Nati due volte, un'adolescenza in cerca di vita (Giovani Oggi - 1° puntata )

Occorre sostenere con forza che nulla di buono può venire dal far credere che ragazzi e ragazze siano quelli che compaiono nelle cronache nere dei giornali o vengono presentati in certi spettacoli televisivi. «Sono anche quelli, ma la stragrande maggioranza non si riconosce e non merita di essere riconosciuta in loro».

Nati due volte, un’adolescenza in cerca di vita (Giovani Oggi - 1° puntata )

da Quaderni Cannibali

del 01 febbraio 2005

 Dice Fulvio Scaparro: «Dovremmo essere insoddisfatti, meglio: scandalizzati, della visione dickensiana imperante di un’età, quella che va dalla nascita agli anni dell’adolescenza, presentata quasi sempre a tinte cupe. In realtà, ieri come oggi, le storie che circolano su bambini e ragazzi oscillano tra una immagine oleografica, soprattutto prevalente nei messaggi pubblicitari, del paradiso infantile e adolescenziale e una descrizione fosca e minacciosa del presente e del futuro dei 'bimbi e giovani d’oggi', contrapposti a chissà quali bimbi e giovani di ieri. Quest’ultima visione non è meno falsa di quella degli spot pubblicitari, che prevale seminando preoccupazione in un’opinione pubblica già allarmata di suo. Del resto anche questo tipo di informazione è coerente con il catastrofismo, i divieti e le paure che caratterizzano buona parte dei messaggi che ci grandinano addosso».

Occorre sostenere con forza, aggiunge, che nulla di buono può venire dalla diffusione del panico: dal far credere che ragazzi e ragazze siano quelli che compaiono nelle cronache nere dei giornali o vengono presentati in certi spettacoli televisivi. «Sono anche quelli, ma la stragrande maggioranza non si riconosce e non merita di essere riconosciuta in loro». Il 'malessere' dei giovani non può essere affrontato se non si tiene nel debito conto l’ambiente e gli adulti accanto ai quali crescono, sottolinea Scaparro.

 

Come si può impostare una buona politica per e con i giovani?

«Proprio a partire dall’individuazione degli standard minimi da garantire a bambini e ragazzi perché crescano senza diventare né servi né ladri. Un filosofo ha scritto che i giovani di oggi hanno una vita garantita da mille sicurezze e quindi non l’apprezzano a sufficienza né hanno rispetto per la propria e per quella altrui.  Di sicuro l’affermazione vale per molti dei Paesi più industrializzati. In ogni caso, condivido l’opinione che la vita che ci è stata data dobbiamo guadagnarcela in proprio, farla diventare nostra, voluta da noi».

 

L’equivalente di una seconda nascita?

«Esattamente. Nella prima non abbiamo scelto; abbiamo ricevuto: talvolta poco o niente e questo ci ha fatto disperare e agire da disperati. Nella seconda nascita, nell’adolescenza, tocca a noi mettere un segno personale sulla vita, darle un senso nostro: cominciare a diventare autori della propria storia. Non è facile. Tra pochi successi e molti fallimenti si ha spesso l’impressione che la storia ce la scrivano gli altri. In buona parte è vero, ma quello che non dobbiamo mai fare è indugiare nelle lamentele, nell’autocommiserazione e nella ricerca di alibi. Molti uomini e donne prima di noi hanno lottato, in condizioni personali e sociali difficilissime, per poter diventare, almeno in parte, autori della propria esistenza e non semplici attori di un copione scritto da altri».

Su questo sfondo, afferma Scaparro, si colloca oggi il confronto tra generazioni. «Se è vero che possiamo dare solo ciò che abbiamo, l’invito a cogliere la bellezza e la fertilità della democrazia, e dunque la ricerca ostinata del dialogo, rischia di cadere nel vuoto. L’alta scuola dell’educazione è l’esempio, la disponibilità, la condivisione di un interesse comune ad adulto e giovane, a maestro e allievo: la crescita, l’autonomia, la responsabilità. Solo dando possiamo sperare di far capire quanto sia più bello e gratificante dare che ricevere. Ma le 'alte scuole' non sono numerose e sono comunque poco frequentate: i più abbandonano alle prime difficoltà e si rifugiano nel moralismo, nell’indifferenza, nell’ostilità o nel fanatismo. Dove abbondano i cattivi maestri proliferano i pessimi allievi».

