con stupore la mano destra della bambina, stretta come un pugno minaccioso.

“Apri la mano! –fu la prima reazione– Perché fai così? Che significa questo?”. La bambina, accogliendo l’invito insistente della mamma, apre la mano e mostra un foglio di quaderno accartocciato con rabbia. Su quel foglio, che la mamma subito distese per leggerlo, c’era scritto con larga grafia infantile: “Mamma, presto è la festa della mamma! Voglio anticiparti gli auguri e dirti che ti voglio tanto bene perché tu hai sempre tempo per giocare con me!”.

La mamma aveva smentito tutto e la dolce mano della bambina si era trasformata in un pugno... di amara delusione. Quante volte accade così!

Il primo compito dei genitori è dare tempo ai figli, è trascorrere ore ed ore con loro, è lasciarli parlare e dialogare con loro sui problemi che crescono con l’età e si modificano con gli anni.  

 

LA SECONDA VIA: OFFRIRE MODELLI DI VITA

Lo scrittore francese Georges Bernanos, in una acuta analisi sullo svuotamento spirituale che caratterizza la società moderna, cosi scriveva: “Non è possibile capire la società contemporanea se non si prende atto che essa è costituita da una vera congiura contro l’interiorità. Ma, attenti bene! Una civiltà non crolla come un edificio. Si direbbe più esattamente che una civiltà crolla svuotandosi a poco a poco della sua sostanza, finché non resta che una scorza senza più un contenuto. E allora avviene il crollo”.

E qualcosa di simile può accadere alle persone, quando si lasciano guidare dai “modelli frivoli e vuoti”, che popolano il mondo televisivo, il mondo dello sport, il mondo dello spettacolo e il mondo della politica. Bisogna, infatti, che ci ricordiamo sempre che la vita (e, in modo particolare, la vita di un figlio che cresce e cerca segnali per prendere la giusta direzione) dipende fondamentalmente dai modelli ai quali ognuno fa riferimento per ispirare le proprie scelte.  

 

LA TERZA VIA: ORIENTARE ED ACCOMPAGNARE I FIGLI

Oggi molti giovani vivono una lunghissima adolescenza, restando in casa dei genitori fino (o quasi) ai trent’anni. È comodo fare cosi, ma li prepara alla vita?

I genitori che amano i figli devono sentire la preoccupazione di stimolarli a crescere, spingendoli ad assumersi responsabilità e orientandoli a vivere esperienze forti, che li aprano al dono di sé. Perché questa è la vita adulta: la vita di chi sa donare e donarsi.

Non molto tempo fa ho avuto un incontro indimenticabile.

Erano le dieci di sera nella piazza del Santuario di Loreto. Mi accosto ad una culletta sostenuta dalle braccia robuste di un barelliere dell’UNITALSI, ma non vedo un bambino bensì una donna adulta: un piccolissimo corpo (appena 58 centimetri!) con un volto splendidamente sorridente. Tendo la mano per salutare, ma l’ammalata con gentilezza mi risponde: “Padre, non posso darle la mano, perché potrebbe fratturarmi le dita: io soffro di osteogenesi imperfetta e le mie ossa sono fragilissime. Voglia scusarmi”. Non c’era nulla da scusare, evidentemente. Rimasi affascinato dalla serenità e dalla dolcezza dell’ammalata e volevo sapere qualcosa di più della sua vita. Mi prevenne e mi disse: “Padre, sotto il cuscino della mia culletta c’è un piccolo diario. È la mia storia! Se ha tempo, può leggerla”. Presi i fogli e lessi il titolo: Felice di vivere! I miei occhi tornarono a guardare quel mistero di gioia crocifissa e domandai: “Perché sei felice di vivere? Puoi anticiparmi qualcosa di quello che hai scritto?”.

Ecco la risposta: “Padre, lei vede le mie condizioni... ma la cosa più triste è la mia storia! Potrei intitolarla così: abbandono! Eppure sono felice, perché ho capito qual è la mia vocazione.

Io, per un disegno d’amore del Signore, esisto per gridare a coloro che hanno la salute: ‘Non avete il diritto di tenerla per voi, la dovete donare a chi non ce l’ha, altrimenti la salute marcirà nell’egoismo e non vi darà la felicità.

Io esisto per gridare a coloro che si annoiano: ‘Le ore in cui voi vi annoiate... mancano a qualcuno che ha bisogno di affetto, di cure, di premure, di compagnia; se non regalerete quelle ore, esse marciranno e non vi daranno la felicità’.

