La frase non è una cosa della grammatica: è una cosa della vita. Le frasi sono pezzi di vita vissuta. Se dico “Mamma è andata a fare la spesa” in realtà non sto dicendo una frase, sto aprendo un mondo di affetti, di azioni ordinarie della vita. Parlare è dire la vita.
Soggetto, predicato e complemento: sono queste le tre colonne di una frase di senso compiuto. Il verbo (il predicato verbale) è una di queste colonne, quella centrale. La frase non è una cosa della grammatica: è una cosa della vita. Le frasi sono pezzi di vita vissuta. Se dico “Mamma è andata a fare la spesa” in realtà non sto dicendo una frase, sto aprendo un mondo di affetti, di azioni ordinarie della vita.
Parlare è dire la vita. E il verbo contiene in sè un motore, ciò che muove l’esistenza di una persona e la spinge a fare qualcosa. I verbi descrivono la vita del suo non essere mai se stessa, nel suo svolgersi, nel suo mutare. Ma proprio perchè non è statica, ferma, immobile che la vita è vita. Senza il verbo la frase resta nominale, cioè indeterminata, “bloccata”. Senza le azioni la vita si trasforma in una pietra immobile. Abbiamo bisogno dei verbi e abbiamo bisogno di “coniugarli” in tanti tempi e modi differenti l’uno dall’altro. Altro è il presente, altro è il futuro; altro è l’indicativo, altro è il condizionale. Il nostro agire è modificato da una serie di condizioni che incidono profondamente persino nel modo di esprimerlo. Se io dico “ho vinto la partita” avverto una soddisfazione che si tramuta in malinconia quando dico “se avessi vinto la partita”. Eppure il verbo è lo stesso: “vincere”. Ma il verbo è talmente flessibile da essere radicalmente modificato da modi e tempi. Il soggetto in se stesso non è così flessibile e ricco di possibilità… lo è solamente il verbo. Il verbo ha le sue voci, è arricchito da molteplici voci e “predica” con voci diverse.
Non solo: noi ci esprimiamo in azioni, è vero, ma è anche vero che noi ci riconosciamo nelle azioni che compiamo scoprendo qualcosa di noi. Chi di noi si conosce in astratto? Noi prendiamo consapevolezza di noi stessi nel momento in cui agiamo. Io so chi sono perché agisco. Il soggetto sa chi è solamente se fa qualcosa, se agisce, cioè se è “accompagnato” da un verbo. Si dice “accompagnare”: il verbo “accompagna” un sostantivo. È buffo, no? Come se le due “cose”, soggetto e predicato, fossero davvero distinti e separati. Finchè le nostre azioni ci accompagnano e non si incidono nella pelle del soggetto/sostantivo, la frase non ha senso compiuto. In fondo, un bel verso, la frase “giusta” di un romanzo è quella nella quale il soggetto e il predicato diventano talmente “giusti”e adeguati da essere indistinguibili.
Nelle frasi “poetiche” il predicato non accompagna il soggetto, ma diventa il soggetto stesso, lo esprime pienamente. Così come nelle vite riuscite.
Antonio Spadaro
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