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Nel mercato piegato all'ideologia maschio e femmina non servono più

E' il gender free marketing come lo chiamano i professionisti. Corrisponde all'insieme di modi di comunicare a un pubblico maschile o femminile con prodotti che, facendo leva sulle aspirazioni generali, scavalcano le differenze di sesso.


Nel mercato piegato all’ideologia maschio e femmina non servono più

da Attualità

del 22 dicembre 2011(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

          «E’ il gender free marketing come lo chiamano i professionisti. Corrisponde all’insieme di modi di comunicare a un pubblico maschile o femminile con prodotti che, facendo leva sulle aspirazioni generali, scavalcano le differenze di sesso».

          Silvia Manzoni, Gender Free, “D, la Repubblica delle donne”, qualche settimana fa, nella sezione NeoBeauty dedicata alla cosmetica dell’inserto settimanale femminile di Repubblica, è comparso un servizio di Silvia Manzoni, intitolato Gender Free.

          “Le cose stanno cambiando soprattutto tra i giovani”, ci viene spiegato in un articolo che dà conto della presunta diffusione di una cosmetica che, fino a qualche tempo fa, avremmo semplicemente definito unisex. Ma oggi parlare di unisex è datato. Oggi, per essere di tendenza, occorre riferirsi alla “gender flexibility”, a quella “elasticità dei generi che deriva anche dalle nostre abitudini di vita. ‘La società attuale ci chiede sempre più flessibilità, nel lavoro, nelle occupazioni quotidiane nei rapporti con gli altri’ spiega Françoise Weishaupt, esperta indipendente di tendenze marketing. ‘I codici troppo rigidi non funzionano più. Si instaura un approccio ludico con la propria identità”. Questo servizio che pubblicizza cosmetici “per identità mutevoli e open mind” è l’emblema dei passi da gigante che ha compiuto oggi l’ideologia del gender secondo cui la femminilità e la mascolinità non hanno fondamento reale, ma sono invece costruzioni culturali indotte dalle quali bisogna liberarsi per stabilire un’autentica uguaglianza tra gli esseri umani. Tutti cioè nasceremmo come materiale umano indistinto e indefinito, nessuna differenza inscritta nel nostro Dna: essere uomini o essere donne sarebbe solo una scelta indotta dalle circostanze concrete della vita di ciascuno, e sarebbe una qualifica tutt’altro che definitiva. Onde infatti rispettare il diritto di scelta e di privacy di ciascuno, la società e il diritto dovrebbero liberamente concedere alle persone di essere del sesso che si sentono, cambiandolo eventualmente nel corso del tempo, traghettando da una identità all’altra alla ricerca dell’autentico sé.

          La cosa che colpisce del servizio di D, è il suo non essere dettato tanto dalla voglia di scandalizzare o colpire. La moda in genere, si sa, deve necessariamente attirare l’attenzione: in passerella, ad esempio, tutto è eccessivo, esagerato. Splendide modelle con enormi ali, corpi praticamente nudi con indosso solo pelosissimi gilet di pelliccia, abiti da tutti i giorni con una tale quantità di svolazzi da trasformare il percorso di una sola fermata di autobus in un viaggio transoceanico, figli in fila per entrare in discoteca che vengono fatti passare avanti da padri travestiti da donne. Cattivo gusto, a volte, forse: resta comunque che la moda deve farsi notare, onde indurre a ogni cambio di stagione il malcapitato a una renovatio radicale del suo parco-stile. Il servizio Gender Free, invece, nel dare conto dell’esistenza di alcune nuove linee di cosmesi, presenta implicitamente l’ideologia del gender come un dato di fatto a cui il mercato si sarebbe meramente piegato. L’elasticità dei generi sarebbe qualcosa di scaturito dal basso della società, dalla domanda creata dalle abitudini di vita della gente, da un mondo in recessione che richiederebbe di reinventarsi, oltre che nel lavoro, anche nel sesso. Forse, come presa in giro, è un po’ troppo.

          Nell’amarezza per quanto questa falsa ideologia continui a macinare proseliti (spesso inconsapevoli di tutto ciò che v’è realmente dietro) e a conquistare spazi sempre nuovi, una domanda concreta ci mantella in testa. Nel futuro prossimo, quei poveri malcapitati che crederanno ancora abbia un senso profondo, radicale e costitutivo dell’essere umano sostenere che “maschio e femmina li creò”, con quale diamine di cosmetici si potranno truccare?

Giulia Galeotti

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