Io esisto per gridare a coloro che vivono di notte e corrono da una discoteca all’altra: ‘Quelle notti, sappiatelo!, mancano, drammaticamente mancano a tanti ammalati, a tanti anziani, a tante persone sole che aspettano una mano che asciughi una lacrima: quelle lacrime mancano anche a voi, perché esse sono il seme della gioia vera! Se non cambierete vita, non sarete mai felici!”.

 Io guardavo l’ammalata, che parlava dal suo pulpito autorevole: il pulpito del dolore! Non osavo commentare, perché tutto era stupendamente e drammaticamente vero. E l’ammalata aggiunse: “Padre, non è bella la mia vocazione?”. Annuii e dissi tra me: sono proprio queste le esperienze che mancano ai giovani. Esperienze che li possano rendere adulti!  

 

QUARTA VIA: FAR INCONTRARE I GIOVANI CON LA SOFFERENZA

Quand’ero bambino, una sera la mamma mi disse: “Sta morendo la zia Marietta: vieni con me”. Istintivamente risposi: “No, non voglio venire, perché ho paura: non voglio vedere la morte”.

Ma la mamma, con grande saggezza, mi rispose: “Ascoltami, figlio mio! Tu lo sai quanto ti voglio bene e proprio per questo voglio che tu venga con me, perché la morte fa parte della vita: devi conoscerla per imparare a vivere”.

In quel momento non capii la risposta della mamma, ma, con il passare degli anni, ho dovuto riconoscere quanto fosse grande la capacità educativa della mia mamma quasi analfabeta: non mi risparmiò il contatto con la fatica e con il dolore... perché crescessi... perché imparassi la compassione... perché uscissi dall’egoismo ed entrassi nello stile della dedizione agli altri.

Elisabeth Kubler Ross, la psicologa di origine svizzero- tedesca trasferitasi a Chicago da tanti anni, ha raccontato: Venne un momento della mia vita in cui mi accorsi che avevo messo al mondo due figli, che avevo dato loro il benessere, un’educazione, un’istruzione; e che però erano vuoti, vuoti come una lattina di birra già bevuta. Mi sono allora detta che dovevo fare per loro qualcosa che non fosse soltanto materiale. Così, d’accordo con mio marito, prendemmo in casa un ospite: un vecchio di settantaquattro anni, al quale i medici avevano diagnosticato non più di due mesi di vita. Volevo che i miei figli gli fossero vicini nel suo cammino verso la morte, volevo che vedessero, che toccassero con mano l’esperienza più importante nella vita di un uomo. L’ospite restò con noi non due mesi, ma due anni e mezzo, accolto in ogni cosa come un membro della famiglia. Ebbene: quell’esperienza ha portato ai miei figli un’incredibile ricchezza spirituale, quei trenta mesi Ii hanno straordinariamente maturati. In quello sconosciuto fratello venuto a morire fra loro, giovani e sani, i miei figli hanno scoperto un significato nuovo per la loro vita; sono diventati davvero adulti. È lui, quel povero vecchio, che ha fatto un dono inestimabile a noi; non noi a lui, che pure l’abbiamo curato e assistito con tutto l’amore di cui eravamo capaci”.  

 

QUINTA VIA: LA PREGHIERA IN FAMIGLIA

Madre Teresa di Calcutta ripeteva insistentemente: “È necessario riportare la preghiera dentro la famiglia. Quando una famiglia prega, non crolla: la famiglia che prega, sta in piedi”.

 E lo diceva con la convinzione di chi ne ha fatto l’esperienza. La famiglia di Madre Teresa, infatti, fu segnata da prove indicibili (due sorelline morirono in tenera età a causa di un incidente; il papà venne ucciso quando Madre Teresa aveva appena nove anni e la miseria, prima sconosciuta, entrò improvvisamente nella casa). Eppure tutto fu superato; e nella famiglia regnò sempre la pace, l’ottimismo, la generosità e la gioia di vivere. Perché? Perché questo miracolo? La risposta è una sola: perché in quella casa restò sempre accesa la lampada della preghiera. “La preghiera dentro la casa: che cosa stupenda!”.

Madre Teresa era solita aggiungere: “Quando si prega, i volti diventano più belli”. È vero. Infatti la preghiera ci fa vedere tutto nella luce di Dio e ci fa scoprire qual è la bellezza autentica delle persone. È vero. Infatti la preghiera ci fa vedere tutto nella luce di Dio e ci fa scoprire qual è la bellezza autentica delle persone.

mons. Angelo Comastri

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