Mario Luzi Solo la poesia ci potrà salvare

Luzi è essenzialmente un poeta cristiano. Religiosità semplice, autentica e sostanziale la sua: «Io non sono un uomo di chiesa, ma il cristianesimo è implicito a tutto ciò che io ho pensato e scritto ‚Äì sempre più meditato, e messo in rapporto con tutta l'evoluzione della cultura occidentale...

Mario Luzi Solo la poesia ci potrà salvare

da Quaderni Cannibali

del 15 maggio 2009

Non conoscevo Mario Luzi. Forte del pregiudizio della superiorità dei poeti del passato, non pensavo che un poeta contemporaneo potesse essere così appassionante. Non è esagerato definirlo una delle voci che ha maggiormente segnato, poeticamente e umanamente, il Novecento. Una di quelle voci che, attraverso la stagione dell’Ermetismo degli anni ’30, hanno fatto di Firenze un punto di riferimento della più alta cultura europea. Era quello il tempo irripetibile delle grandi riviste letterarie.

 

Mario Luzi era nato a Castello, allora frazione di Sesto Fiorentino, il 20 ottobre del 1914, da Ciro, impiegato ferroviario e Margherita Papini. La sua passione per la poesia inizia presto; scrive i suoi primi versi a otto anni: «Stavo giocando con dei compagni nella strada, nel giardino. Ad un certo punto lasciai la compagnia perché avevo bisogno di andare a scrivere…».

 

Nel 1926 si trasferisce con la famiglia a Siena. Tre anni dopo è di nuovo a Firenze dove compie gli studi liceali e universitari. Si laurea con una tesi sullo scrittore cattolico francese François Mauriac. Per qualche anno insegna nella scuole superiori e dal 1955 al 1985 è professore di letteratura francese alla facoltà di Scienze Politiche di Firenze.

 

I suoi esordi letterari risalgono a prima della guerra, quando comincia a frequentare altri poeti della scuola ermetica e collabora a riviste d’avanguardia come Frontespizio e Campo di Marte. Da lì comincia una produzione poetica copiosa, di pregio e sempre originale.

 

 

Un poeta cristiano

 

Luzi è essenzialmente un poeta cristiano. Religiosità semplice, autentica e sostanziale la sua: «Io non sono un uomo di chiesa, ma il cristianesimo è implicito a tutto ciò che io ho pensato e scritto – sempre più meditato, e messo in rapporto con tutta l’evoluzione della cultura occidentale. Il cristianesimo l’ho ricevuto, primamente, da mia madre, un cristianesimo primario che ho poi immerso nei miei studi, fortificandolo, trasportandolo in un orizzonte più vasto».

 

La fede segna per sempre la sua esistenza. La visione cristiana del mondo venata di pietas diventa una costante della sua poesia. «Per me il Dio cristiano è un Dio di cui non si possono dire gli attributi, le virtù. Il cristianesimo ha il Cristo, è nel Cristo. Se questa divinità si è messa sul piano degli uomini con questo emissario – Gesù – è il colmo della bontà, dell’interesse per l’uomo. Il Cristo è interessante e nutritivo per tutti». Il suo è un cristianesimo puro, libero da condizionamenti. Ma la discrezione nelle affermazioni sul trascendente non affievolisce mai nel poeta il senso della presenza di Dio.

 

Un aspetto che perdurerà in tutte le stagioni poetiche di Luzi, infatti, è proprio la «certezza dell’essenza spirituale dell’universo».

 

Egli è sempre sostenuto da una serena fiducia nei confronti della vita, forte della convinzione di un mondo come fisica perfetta in cui si collocano tutte le creature.

 

Esiste un ordine universale nel mondo «per cui l’affanno sarà ricompensato, la prova oscura troverà la sua spiegazione». Tale ottimismo è chiaramente di matrice cristiana. Il poeta celebra spesso nel creato la presenza di Dio, visto come garante dell’ordine universale e causa della bellezza che incanta l’uomo. La bellezza che traspare nei fenomeni della natura, non è che un segno della fisica perfetta che fonda l’ordine universale delle cose.

