L'attenzione costante dello sguardo internazionale sulla scarsa lungimiranza del sistema italiano e sulla scarsa capacità di una Nazione di ragionare a medio e lungo termine, in relazione al proprio patrimonio.
Lo scorso 20 marzo 2014, un articolo pubblicato su The Guardian ha riportato al centro della scena mediatica inglese un problema a cui l’Italia sembrerebbe voler concedere poco spazio. Ancora una volta un osservatore dimostra l’attenzione costante dello sguardo internazionale sulla scarsa lungimiranza del sistema italiano, sulla scarsa capacità di una Nazione di ragionare a medio e lungo termine, in relazione al proprio patrimonio.
Il problema di Venezia e della sua conservazione, di fronte alle mastodontiche masse galleggianti delle navi da crociera, non è certamente un tema poco noto. Anna Somers Cocks ha condotto per anni una azione di sensibilizzazione delle istituzioni di governo, cercando di individuare interlocutori sensibili, di condizionare gli orientamenti strategici, di mostrare come la sostenibilità del turismo dipenda – per quanto possa sembrare banale – dalla capacità di conservare intatto il luogo di destinazione.
Lo scorso anno il World Monuments Fund ha incluso Venezia tra i luoghi culturali in pericolo, accanto a patrimoni e città in Paesi in guerra. Nel caso italiano, possiamo dirlo senza timore di esagerare, la guerra che si consuma non è meno distruttiva, per il patrimonio culturale. Una guerra di cause e ricorsi, di leggi e deroghe, di labirinti burocratici e equilibrismi diplomatici le cui vittime sono proprio i beni che, dell’identità e del turismo, dovrebbero essere fondamenta e motore.
In che modo possiamo ottenere un riconoscimento internazionale, promuovere il nostro sistema culturale, alimentare il brand Italia, in assenza di una politica concertata, capace di mobilitare la comunità intera (la polis, in tutte le sue articolazioni)? È certamente necessario promuovere il patrimonio, adottare strategie efficaci di marketing del territorio, programmare in maniera mirata i processi di valorizzazione, ma non possiamo prescindere, in una valida campagna di comunicazione, da una costante attenzione per la reputazione del Paese in un orizzonte più ampio.
Un articolo del Guardian che si conclude sottolineando come, in Italia, prevalgano gli interessi privati di breve termine su quelli comuni di medio e lungo termine, comunica alla scena internazionale l’idea che non siamo capaci di dare il giusto valore al nostro patrimonio. Se non lo facciamo noi, perché dovrebbero farlo gli altri?
Luca Baraldi
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