La Chiesa celebra l'Eucarestia, l'Eucarestia edifica la Chiesa, perché è con Gesù Cristo lì presente che la nostra fede e la nostra vita acquistano un senso. Per un cristiano uno dei momenti più esposti al fraintendimento è il momento della messa, della celebrazione eucaristica. Perché fraintesa? Perché le vengono spesso attribuite connotazioni che non le si addicono.
del 04 agosto 2011
 
 
Per un cristiano uno dei momenti più esposti al fraintendimento - non soltanto oggi - è il momento della messa, della celebrazione eucaristica. Perché fraintesa?
Perché le vengono spesso attribuite connotazioni che non le si addicono.
La messa è stata e viene ancora vista come 'distintivo di riconoscimento' dei cristiani, anzi talvolta viene considerata il cristianesimo tout court.
Oppure viene vista come un rito, a cui si partecipa passivamente o peggio ancora come un precetto – “si deve”.
Nei casi migliori poi è vista come un ricordo, il ricordo di quello che accadde nell'Ultima Cena oppure soltanto come una festa, dove si è contenti di trovarsi insieme.
 
In realtà se si vanno a leggere gli insegnamenti della Chiesa e le parole dei Padri, ci si accorge che queste sono solo definizioni parziali o errate di quello che è un momento cruciale per un cristiano.
La Messa è innanzitutto un “memoriale”: si fa memoria dell'Ultima Cena di Gesù con i discepoli, dove Lui offre sé stesso per noi.
Ma questo non come ricordo lontano, bensì come memoria presente: il pane e il vino che il sacerdote depone sull'altare all'Offertorio diventano - durante la Liturgia Eucaristica - Gesù Cristo, in corpo, sangue, anima e divinità, come recita il Catechismo.
Ges√π dunque diviene il Presente, non solo come un sentimento struggente e lontano, ma come Presenza viva ed efficace, invisibile agli occhi, ma non per questo meno reale.
 
La Chiesa quindi celebra l’Eucarestia, ma contemporaneamente è l’Eucarestia che edifica la Chiesa, perché è con Gesù Cristo lì, presente insieme a noi oggi, che la nostra fede e quindi la nostra vita acquistano un senso.
E non stupisce che Gesù stesso abbia scelto questo momento della sua vita – la sera del Giovedì Santo – per continuare a trasmetterci il suo essere in mezzo a noi, Dio con noi.
Avrebbe potuto indicare altri momenti, il dono supremo di sé stesso, sulla croce, nel Venerdì Santo, oppure la Domenica di Resurrezione, lì dove tutto diventa chiaro e definito, dove c’è solo quella Luce che annulla il buio.
Proviamo a pensare se, al posto dell’Eucarestia, ci fosse un memoriale incentrato ad esempio sul racconto di Giovanni dove i due discepoli, Pietro e Giovanni, corrono insieme e insieme entrano nella tomba vuota. Oppure pensiamo se al posto del momento eucaristico, ci fosse la Via Crucis.
Sono episodi della sua vita che sembrano ben pi√π importanti di una cena.
 
Ma Gesù conosce gli uomini, il Vangelo stesso è un manuale di psicologia umana, dove Gesù è il Maestro che si fa conoscere attraverso il sentire umano, anzi diventa lui stesso uomo per poter portare Dio in mezzo a noi in forma comprensibile.
Il Giovedì Santo si è intorno ad una tavola, è un momento di condivisione e di fraternità sia pure non informale, come era stato altre volte, ma per celebrare il rito della Pasqua ebraica. Il momento però è anche delicato e carico di tensione, perché Gesù sa che la sua vita terrena si avvia alla fine e i discepoli intuiscono che qualcosa non va, che qualcosa deve accadere.
Si è quindi lì tra il già e il non ancora, tra la speranza e la disperazione, tra il coraggio e la paura. Possiamo immaginare gli sguardi, quando Gesù dice quello che Giovanni ci riferisce, quando parla dell’amore per gli amici o della venuta dello Spirito Santo.
È un momento triste, melanconico ma anche pieno di speranza, un po’ buio e un po’ luce, dove i discepoli, rispetto a noi, non si immaginavano che quel Gesù che adesso stava parlando lo avrebbero rivisto, prima appeso a una croce e poi risorto.
Ecco che allora l’Eucarestia, per noi che sappiamo com’è andata, acquista un’altra luce, diventa uno spiraglio verso l’eternità, diventa una speranza che è già certezza, pur al cospetto delle nostre fragilità e debolezze.
 
In fondo il Giovedì Santo – e quindi la celebrazione eucaristica – rispecchia la nostra vita, fatta di vittorie e sconfitte, di sofferenza e gioia, di grazia e di peccato, dove la fede talvolta ci sembra forte, ma anche fragile. Dove capiamo che la fede non è la porta che un dio, nemico dell’uomo, vuole tener chiusa per non condividere la sua vita divina con noi, ma è un ombrello aperto in un giorno di sole che ci protegge dalla troppa Luce che rischia di accecarci.
Nelle difficoltà di ogni giorno, nelle nostre vite spesso così complesse e piene di cose da fare, il momento eucaristico diventa allora un aggancio all’eternità, un appuntamento con quel Gesù che si è fatto uomo e si è offerto sulla croce per noi e che continua a dirci: “Io ho vinto il mondo”.
 
Gianni Giletti
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