 

Luzi si pone dinanzi alle creature per cogliervi l’impronta del Creatore, per scoprire nel visibile il segno dell’invisibile. Nella sua visione uomo e mondo crescono insieme in un compenetrarsi ordinato e armonico. Da ciò scaturisce una vera e propria esaltazione della vita. La Pasqua viene assunta come regola del mondo. Il momento pasquale che fa esplodere la vitalità della natura, rafforza la convinzione che anche nell’esistenza dell’uomo gelo e morte non prevalgono.

 

Vita, dunque, come attuarsi di un disegno disposto in modo tale che le prove si concludano felicemente. L’esito della lotta è la vittoria, dello spasimo è la festa, della tempesta e del tuono il sereno, della penuria l’abbondanza e della morte la vita. Visione metafisico-religiosa dell’universo la sua, comunque sempre positiva e carica di speranza.

 

 

 

Il male e la sofferenza

 

Questo però non lo porta mai a negare la presenza della sofferenza, dell’ingiustizia, della morte. Riconosce l’eterna compresenza di bene e male nel mondo: egli è un acuto osservatore della società e con i versi coltiva anche un profondo e sincero impegno civile, è legato all’umanità e alla storia a lui contemporanee e non fa certo finta di non vederne le profonde ferite e contraddizioni. D’altronde soprattutto la storia del XX secolo sembra contraddire la bontà della creazione: «La presenza del male in un universo riscattato dalla morte di Cristo è il mistero dei misteri. Questo male è una presenza inconsolabile per un cristiano; è la domanda cui non si può rispondere, e che non si può evitare». Ma la consapevolezza della sacralità della vita contribuisce a rinvigorirne il senso di fiducia, «poiché la vita è più grande delle sue mortificazioni».

 

La sofferenza nelle sue poesie quindi è vista come una delle condizioni necessarie per crescere e giungere a Dio. Non viene mai meno la speranza di salire in alto, mediante il pianto trovano compimento le aspirazioni dell’uomo, e ogni prova superata sarà remunerata adeguatamente in forza dell’ordine universale. È legge che la gioia della vita si perpetui mediante il dolore e la morte. E con quale esito ci attende questo destino di sofferenza? La crocifissione è per diventare saggi o per risorgere dopo la morte. Perché nella visione del mondo ordinata, come quella in cui Luzi crede, non c’è posto per la disperazione. La vita è una prova, una ferita aperta sempre, e l’uomo è un condannato alla crocifissione, ma questa non è fine a se stessa secondo il piano di Dio.

 

È necessario accettare la sofferenza poiché il sacrificio è compensato in modo adeguato e dal tormento nascerà il bene: «La pace / se verrà, ti verrà per altre vie / più lucide di questa, più sofferte; / quando soffrire non ti parrà vano / ché anche la pena esiste e deve vivere / e trasformarsi in bene tuo e altrui». La tempesta che tormenta il gelsomino serve in realtà a diffondere e rendere più intenso il suo profumo.

 

Il problema della presenza del male nel mondo Luzi lo affronta anche nel dramma che scrive sull’omicidio di don Puglisi, Il fiore del dolore. Uno sprazzo di luce viene dalla interpretazione poetica dell’evento. La sofferenza dell’innocente e il sorriso della vittima davanti alla morte e al suo carnefice converte il malvagio che si libera dall’indegnità e ridiventa uomo. Come è noto, infatti, il killer del coraggioso prete siciliano diventerà un pentito di mafia. È la stessa esperienza di Cristo venuto a soffrire per redimerci: il male è solo apparente, il dolore è fonte di redenzione in quanto conferisce umanità all’uomo che l’aveva persa. Il sorriso nel momento del dolore rappresenta il trionfo della grazia e del bene. La sofferenza dell’innocente si trasforma positivamente e una vita acquista senso e valore nella morte: «Cos’è una vita / una vita nella vita / immensa incommensurabile. / La mia ha preso senso / dal non essere più, dall’essermi / stata tolta… / Ma non era mia, / era del mondo, era della vita».

