Macerata-Loreto 2012: Cristo è qualcosa che sta accadendo ora

Il pellegrino ha una fede concreta. Unisce in sé, nella semplicità della religiosità popolare, l'umano e il divino, la fatica e la salvezza, il centuplo quaggiù e l'eternità. Eravamo in tanti. Novantamila, dicono i bene informati. Il numero preciso non lo so. So che lì camminava la fede di un popolo, e si vedeva.

Macerata-Loreto 2012: Cristo è qualcosa che sta accadendo ora

da Attualità

del 12 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          Un popolo in cammino. Una fede semplice e sincera. E’ questo che ho visto nella notte illuminata dalle fiaccole di migliaia di pellegrini, lungo la via lauretana, tra i campi di grano, lucenti sotto la luna, che separano Macerata da Loreto.

          Abbiamo camminato, cantato e pregato, avendo come meta la Vergine dal volto scuro venerata nella Basilica della Santa Casa. Qui sono custoditi sin dal 1294 i resti della Casa di Nazaret, dove l’Angelo fece l’annuncio a Maria. La tradizione popolare vuole che le pietre siano giunte in terra marchigiana, portare in volo dagli angeli.

          Non è stata una passeggiata simbolica, della serie “tanto conta il pensiero”. E’ stata una gran faticaccia di 28 chilometri, una notte intera che non passava mai, sperando che arrivasse presto l’alba, così più vicino sarebbe stato anche l’arrivo, desiderando che la strada cominciasse a salire verso Loreto, così sarebbe passato il sonno, implorando il meritato riposo alla stanchezza del corpo che a un certo punto rifiutava di proseguire.

          Pur nella chiarezza della meta, nulla ci viene risparmiato, ogni traguardo comporta un impegno e chiede di giocarci fino in fondo. Non si fa tanta strada solo per passare il tempo. Lo si vedeva negli sguardi degli abitanti che, al mattino appena fatto, ci hanno accolto per le vie di Loreto, nello stupore dei loro volti affacciati ai balconi o appoggiati all’uscio delle case. Avevano una domanda e pareva volessero camminare anche loro con noi, solo per capire.

          Abbiamo cantato e pregato. E’ stato un tuffo nell’essenzialità della vita, che è affidarsi a Chi la vita ce l’ha donata. Il pellegrino ha una fede concreta. Unisce in sé, nella semplicità della religiosità popolare, l’umano e il divino, la fatica e la salvezza, il centuplo quaggiù e l’eternità. Così ha cantato Martino Chieffo, prima di partire: “tu non credere mai all’imperatore… credi solo in nostro Padre che è venuto e che verrà”, con le parole scritte dal padre Claudio e dedicate proprio a lui. Mi ha colpito la concretezza dei nomi di coloro che hanno chiesto una preghiera, snocciolati durante tutto il percorso, oppure il gesto di portare con sé i biglietti con le richieste formulate dai propri cari o dagli amici, per gettarli, all’arrivo, nel braciere acceso davanti alla Santa Casa. Mi hanno colpito i volti incontrati ai lati della strada, illuminati appena dai lampioni, con la corona del rosario in mano, che pregavano assieme a noi e ci facevano compagnia, con il loro semplice essere lì, fino a notte inoltrata. Mi ha colpito una vecchia novantenne che camminava scortata da due baldi giovani, ai quali dava la mano, senza neppure appoggiarsi troppo e li ringraziava. Aveva ai piedi delle ciabatte mezze rotte. E’ arrivata anche lei dalla Madonna Nera. Mi ha colpito chi non ce la faceva più e si fermava ai lati della strada distrutto dalla fatica. Anche loro sono stati testimoni della pietà popolare, offrendo quella sofferenza a Cristo. Così ha ricordato don Carron, nel suo messaggio ai pellegrini: “il vostro pellegrinaggio di quest’anno - consapevoli di quanto sta accadendo nella Chiesa e nel mondo - sia sostenuto dal desiderio di riscoprire la fede che ci è stata donata e che tante volte viviamo come una cosa scontata”.

          Eravamo in tanti. Novantamila, dicono i bene informati. Il numero preciso non lo so. So che lì camminava la fede di un popolo, e si vedeva. Una lunga, interminabile processione di persone che avevano un “bordone”, il bastone da marcia, uno zaino e un rosario, come i primi pellegrini, ciascuno carico solo della propria umanità. Abbiamo recitato i misteri della Gioia, quelli della Luce, e più avanti abbiamo ricordato il Dolore e infine la Gloria, negli ultimi strappi che portavano a Loreto e aprivano lo sguardo sulla Basilica e sul mare. Ci siamo inginocchiati durante il percorso davanti al Santissimo esposto lungo la strada. Abbiamo seguito la croce illuminata nella notte. Abbiamo visto il mattino sorgere piano. A Loreto, la Madonna Nera ci è venuta incontro, è uscita dalla Casa ed è venuta a salutarci in piazza, scortata da un picchetto di aviatori, di cui è patrona. Ricordo anche la benedizione più “potente” che abbia mai ricevuto, anche questa niente affatto simbolica. Al posto dell’aspersorio, un frate immergeva un grosso ramo d’abete nell’acqua benedetta e lo scrollava ben bene intorno. Non c’è dubbio che ciascuno di noi abbia ricevuto la sua buona parte di benedizione.“Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto”, ci ricorda Dante nella Vita Nova, “in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede”.

          Noi siamo andati verso la Santa Casa di Nazaret, perché nei momenti di crisi, guerre, epidemie, povertà, malattie, il popolo si è sempre affidato alla Madonna.E non si è mai ricordato – recita una tradizionale preghiera – che chi si sia rivolto a Lei sia rimasto deluso.

Stefano Spinelli

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