15 storie che compongono l'originalissima formazione degli sportivi in clergyman (ma anche con saio, tonaca e abito monacale) che hanno risposto alla Chiamata.
«Caro don Daniele, non molti anni fa sei stato giocatore della nostra sventurata Triestina. Ora permettimi di farti una consegna calcistica: insegna ai nostri giovani a fare gol, dribblando il male e il demonio, calciando il pallone della loro esistenza dritto nella porta della fede».
È l’invito che il vescovo di Trieste Gampaolo Crepaldi fece a Daniele Del Gaudio il 9 giugno 2012, giorno della sua ordinazione sacerdotale. Don Daniele era arrivato ad un passo dal debutto in prima squadra nella Triestina, e la sua storia è una delle 15 che compongono l’originalissima formazione degli sportivi in clergyman (ma anche con saio, tonaca e abito monacale) che hanno risposto alla chiamata e che Lorenzo Galliani ha raggruppato nel suo libro d’esordio, Un assist dal cielo. Storie di campioni convocati da Dio (Elledici, pp. 96, euro 9).
Storie di chi viveva a «pane e calcio», come don Del Gaudio, sono anche quelle di Graziano Lorusso e Stefano Albanesi. Padre Lorusso, prima di diventare francescano e cappellano d’ospedale a Copertino, era arrivato a un passo dal «paradiso calcistico»; era un ragazzino quando dalla sua Gravina in Puglia si trasferì a Bologna e sotto la guida di Davide Ballardini vinse lo scudetto con i Giovanissimi del club rossoblù. Sembrava un predestinato come il suo corregionale Beppe Campione, attaccante di talento che col Bologna aveva esordito in Serie A a 15 anni e 10 mesi, ma a 21 un incidente stradale se l’è portato via per sempre. Graziano il 22 agosto 1991 scese in campo con la Nazionale under 17, che in attacco schierava Eddy Baggio – fratello del «divin codino» Roberto – e quell’Alex Del Piero che sarebbe diventato l’artistico Pinturicchio del calcio italiano. Quel giorno contro gli azzurrini c’era l’Argentina di Juan Sebastian Veron che passò il turno, ma miglior giocatore all’unanimità venne votato lui, Lorusso. Il Bologna lo spedì a farsi le ossa in serie C (Rimini, Baracca Lugo e Iperzola), finché a 24 anni dallo stadio si trasferisce nella chiesa di San Francesco per rispondere alla «convocazione più importante della mia vita».
Il cammino di padre Graziano nel settennio trascorso ad Assisi incrocia quello di padre Stefano Albanesi (già suo avversario in un Vis Pesaro-Baracca Lugo), la cui vicenda nell’estate del 1999, quando passò al Pescara (in B), fece scalpore nel dorato mondo del professionismo. Albanesi arrivava in Abruzzo dalla Vis Pesaro (serie C2) dove – durante il ritiro prepartita – aveva recitato il rosario con le “vecchiette” della città spiazzando tutti, dal portiere all’ultimo dirigente. Fu anche l’unico della rosa pesarese a rispondere all’appello di un incontro per giovani con l’allora vescovo della città, il futuro cardinale Angelo Bagnasco. «Fu una bella esperienza di Chiesa. Al termine Bagnasco mi accompagnò in cappella e mi diede la benedizione».
Stefano aveva in tasca un contratto milionario (gli ingaggi erano in lire), ma non sarebbe mai diventato un protagonista del campionato cadetto perché era già sul sentiero di san Francesco. Quando abbandona il Pescara per entrare in convento e tornare in Umbria dove è nato (a Foligno), l’allenatore Giovanni Galeone lo saluta sarcastico: «Per fortuna che l’abbiamo scoperto prima, altrimenti mi convertiva tutto lo spogliatoio». Padre Albanesi, dopo la laurea in filosofia e teologia, le sue partite ha comunque continuato a disputarle nei campetti congolesi della missione di Brazzaville e poi con la Nir (Nazionale italiana dei sacerdoti), messa in piedi dal vulcanico Leonardo Biancalani, parroco di Rio nell’Elba. «L’esperienza dello spogliatoio è stata preziosa per la vita di comunità», dice.
E quello spogliatoio come seme comunitario lo ha sperimentato fino all’ultima mischia anche padre Eugenio Schenato, che vanta due stagioni nella serie A del rugby, nel Cus Genova: negli anni ’70 seconda forza dietro al Petrarca Padova (fondato dai gesuiti). Oggi padre Eugenio è missionario in Madagascar. Sempre ad Assisi si era consacrato campione di atletica don Luigi Chiampo: «Nel 1977 avevo 18 anni – racconta – ed ero entrato nella “Juventus” dell’atletica italiana, la società Fiat Iveco che puntava ad essere la migliore d’Europa». Era la squadra di Mennea e dei fratelli Damilano e il futuro don Chiampo correva alla pari con Orlando Pizzolato, reduce dal bis trionfale della maratona di New York del 1984 e dell’85. L’85 è anche l’anno in cui don Luigi vince le due tappe del Giro dell’Umbria e «sulla salita di Assisi – scrive Galliani – non lo avrebbe preso neanche un motorino». I risultati migliori don Chiampo li fece da seminarista, prima di diventare il parroco di Bussoleno in alto Piemonte, dove opera nella comunità di accoglienza famigliare Talità Kum (la frase che Gesù rivolge a una bambina morta, resuscitandola).
Credette di non “risorgere” invece don Paolo De Grandi alla vigilia di Pasqua 1984, quando cadendo dalla Vespa si ruppe la tibia: carriera precocemente finita per la stellina dei Giovanissimi dell’Hellas Verona, che l’anno dopo avrebbe festeggiato il suo storico e unico scudetto con la prima squadra allenata da Osvaldo Bagnoli: un punto di riferimento per quel ragazzo che, lasciato il calcio, divenne animatore fino all’incontro con don Gino Meggiorini, (lo zio di Riccardo attaccante del Torino). Ora don Paolo fa il cappellano della Polizia e la sua maglia n. 10 non è più la casacca gialloblù della “cantera” scaligera, ma quella della “Seleçao Sacerdoti” con cui a Betlemme, nella più pacifica delle amichevoli, ha sfidato la nazionale di Palestina.
Dall’Italvolley, «argento con la selezione azzurra under 17 assieme a Francesca Piccinini», alla clausura è il percorso sotto rete di suor Michela Amadori. Ed è stata azzurra dell’atletica, 1.500 e 3.000 metri, anche Elena Rastello, salesiana, missionaria in Kenya e Tanzania. Dall’Africa a La Verna, dove suor Fabiana Benedettini nel 2006 ha preso i voti appena smesso di andare a canestro con l’Acli Livorno basket (serie A2): «Durante una marcia ad Assisi – dice – ho visto suore giovani, intelligenti, carine e soprattutto più felici di me. Quella felicità la volevo anche io». La felicità nella «chiamata» è il filo conduttore dell’esperienza spirituale di tutt’e 15 gli atleti che hanno ricevuto questo «assist celestiale». Un cambio di passo sensibilmente intercettato in tuffo dal grande Dino Zoff, che in prefazione scrive: «La Bibbia ha insegnamenti sempre attuali, trasmette valori – dalla serietà alla dignità – che considero molto importanti».
Massimiliano Castellani
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