Lettera a un giovane prete

Questa lettera è stata presentata al Convegno degli Uffici Catechistici Diocesani nel giugno 2005 ad Acireale (Catania). È una specie di decalogo per un giovane prete che incomincia la sua avventura di parroco. √â un testo ricco di suggestioni e di stimoli per chiunque sia chiamato ad evangelizzare. Vi si immagina San Paolo, Vescovo dei giorni nostri, che scrive una lettera a don Timoteo, cui ha appena affidato l'incarico di Parroco. Il testo è ricco di suggestioni e di stimoli per chiunque sia chiamato ad evangelizzare...

Lettera a un giovane prete

da Teologo Borèl

del 11 febbraio 2006

Carissimo fratello Timoteo,

da circa un mese sei parroco in Santa Maria del terzo Millennio. Come non ricordare la solenne e commovente “Presa di possesso”? L’unica pecca, che stava per guastare la festa, fu proprio quella bruttissima espressione – “presa di possesso” – che il cancelliere vescovile voleva implacabilmente inserire nel verbale da conservare nell’archivio diocesano e in quello parrocchiale. Ti ho letto nel lampo degli occhi che stavi per scattare – per dire con la vostra brutalità giovanile che non ti sentivi affatto un vassallo in atto di prendere possesso del suo ambito feudo. Intervenni io, un po’ a gamba tesa, e spiegai alla tanta gente in festa che tu, la parrocchia, non l’avresti mai e poi mai vista come un “tuo” possesso, ma solo come un dono immeritato e preziosissimo, e a quel punto mi permisi un’auto-citazione, presa dalla mia seconda lettera ai cristiani di Corinto: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia”.

 

Mi telefonasti la sera dopo, e mi dicesti: “Che bella Parrocchia! E c’è anche la luna!”. Da allora non ti ho più visto né sentito, ma dato che siamo al primo… “trigesimo” di quel felice inizio, ho pensato bene di scriverti questa breve lettera, perché vorrei che la tua gioia di essere parroco crescesse di giorno in giorno. Si, lo so: questo miracolo della beatitudine è purtroppo un po’ raro tra noi pastori, ma non è improbabile  e niente affatto impossibile. Ed è proprio di questo che vorrei parlarti. Stai sereno, non ti rifilo un trattato di ascetica e mistica sulla carità pastorale. Ti vorrei parlare solo di una condizione assolutamente irrinunciabile – sine qua non, si diceva ai miei tempi – perché il miracolo si avveri. Sarai un parroco felice nella misura in cui sarai un vero missionario. Non si scappa: o missionari o… dimissionari.

 

E’ una conversione profonda, che bisogna rinnovare ogni giorno. Ogni mattina, prima di mettere i piedi fuori dal letto, beato te se dirai: “Grazie, Signore, per avermi creato, fatto cristiano e parroco-missionario”. Scrivi sullo specchio in sagrestia, o almeno in quello del bagno: “Non sono un professionista del sacro, né un insegnante della fede: sono un annunciatore del Vangelo”. Quando ero a Corinto io avevo scritto sulla porta della stanzetta nela casa di Aquila e Priscilla: “Non sono stato mandato qui a battezzare, ma ad evangelizzare”.

Ricordi la grammatica di base del missionario, che ti ho insegnato quando prima di essere tuo vescovo, ti ho fatto da rettore in seminario? E’ una grammatica costruita su un quadrilatero di certezze che devono rimanere solide più delle fondamenta della tua splendida chiesetta romanica.

·              La Parola di Dio è come l’acqua e la neve, se cade…

·              La Parola di Dio non è lontana, ma molto vicina al cuore, anzi è dentro. Basta trovare il modo per far scattare il contatto…

·              “Come agnelli tra i lupi”: non è per farci sbranare, ma per far accogliere il messaggio: quanto più siamo deboli umanamente…

·              A noi tocca il compito di annunciare. E’ il Signore che vigila sulla sua parola perché si realizzi…

 