 

Il sacrificio non è dunque inutile. Ciò è testimoniato, prima ancora che dall’esperienza di don Puglisi, dall’esempio di Cristo. La sua figura affascina particolarmente Luzi come risulta dal testo scritto per la Via Crucis guidata da Giovanni Paolo II al Colosseo nel venerdì santo del 2 aprile 1999. Racconta in proposito il poeta: «Ho scritto la passione di Cristo, (…) con lui unico protagonista, lui che parla, un monologo rivolto al Padre, in cui si dibattono la natura umana e il divino compresenti nella sua tribolazione (…) Ho voluto vedere l’incarnazione dall’altra parte. Ho voluto vedere ciò che Dio chiede all’uomo, ma anche quale sacrificio l’uomo è capace di fare per essere all’altezza di quella domanda».

 

Cristo appare solidale con l’uomo nella sofferenza e nell’aver accettato dalle mani del padre la prova della morte per concedere all’uomo una pienezza di vita. Cristo sperimenta e interpreta anche i sentimenti dell’uomo dinanzi al tempo che gli fugge di mano e alla morte che incombe su di lui: «io dal fondo del tempo ti dico: la tristezza / del tempo è forte nell’uomo, invincibile». L’uomo sente gli anni passare come un soffio e la vita svanire «come l’erba che germoglia al mattino, … alla sera è falciata e dissecca» e ne soffre immensamente. Ma questa triste esperienza di cui anche Cristo per essere vicino all’uomo sperimenta il peso, viene da lui redenta, poiché proprio da quella suprema sofferenza di morte esplode la vita.

 

L’eterno dolore dell’esistenza umana, l’eterno limite dell’essenza e della conoscenza umana sono vissute dunque in modo nuovo, illuminato dalla luce della speranza.

 

Luzi conferma nel tempo la sua caratteristica di «poeta metafisico» perché alla base della ispirazione rimane sempre l’amore per l’umano, per la verità profonda dell’uomo.

 

 

Un orizzonte di ricerca

 

Uomo che pur consapevole dei limiti della propria intelligenza che non gli consentono di comprendere tutta la verità, non desiste dal cercarla spinto da un innato desiderio di allargarne gli orizzonti, è un faticoso impegno di ricerca che non termina mai, perché è proprio della condizione umana che il desiderio di conoscere in pienezza non sia corrisposto. E la fede con le sue garanzie non cambia la situazione di faticoso inseguimento della verità. Dice in proposito Luzi: «La mia poesia è più ricca di interrogazioni che di affermazioni, ha proposto sempre più inviti ad andare avanti. L’identità non ci viene data fin da principio, la dobbiamo scoprire. Solo da ultimo si capisce, se si capisce, chi siamo. E solo dopo aver visitato parecchi luoghi della nostra mente, della nostra anima e dell’esperienza che è stata conservata. È un grande lavorio per conoscersi rispetto a un mondo che rimane sempre mistero, celato nella sua magnificenza e nei suoi abissi».

 

Ricerca assidua e faticosa della verità dunque, per cercare di svelare il mistero della vita. Anche il mistero è una forma di conoscenza: l’esserci, è il primo e più nudo dei misteri. Ma «mistero» non vuol dire oscurità, è solo un modo di conoscere diverso da quello della ragione, un altro tipo di conoscenza. Si tratta di un inseguimento continuo tra momenti di ricerca, evoluzione, interpretazione. In questo «magma» c’è anche l’essenza della fede e della religione: «Combattimento, questa è l’essenza, secondo me, del Cristianesimo. Ed è esaltante, ma anche logorante, una prova dura, degna però, che innalza il valore della vita, della presenza dell’uomo e anche nobilita il mondo che è il teatro di questa prova».

 

Egli sente la religione prioritariamente come lievito che favorisce la crescita dell’umano nell’uomo, come forza che trasforma l’interiorità della persona: «l’uomo ha bisogno continuamente di aiuto divino per non lasciar morire l’umano».