Quale esempio dànno gli adulti, nel privato e nella vita pubblica?

«Mediamente desolante. Non mancano le occasioni di imbatterci in individui e organizzazioni che svolgono un’azione positiva, costruttiva, fertile. Ma è disperante osservare quanto sia difficile per un ragazzo poterle individuare e apprezzare a fronte della normalità dell’esempio negativo. Ho evidenziato l’aggettivo 'fertile' perché il dialogo presuppone che i dialoganti siano diversi. È dalla diversità che qualcosa può nascere: sia esso un figlio, un’idea, un sogno, un conflitto, comunque sempre una storia. Se non accettiamo la diversità, se non la consideriamo un’occasione di vita e dunque di fecondità, l’altro non potrà che essere nel migliore dei casi un estraneo indifferente, nel peggiore un nemico che si frappone ai miei progetti».

Ma come dobbiamo considerare i giovani?

«Non come una categoria a se stante, come i postelegrafonici o i metalmeccanici. Sono esseri umani prodotti da un ambiente e non alieni sui quali possiamo permetterci di dare un giudizio positivo o negativo, come se noi, mondo adulto, non fossimo per nulla responsabili. E sono spesso, in buona parte, il risultato di successi e fallimenti familiari prima che scolastici. Quando parlo di fallimento familiare non mi riferisco soltanto a famiglie vistosamente disastrate, ma a tutte quelle nelle quali l’aspetto relazionale è, nella migliore delle ipotesi, carente. Per 'buona relazione' intendo una relazione che dimostri che tu, ragazza o ragazzo, mi interessi, sollecitando in questo modo il tuo interesse per me: questo molte volte non si sente nel rapporto. Siamo reciprocamente indifferenti».

I ragazzi, molte volte e troppo precocemente, si trovano davanti a uno specchio che li rappresenta come  già sterili e questo non può provocare reazioni giubilatorie, avverte Scaparro. «L’immagine che ci rimanda lo specchio (il volto, gli atteggiamenti, i comportamenti degli altri) va contro la nostra stessa essenza di esseri umani. Sappiamo, per esperienza personale e non perché c’è l’ha insegnato qualcun altro, che il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza. L’odio implica che qualcuno ci interessa, che è un nostro nemico e in quanto tale esiste. L’indifferenza implica la non visibilità dell’altro. È meglio che mi si dica che sono un mascalzone, un disgraziato, piuttosto che non essere visto. L’aggressività dei giovani è una protesta inaccettabile nella forma, ma comprensibile nella sostanza».

Il 'rumore' informativo della televisione, carico anche di messaggi suggestivi, dove conta pi√π apparire che essere, quanto contribuisce a strutturare negativamente la mente dei ragazzi e a orientarne comportamenti e gusti?

«Non sono un avversario della tv per partito preso: ne sono anzi un moderato estimatore per quanto ha fatto di buono (e potrebbe ancora fare) per ridurre le enormi distanze di informazione che dividevano il nostro Paese. Ma oggi è essa stessa potente promotrice e cassa di risonanza della diffusa avversione al dialogo, dell’orribile propensione alla prevaricazione che caratterizza le nostre relazioni individuali e sociali, dell’inquietante confusione che si fa tra parlare e dialogare, del sadismo manifestato nel trasformare in spettacolo ciò che ci divide e del nostro masochismo nel prestarci ad assistere o partecipare a simili spettacoli e ad accettarne come 'normale' tutta la volgarità».

E la scuola? Ha responsabilità gravi o lievi? 

«Sono da anni piuttosto critico con una scuola  che è arrivata a perdere la centralità e la considerazione di cui godeva in passato. Si dice spesso che una scuola non può interessarsi di tutti; invece una buona scuola deve farlo, individualmente. Quando non lo fa per questioni di organizzazione, perché 'siamo troppi in classe', eccetera, l’insegnamento fallisce. Ognuno di noi ha qualche maestro o maestra nella mente che è stato capace di affascinare, aprire la mente, fare amare la cultura».

(1. continua)

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