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Madre di pace

Si parla così spesso di pace. E sembra che più se ne parli meno se ne trovi. Qualcuno crede ancora che la pace sia possibile? Che si possa essere operatori di pace? Maria, Madre di pace, ci insegna la pace possibile, quella che si può cominciare subito.


Madre di pace

da Teologo Borèl

del 05 dicembre 2008

Madre di pace ad Ain Karim: offrire la pace.

 

Maria è il primo tabernacolo, ha detto recentemente il Papa, perché non è sola e va in giro portando qualcuno che è un qualcuno di pace. Porta una pace che in effetti non è sua, è la pace che viene da una presenza nascosta, dalla certezza intima di una presenza.

 

Nessuno sul momento lo direbbe. Sembra una donna incinta come tante altre. Poi nell'incontro, gioioso e accogliente, con Elisabetta, si vede la differenza.

 

Anche le nostre giornate sono come tante altre e le nostre relazioni sembrano come tante altre. Possiamo renderle differenti, nel favorire un gusto di incontrarsi e stare insieme. Possiamo portare la pace in ogni relazione, una pace quotidiana che viene dall'accoglienza dell'altro come è, dalla gioia di comunicare e donare.

 

Ain Karim non è solo l'incontro di Maria ed Elisabetta. È ogni nostro incontro con chi aspetta pace.

 

Madre di pace a Betlemme: amare la pace.

 

In mezzo al rifiuto, alla povertà, alla mancanza, ecco un ritaglio di pace, la pace che viene dall'amore. Intorno c'era una situazione negativa, Betlemme non è solo la capanna del presepio, è anche il luogo dove 'non c'era posto per loro'. Ma in quel luogo dove 'non c'è posto', Maria e Giuseppe creano un posto di amore, che da lì si irradia e richiama altri. Così che alla fine, chi pensa a Betlemme pensa solo a quelle profonde relazioni familiari di amore e dimentica il non amore circostante.

 

Anche le nostre relazioni pi√π strette devono spesso farsi strada tra malintesi, divisioni e rifiuti. Maria a Betlemme insegna a non voler accendere e prolungare risentimenti, insegna la determinazione a creare un posto alternativo di pace, invece di farsi prendere dalla logica del rifiuto e del rancore.

 

Betlemme non è solo quella specialissima famiglia. È ogni nostra famiglia che aspetta pace.

 

Madre di pace a Cana: servire le pace.

 

C'è una pace che va oltre i confini familiari e del piccolo gruppo, in cerca della possibilità di donare servizio, interesse, giustizia. Maria a Cana fa molto per la pace: comincia dall'accorgersi di una situazione, difficile e dal coinvolgersi nei problemi degli altri. 'A me che importa?'. 'A chi tocca fare qualcosa?'. Il mondo non va come dovrebbe. Disinteresse, accuse reciproche. Maria porta pace facendo tutto quello che può. Forse quello che può non è molto, forse è solo quella parola: 'fate quello che vi dirà'. Ma tutto quello che ha potuto, lei lo ha fatto. E la festa diventa pace per tutti. Non ha fatto finta di non vedere, non ha pensato che lei non c'entrava, non ha banalizzato il problema degli altri, non ha giocato sul fatto che non serve fare così poco.

 

Tutti possiamo fare un passo di pace.

 

Cana non è solo quella festa di matrimonio è ogni nostra società che aspetta pace.

 

Madre di pace a Gerusalemme: annunciare la pace.

 

Nel cenacolo, Maria c'era. Tra paure e dubbi, poi tra progetti, preghiera e condivisione, Maria tra i discepoli c'era e non li tratteneva. Maria non invita i discepoli a godere la pace del cenacolo, ma a uscire. Del resto, l'augurio di pace del Risorto è un augurio di pace che spinge fuori. Stare nella pace non è starsene in pace. Nel cenacolo di Gerusalemme c'è una pace dello stare insieme che non si chiude, ma si apre a un futuro, a un andare, a una missione. È l'apparente inquietudine della ricerca dì una vocazione esigente, è l'apparente disturbo del grido dei poveri e dei lontani. Questa inquietudine e questo disturbo sono pace. Bisogna avere il coraggio anche di questa pace.

 

Gerusalemme non è solo il mondo fuori dal cenacolo, è il mondo fuori dalla nostra porta, che aspetta pace.

 

Madre di pace qui: esattamente dove siamo.

 

In tutte le nostre relazioni, per casuali che siano; nelle nostre famiglie e nei nostri gruppi; nella nostra realtà sociale e politica; nel mondo più grande che ugualmente è nostro.

 

sr Gabriella Tripani

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