 

Tuttavia, nel nostro viaggio attraverso le opere più importanti del poeta toscano alla ricerca del suo vero messaggio e della sua testimonianza, non possiamo non segnalare il suo distacco da quanto nella chiesa vi sia di istituzionalizzato. Dai suoi versi traspare infatti una profonda attenzione sulla natura della vera religiosità, sul rapporto personalissimo della coscienza con Dio. Ciò si evince in particolar modo dal libro di Ipazia, insegnante di filosofia presso l’università di Alessandria, vissuta ad tra il IV e il V secolo. Pur non essendolo, Ipazia fa la fine di una martire cristiana, e sulla sua figura Luzi costruisce un dramma in versi. Il messaggio che desidera trasmettere è che quello che conta non è un’etichetta, sia pure di seguace di Cristo, ma la sostanza della vita, quando anche senza averne piena coscienza, a Cristo ci si ispira con coraggio. Ipazia è un capro espiatorio, l’agnello sacrificale, quindi tocca a lei testimoniare, nel senso cristiano, la verità. La verità in cui lei credeva, e credeva cristianamente, anche se il contenuto della sua fede non era il cristianesimo. Ecco la sostanza della fede e il senso critico verso l’istituzione ecclesiastica, i cui rappresentanti possono essere abbagliati dall’esercizio del potere, e verso i cristiani immaturi, lontani da una pratica religiosa vitale e incapaci di una testimonianza credibile della fede, perché non cresciuti nell’amore vero, rispettoso, comprensivo, dialogante con il diverso. Dal libro di Ipazia traspare dunque un modo di concepire il rapporto chiesa e storia umana, sacro e profano più adeguato alla sensibilità dei contemporanei grazie a una fede meno formale e visibile, ma più interiore e comprensiva verso l’altro, anche il diverso. Se ne trae la sollecitazione per una prassi religiosa più vera, per una testimonianza di fede più credibile, per un dialogo tra umani pacifico e costruttivo che urge soprattutto oggi.

 

 

Ordine nel caos

 

Poesia densa di contenuto quella di Luzi, ma anche esteticamente e stilisticamente curata.

 

È strabiliante cosa possa fare di una lingua un poeta, quale capolavoro sia in grado di realizzare con parole che noi tutti usiamo quasi quotidianamente. Luzi fa un alto uso del linguaggio, anche in un tempo, il nostro, che sembra dare poca importanza alla parola. Egli infatti denuncia la «lacerazione del codice espressivo» verificatosi in epoca moderna e auspica che si possa riavere «la parola non più guscio senza gheriglio, parola non più vuota ma piena, inserita nel circolo della vita» e per questo destinata a favorirla, una poesia quindi che sia nutrita di pensiero: «Il nostro tempo è così frammentario, è così convulso, e non ha neppure una lingua probabile, forse non ha un tema che lo guidi,… è un tempo di sofferenza ma che rimarrà quasi inespressa».

 

Compito del poeta è promuovere dunque umanamente i fratelli: «nulla più che la poesia credo abbia valore… di risveglio della coscienza. La poesia ha il potere di chiamare l’uomo a se stesso… perché si insinua nella cultura di un’epoca e la lavora».

 

Alla poesia tocca mettere ordine nel caos dei fenomeni e, ricreando il cosmo, consentire all’uomo di conoscere il mondo vero. Solo la poesia ci potrà salvare: «La poesia non solo come atto creativo, ma anche come dimensione dell’umano che si esprime per qualcuno che ascolta. Questa dimensione è in pericolo, ma se la poesia resiste, e se resiste l’umano, allora ci potrà essere salvezza. Almeno lo spero». Ma non basta interpretare il reale, il poeta deve sapere anche esprimere il risultato dell’interpretazione con la parola adeguata. «La parola è tutto: è il Verbo. È il segno primario del divino nell’uomo. (…) La parola è la via per trasmettere ad altri il capitale di sapienza umana acquisito che consente di progredire». Il poeta è colui che si propone di decifrare per tutti la parola che è scritta nelle cose, e orientare con un messaggio positivo chi non sa leggere il libro del mondo. Luzi nutre la fiducia che si possa uscire dalla crisi attuale proprio con l’accoglimento della parola del Cristo e, coerente con le sue convinzioni morali, incoraggia alla non disperazione, al superamento del male di vivere in virtù di una consonanza cristiana dell’essere ciascuno e tutti insieme a vivere. L’unione fa la forza e il convergere degli uomini nella volontà di vivere con saggezza, onestà e solidarietà, consente di guardare con fiducia al futuro: «se è minima la parte di ciascuno, sarà splendido il poema».

 

La testimonianza di fede, di coerenza e di fiducia di Mario Luzi termina il 28 febbraio 2005.

 

Cristina Mustari, Note di Pastorale Giovanile

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