Nei consigli di classe di fine anno avvengono discussioni infinite, ridicole e dolorose: si valuta se quel tre è abbastanza vicino al quattro, e dunque come quattro può essere considerato parente stretto del cinque: e dal cinque al sei in fondo è solo un tratto di penna...
del 27 giugno 2005
 
BOCCIARE uno studente è sempre una decisione terribile. Sempre, ma oggi forse ancora di più. Nei consigli di classe di fine anno avvengono discussioni infinite, ridicole e dolorose: si valuta se quel tre è abbastanza vicino al quattro, e dunque come quattro può essere considerato parente stretto del cinque: e dal cinque al sei in fondo è solo un tratto di penna, una scommessa fiduciosa sulle possibilità dello studente di riprendersi il prossimo anno. Sette, otto gravi insufficienze si trasformano in quattro debiti formativi, e il miracolo della promozione avviene, i pani e i pesci si moltiplicano nuovamente.
 
I presidi, anzi 'i dirigenti scolastici', come si dice adesso, sono i primi a lanciare ogni tipo di salvagente ai somari semiaffogati. Troppi respinti danno una cattiva impressione, e poi c'è il rischio di vedere cancellate alcune classi, e di una contrazione dell'organico. Ma non si tratta solo di bieca politica scolastica, di presentare il proprio istituto come un'azienda che ha bilanci sani e garantisce buoni risultati. Nella mente di ogni insegnante che esita a firmare la condanna di una bocciatura aleggia il fantasma di una tragedia sempre in agguato.
 
Per tutto l'anno l'alunno sfaticatissimo è stato avvisato: attento che così vai incontro al peggio, datti da fare, coraggio, cerca di impegnarti almeno un poco. E anche le famiglie sono state messe in guardia a più riprese, le pagelle parlano chiaro e poi ci sono le lettere a casa e i colloqui mensili, e con molto tatto gli insegnanti hanno ripetuto cento volte ai genitori che il loro ragazzo è messo male, che tutti quanti insieme bisogna adoperarsi per farlo uscire dall'apatia e dall'ignoranza.
 
Eppure tanta premura può non bastare. Alla fine può accadere persino che i tre non riescano a trasformarsi in sei, che il nulla non ce la faccia a diventare qualcosa. La bocciatura allora pare inevitabile. Ultimo baluardo rimane l'angoscia di una domanda inquietante: come prenderà lo studente questo fallimento?
 
Accetterà di buon grado il giudizio, farà buoni propositi per l'anno futuro, o invece entrerà in una crisi profonda, abbandonerà la scuola, si darà alla strada e alla bisca, o peggio ancora ­ ecco il brivido nero - domani pomeriggio si getterà dalla finestra?
 
Ormai ogni insegnante ha chiara la fragilità estrema dei suoi studenti. Sono adolescenti ai quali nessuno oppone mai un no. Loro ne dicono tanti, sono cresciuti in una cultura che non prevede obbedienza e fatica, che sembra pronta a regalare soldi e successo a piene mani, generosamente, gratuitamente. Come bambini viziati molto spesso loro oppongono mitragliate di no a chi li vorrebbe spingere lungo la salita del sapere, del capire, del divenire. Ma quando tocca a loro subire un rifiuto, si sbriciolano come foglie secche. 
 
L'euforia del nostro tempo nasconde depressioni abissali, l'ottimismo ingiustificato copre disgusti spaventosi verso il mondo e verso se stessi. E così ogni consiglio di classe di fine anno diventa una sorta di seduta psicanalitica: si valutano i voti, ma anche l'emotività dello studente, la sua forza d'animo, i traumi più o meno segreti. E se infine, a denti stretti, si decide di fermarlo per un anno, si rimane in tensione per giorni e giorni, con la paura che arrivi una notizia terribile da un mondo irreale dove tutti ballano e scherzano, dove non è prevista nessuna delusione.
Marco Lodoli
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