Meno compiti a casa? Parliamone!

«Tante volte la domenica pomeriggio sono dovuto rimanere a casa per studiare e sicuramente preferivo andar fuori a giocare!», dichiara un bambino di una V classe. «È una guerra, questa storia dei compiti a casa passiamo i pomeriggi a cercare di finire entro l'ora di cena i compiti e quasi sempre litighiamo».

Meno compiti a casa? Parliamone!

da Quaderni Cannibali

del 02 aprile 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          «È una guerra, questa storia dei compiti a casa – dichiara la mamma di una bambina di 9 anni –, passiamo i pomeriggi a cercare di finire entro l’ora di cena i compiti e quasi sempre litighiamo». «Tante volte la domenica pomeriggio sono dovuto rimanere a casa per studiare e sicuramente preferivo andar fuori a giocare!», dichiara un bambino di una V classe.

          L’iniziativa dei genitori francesi che hanno promosso il singolare boicottaggio, quello contro «l’inutilità e l’ingiustizia» dei doveri scolastici assegnati ai bimbi delle elementari, è risuonata nel nostro Paese come l’avvio di una campagna pro-contro il fare i compiti a casa.           La discussione è stata riaccesa negli ultimi mesi negli Usa dal documentario Race to Nowhere, che mostra studenti stressati da un sistema educativo che li mette sotto tensione. Per questo, gli insegnanti di una scuola elementare della California, stanno sostituendo i compiti a casa con obiettivi di lavoro specifici per le esigenze del singolo studente e che possono essere completati in classe o a casa, secondo il ritmo di ciascuno.           La dichiarazione del Ministro Francesco Profumo è “possibilista”: «Meno compiti di tipo tradizionale, ma si possono dare stimoli agli studenti senza che questi siano formalmente compiti».           C’è bisogno di stare a casa insieme e piacevolmente, dopo una giornata di lavoro, dedicare uno spazio ai figli che non sia fare i compiti, per esempio giocare insieme: il gioco agevola il rapporto, è educativo  e sviluppa delle competenze come la memoria, l’attenzione. Questo vale per i bambini delle scuole primarie. E per i più grandi?           Lasciare i compiti ai ragazzi che frequentano il tempo pieno diventa una “tortura”, soprattutto per i giovani pendolari, che fanno a volte anche più di un’ora di pullman o treno per raggiungere la scuola. Nelle vacanze più lunghe è tipico vedere i nostri giovani concentrarsi l’ultimo giorno di vacanza per “finire i compiti”, sforzo assolutamente inutile.           I docenti possono offrire alternative a quello che è un mero “doposcuola”, proprio perché ci sono una marea di stimoli e input che i giovani ritrovano nella loro vita quotidiana. Ad esempio per non perdere il ritmo ci vorrebbe un rinforzo come un libro da leggere, vedere programmi particolari in tv, scrivere qualcosa di creativo…           I nostri ragazzi oggi occupano i pomeriggi praticando sport, danza, musica, ciascuno secondo le proprie passioni, che a volte vengono viste come ostacoli alla preparazione scolastica. Ma non si cresce anche così?

 

Homework o dévoirs, la battaglia è partita

          Se pensavate che fosse un problema solo italiano, ricredetevi: anche dall’altra parte del mondo, in quella lontana Australia dove vengono pur dati in misura minore, dato che si rimane a scuola anche il pomeriggio, i genitori si sono ribellati ai compiti per casa. L’Australian council of state schools organisation, infatti, già dal 2007 lancia appelli perché, almeno nei primi anni di scuola elementare, i bambini vengano lasciati in pace una volta usciti dall’aula.          Secondo l’associazione, non ci sarebbero prove per sostenere che questi siano davvero utili in quella fascia d’età: anzi, diverse ricerche britanniche e americane sostengono che il lavoro a casa sia collegato a migliori risultati scolastici soltanto dalla scuola media in poi. E se proprio siete, come si suol dire, presi con le bombe, i compiti si possono sempre dare in appalto: come riferisce il sito news.com.au, sempre più studenti australiani li stanno dando in outsourcing a loro colleghi indiani, pakistani ed egiziani tramite siti appositamente dedicati. Le tariffe sono amichevoli: una decina di dollari per un tema di scuola superiore, e due dollari a risposta per un questionario di matematica.          Meglio sembrano passarsela gli americani. Secondo una ricerca del Brown center on education policy, gli studenti passerebbero in media un’ora al giorno sui libri – anche qui, comunque, si rimane in classe il pomeriggio –: media che non sarebbe cambiata negli ultimi vent’anni, nonostante diverse lettere di genitori infuriati siano apparse sui giornali.          Persino alle scuole superiori, nonostante la pressione psicologica della dura ammissione all’università, soltanto un terzo dei ragazzi studierebbe più di un’ora. Ma la media, si sa, è la vecchia storia del pollo di Trilussa: per cui, per ognuno che studia un’ora sola, c’è magari qualcun altro che ne studia tre. Secondo le linee guida della National education association, uno studente dovrebbe avere un carico di lavoro pari a “dieci minuti per classe”: ossia dieci in prima, venti in seconda, e così via, fino – se la matematica non è un’opinione – ai 120 dell’ultimo anno di liceo, a cui vanno comunque aggiunte le 7-8 ore passate a scuola.          Per cui anche oltreoceano il dibattito è vivo: se la Duke university sostiene, studi alla mano, di non aver trovato alcun nesso tra compiti a casa e risultati scolastici, e alcuni insegnanti ritengono che correggere poi tutti quei compiti si risolva in una perdita di tempo che potrebbe essere più utilmente impiegato, altri li considerano irrinunciabili, o cedono alla pressione dei genitori che li ritengono tali.          Tornando in Europa, il dibattito è particolarmente caldo in Francia: l’associazione di genitori Fcpe ha lanciato una petizione perché i compiti per casa vengano banditi, sia perché «nessuno ne ha mai provato l'utilità», sia perché accentuerebbero «le disuguaglianze tra chi può disporre di aiuto a casa e chi no». Vengono quindi invitati gli insegnanti a sperimentare, a partire dal 26 marzo, due settimane senza compiti, e a pensare a forme di lavoro alternative e più al passo coi tempi, sia in classe che a casa: la campagna e le relative testimonianze possono essere seguite sul blog http://cesoirpasdedevoirs.blogspot.it/.          Anche in Gran Bretagna la crociata contro i compiti a casa è partita da anni. Oltre alle già citate ricerche che sembrerebbero incapaci di dimostrarne l’utilità, l’attenzione è rivolta soprattutto a forme “alternative” di lavoro – in primis per i bambini delle elementari – che coinvolgano anche le famiglie: visite ai musei, attività di cucina e di pittura, gite domenicali in luoghi di interesse storico e culturale. Insomma, il vantaggio sarebbe doppio: si evitano le liti familiari tra genitori e figli, e si trova il modo di rilassarsi insieme.          Qui, però, il sostegno alla linea abolizionista sembra essere meno incondizionato: sia il ministero dell’Istruzione che diverse associazioni di genitori ritengono che i compiti siano comunque utili, al di là dei risultati scolastici, per sviluppare quelle capacità di organizzazione e gestione del proprio lavoro che saranno utili un domani. 

Patrizia Mazzola

http://www.cittanuova.it

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