Licenza di uccidere

Finora ho sempre insegnato loro che il ragazzo, la ragazza, sofferenti nel corpo hanno un'intelligenza, un cuore, il diritto a vivere, ad amare, a essere amati. Ho sempre insistito perché li accettassero nel gruppo, perché figli di Dio come gli altri, i cosiddetti «sani». Ho ripetuto spesso che essi sono la misura del nostro amore, dell'amore della coppia, della comunità, della società.

Licenza di uccidere

da L'autore

del 16 gennaio 2008

L’episodio è conosciuto: un bambino, che si è permesso di nascere con handicap fisico, in difformità ai modelli «sognati» dal padre, è stato dallo stesso ucciso con un discreto numero di sforbiciate. «Strappato al male a venire », come dice la poesia di E.L. Masters del ragazzo morto, per incidente sotto il treno? Secondo i giudici francesi, sì, perché hanno assolto il padre con la motivazione che il figlio è stato ucciso «per amore».

 Non sto a giudicare né i giudici e tantomeno il padre. Tuttavia non posso nascondere il mio disagio, il mio timore di dover spiegare quanto accaduto ai miei ragazzi e alle mie ragazze.

Finora ho sempre insegnato loro che il ragazzo, la ragazza, sofferenti nel corpo hanno un’intelligenza, un cuore, il diritto a vivere, ad amare, a essere amati.

Ho sempre insistito perché li accettassero nel gruppo, perché figli di Dio come gli altri, i cosiddetti «sani». Ho ripetuto spesso che essi sono la misura del nostro amore, dell’amore della coppia, della comunità, della società. Ho usato parole dure per condannare la mentalità nazista che eliminava i diversi, perché degradavano la «razza».

 Soprattutto ho raccontato e racconto loro le meravigliose storie d’amore, scritte dai genitori che hanno saputo accettare e accompagnare con amore il figlio o la figlia, con gravi difficoltà a livello fisico. Ho fatto leggere il libro di Giuseppe Pontiggia: Nati due volte, insieme abbiamo commentato lo stupendo film tratto da quelle pagine, Le chiavi di casa del regista Amelio, artista e uomo di grande valore.

Ho ricordato loro la storia di una carissima amica, R., giovane tetraplegica, ora dottoressa in psicologia. Era nata da un parto gemellare. Bellissima la sorella, lei invece costretta da sempre in carrozzella, incapace di qualsiasi movimento, in tutto assistita dalla coppia di genitori.

Era un caso che si poteva «preventivamente» eliminare: si evitavano tante fatiche a lei, ai suoi. E invece è ancora qui, testimone incredibile della sua gioia di vivere: «Se dovessi rinascere», mi diceva un giorno, «vorrei rinascere come sono adesso!».

Poteva dirlo, perché accolta, amata, seguita, senza alcun complesso, dal padre, un giornalista morto da pochi anni, e dalla madre, che le è sempre stata accanto con tenerezza e affetto sorprendenti.

E la storia d’amore, della mamma e del papà è diventata la storia d’amore delle compagne di scuola, del gruppo oratoriano dov’era inserita e dove la sua voce in difesa di chi vive in difficoltà, del povero e dell’emarginato, ha sempre avuto una forte risonanza.

 Potrei raccontare ai miei ragazzi, a voi, tanti altri casi, tante altre belle storie d’amore nate dal dolore, che hanno avuto protagoniste donne semplici e forti, gente del popolo e no. Sono loro che si sentono umiliate da una sentenza che non tiene conto di chi ama nonostante tutto. Licenza di uccidere «i diversi» o licenza di imparare da loro?

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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