Siamo stati tutti Telemaco. Abbiamo tutti almeno una volta guardato il mare aspettando che qualcosa da lì ritornasse. E qualcosa torna sempre dal mare...
Il saggio di Massimo Recalcati affronta una dei problemi più importanti nella nostra società: l'assenza o la scomparsa, del padre. Siamo tutti Telemaco ci dice l'autore, usando il personaggio di Omero come metafora delle nostre vite. Siamo tutti figli, che assistono allo scempio nella loro casa da parte dei Proci, figli che attendono appunto l'arrivo di un padre affinché ristabilisca la legge.
Non è un richiamo alla figura autoritaria del padre padrone, quella che cerca Telemaco: il figlio di Ulisse scruta il mare e affronta le sue insidie per mettersi sulle sue tracce, per chiedere di lui alle persone che l'hanno riconosciuto. Non rimane ad aspettare nella sua casa, come Godot nella piece di Brecht.
Il padre Ulisse rappresenta la continuità col passato, e la perdita di autorità nella sua casa è mutuata dall'assenza del padre:
“Il complesso di Telemaco è un rovesciamento del complesso di Edipo. Edipo viveva il proprio padre come un rivale, come un ostacolo sulla propria strada.Telemaco, invece, coi suoi occhi, guarda il mare, scruta l’orizzonte. Aspetta che la nave di suo padre – che non ha mai conosciuto – ritorni per riportare la Legge nella sua isola dominata dai Proci”.
La legge che i Proci hanno violato non è solo quella dell'ospitalità (sacra nell'antica Grecia): Recalcati fa riferimento alla legge della psicoanalisi chiamata “legge della Parola”:
Stabilisce che essendo l’umano un essere di linguaggio, essendo la sua casa la casa del linguaggio, il suo essere non può che manifestarsi attraverso la parola. Significa che la vita si umanizza e si differenzia da quella animale attraverso la sua esposizione al linguaggio e all’atto di parola.[..] la Legge della parola, castrando il godimento incestuoso, impedisce, come direbbe Lucrezio, che “tutti possano volere tutto”.
Da questa legge (e dal non rispettarla) discende tutto: da una parte la difficoltà dei padri (intesi come la generazione dei padri) di svolgere una funzione educativa; padri che inseguono una giovinezza senza fine e figli costretti a loro volta a rimanere in quello stato senza un orizzonte futuro, per anni. Nessuno insegna loro la passione, i desideri, da tramandare di generazione in generazione come fosse una eredità da non consumare.
L'autore cita due esempi cinematografici: da una parte il film di Moretti “Habemus papam”, con la crisi del Pontefice che, di fronte alla folla, non riesce a parlare.
Dall'altra “Salò” di Pasolini, dove vige l'assenza di regole da parte dei quattro carnefici salotini: padri che stuprano i propri figli, li umiliano, li uccidono.
“La domanda di padre non è più domanda di modelli ideali, di dogmi, di eroi leggendari e invincibili, di gerarchie immodificabili, di un’autorità meramente repressiva e disciplinare, ma di atti, di scelte, di passioni capaci di testimoniare, appunto, come si possa stare in questo mondo con desiderio e, al tempo stesso, con responsabilità”.
E' finito il tempo di Edipo, della generazione dei figli negli anni '70, figli in contrasto coi padri, ed è finito anche il tempo di Edipo, dei figli che si perdevano specchiandosi in loro stessi. La nuova generazione deve essere quella dei figli Telemaco, capaci di ereditare nel modo giusto la loro ricchezza dai padri, senza incorrere negli errori di Edipo (parricida) o Narciso (egocentrico).
Ovvero essere capaci di riconquistare la nostra eredità dal padre, senza che questi diventi un culto, qualcosa di immutabile, di dogmatico.
“L’eredità come riconquista non è mai fedeltà acritica al passato, non è memoria d’archivio, rendita, ma implica l’oblio come forza”.
Ma nemmeno che vi sia un taglio netto col passato:
“un altro modo di fallire l’eredità: è il modo “di sinistra”. Di cosa si tratta? Si tratta della recisione del legame con il passato, del rifiuto della memoria, della cancellazione del debito simbolico”.
Recalcati parla di perdita dell'eredità di destra e di sinistra in questi casi e della trasmissione da parte del padre che sappia trasmettere desideri e passioni al figlio:
“Il complesso di Telemaco mostra che la domanda delle nuove generazioni non è più quella di trasgredire la Legge, ma è che vi sia ancora rispetto nella Legge della parola. È che vi sia ancora un adulto capace di testimoniare sull'alleanza tra Legge e desiderio.[..]Ma cos’è una testimonianza che rende possibile il dono del desiderio? La voglio sintetizzare in tre parole: atto, fede, promessa.C’è testimonianza ovunque vi sia incontro con una incarnazione della Legge del desiderio. [.. ]quello che accade a Totò, il piccolo protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe TornatoreCos’è fede? È il dono più profondo della genitorialità. È credere senza riserve e senza interesse nel desiderio dei propri figli.Cos’è promessa? Promessa è che esista un’altra soddisfazione rispetto a quella del godimento mortale. Promessa è che quest’altra soddisfazione sia più grande, più ricca, bisogna morire al godimento mortale, bisogna morire nel godimento senza speranza della pulsione di morte”.
Qualcosa torna sempre dal mare, dice Telemaco: Recalcati porta la sua testimonianza, figlio di un padre assente perché troppo occupato col lavoro ma con la passione delle piante, di cui sapeva riconoscere la malattie, per curarle:
“E cosa sono diventato io? Non sono forse uno che legge il dolore delle foglie? Che legge gli uomini come se fossero foglie? Non sono forse diventato questo? Uno che prova a leggere e a curare il dolore scritto sulle foglie dell’humus umano?”. “Ereditare è questo: scoprire di essere diventato quello che ero già sempre stato, fare proprio – riconquistare – quello che era già proprio da sempre. Aveva ragione Telemaco: qualcosa torna sempre dal mare”.
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