Stai attento, Timoteo: devi essere severo nel vigilare che questo spirito missionario del vangelo non venga aggredito da virus micidiali, quali l’io-latria del prete che pensa: “Come me non c’è nessuno: prima di me e dopo di me, non ci sarà nessuno uguale a me!”. Perciò niente cose alla “W il parroco!”. Un altro virus che fa strage in casa nostra è quello dello stress da pastorale: correre, competere, confliggere e alla fine… l’eterno riposo! Ma non c’è da scherzare neanche con la Depressio Clericalis (si chiama così anche quando infetta i laici): la si vede come un messaggio scritto sulla maglietta in quei “nostri” che vanno in giro con l’aria fritta di chi sembra dire: “Fateme ‘na flebo”. Ti ripeto: devi essere severo. E se lo sarai con te, potrai vigilare anche sullo spirito missionario dei “vicini”. Per esempio i gruppi – dal coro a quello liturgico, a quello catechistico e caritativo, dall’azione cattolica ai carismatici – non devono essere luoghi di potere o gradini per emergere (è un pericolo sempre in agguato), ma sviluppare il servizio al Vangelo. Allora la tua – la vostra – parrocchia non sarà una scuola in cui si spiega il cristianesimo o, peggio ancora, un ufficio di controllo della fede dei parrocchiani, ma riuscirete a far circolare la Parola di Dio per le strade, in modo che la gente la incontri.

 

E con gli altri?

Quelli che si servono della parrocchia per continuare abitudini e consuetudini sociali? Quelli che la ignorano? Cosa puoi esigere se non hanno le motivazioni? Allora ringrazia Dio tutte le volte che capitano a messa. Tutte le volte che ti portano i figli al catechismo. Tutte le volte che ti chiedono i sacramenti, per sé o per i figli, o il funerale per il caro estinto. Tutte le volte che ti chiedono la messa per i defunti. Anche se per le loro motivazioni non proprio di fede. Tutte le volte! Non è una disgrazia. E’ un dono di Dio che vengano, quando saresti tu che dovresti andare a cercarli. Accogliendoli così come sono, non farai finta che abbiano le tue motivazioni. Quindi non li rimproveri e non li ricatti, non imponi loro dei compiti come se avessero le tue motivazioni, non parli loro e non fai prediche come se avessero la fede. Ti comporti da missionario: entri nella loro situazione, cerchi di capire le loro domande e i loro interessi, parli la loro lingua, proponi con libertà e chiarezza il messaggio, non imponi loro dei fardelli che nemmeno tu riesci a portare.

 

Per finire, permettimi di ricordarti alcune regole che ti potranno servire per misurare il tuo spirito missionario.

1)        Non maledire i tempi correnti: sta per finire il cristianesimo dell’abitudine e sta rinascendo il cristianesimo per scelta, per innamoramento.

2)        Non anteporre nulla all’annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. Afferra ogni situazione, ogni problema, ogni interesse e riportalo lì, al centro di tutta la fede.

3)        Annuncia il cristianesimo delle beatitudini e non vergognarti mai del vangelo della croce: Cristo non toglie nulla e dà tutto!

4)        Il Vangelo è da proporre, non da imporre. Non imporlo mai a nessuno, neanche ai bambini, soprattutto ai bambini: gli resterebbe un ricordo negativo per tutta la vita.

5)        Non amareggiarti per l’indifferenza dei “lontani” e non invocare mai il fuoco dal cielo perché li consumi, ma fa festa anche per uno solo di loro che si converte.

6)        Ricorda: il kerygma non è come un chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Il messaggio cristiano non è da ripetere, è da reinterpretare nella mentalità e nella lingua della gente.

7)        Sogna una parrocchia che sia segno e luogo di salvezza, non club di perfetti.

8)        Non credere di comunicare il Vangelo da solo! Almeno in 2, meglio in 12, molto meglio in 72! Creare un gruppo di parrocchiani veri per evangelizzare i presunti tali.

9)        Ricordati che i laici non vanno usati come ausiliari utili, ma vanno aiutati a diventare collaboratori corresponsabili.

10)    Non ridurti mai a vigile del traffico intraparrocchiale: tu non sei il coordinatore delle attività o il superanimatore di gruppi, ma sei una vera guida, sei il primo evangelizzatore.

    Ti auguro di credere nella presenza forte e dolce dello Spirito Santo e ti raccomando di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Caro Timoteo, ti ripeto quanto ti scrissi nella mia prima Lettera: custodisci con cura quanto ti è stato affidato. Evita le chiacchiere contrarie alla fede. La grazia sia con te e con tutti i fedeli della tua comunità, anche con quelli che ancora non sei riuscito mai ad incontrare.

                                                                                  Paolo (di Tarso)

mons. Francesco Lambiasi

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