Viaggio tra le corsie del nosocomio di Los Magallanes de Catia, dove si tocca con mano l'emergenza sanitaria del paese. «Qui eravamo all'avanguardia nella cardiochirurgia, ora respingiamo le partorienti!».
Da oltre cento anni i venezuelani e molti altri latinoamericani affidano la loro salute al dottor José Gregorio Hernandez Cisneros. Oggi più che mai. No, non si tratta di un medico particolarmente longevo: è morto nel lontano 1919, vittima di uno sfortunato incidente automobilistico. Ma la memoria e la fede popolare l’hanno trasfigurato in un santo taumaturgo, la cui statuina di gesso non manca mai nelle cappelle di cliniche e ospedali, e spesso è presente nelle case della povera gente. Vestito di bianco o di nero, ma sempre in giacca e cravatta e con un Lobbia di feltro calcato sulla testa. Più raramente in camice bianco e con uno stetoscopio al collo. Circondato da altre statue di santi e divinità: Gesù Bambino, la Vergine Maria o san Michele Arcangelo se ci troviamo fra cattolici, oppure Marìa Lionza e i personaggi delle sue nove corti, se ci troviamo fra seguaci dello Spiritismo marialioncero, religione indigena sincretista incentrata su una leggendaria regina precolombiana.
Qui nella cappella dell’ospedale del barrio Catia, alla periferia di Caracas, che prende il nome da lui, il dott. José Gregorio attorno al collo non ha uno stetoscopio, ma decine di rosari e cordicelle colorate votive, e se ne sta dentro a una teca in muratura con la porticina di vetro, illuminato da una lampadina che si accende ad ogni offerta corrispondente a una richiesta di guarigione. Persino il presidente Nicolas Maduro, in visita da papa Francesco, ha fatto omaggio al pontefice di una statua di una trentina di centimetri del “medico dei poveri”, il cui processo di beatificazione è in corso da molti anni. «Santità, non canonizzi José Gregorio finché Maduro è presidente», avrebbe eccepito l’oppositore Henrique Capriles.
Il fatto è che ormai in Venezuela tutti, dai malati poveri agli esponenti della classe dirigente, si affidano al venerabile, perché la sanità non è certo uno dei settori meno colpiti dalla crisi di liquidità dello Stato. Statistiche sulla carenza di presidi sanitari il ministero non ne diffonde per non causare allarmismi e per non fare il gioco dell’opposizione, ma basta entrare nel nosocomio di Los Magallanes de Catia per farsi un’idea della situazione. A pian terreno i servizi di carattere socio-sanitario sembrano funzionare: c’è lo sportello per le donne abusate e quello per richieste speciali di chi si trova in condizioni di bisogno. Il problema comincia quando si vuole salire nelle corsie dei vari piani: degli 8 ascensori di cui l’ospedale fu dotato al momento dell’inaugurazione, non ne funziona che uno: una coda di pazienti e di infermieri sosta in permanenza di fronte alle sole porte metalliche che si aprono e si chiudono. «E pensare che in questo ospedale ha operato Christiaan Barnard! Qui eravamo all’avanguardia nella cardiochirurgia, e adesso ci ritroviamo a respingere le partorienti!», commenta un medico sulla cinquantina, secondo il quale l’appalto della fornitura e dell’assistenza sarebbe stato vinto a suo tempo da una ditta argentina solo per ragioni di affinità politica fra il Venezuela di Chavez e l’Argentina dei Kirchner.
Fatto sta che le partorienti vengono respinte, a travaglio già iniziato, quando si presentano in ospedale al momento sbagliato: cioè quando anche l’ultimo ascensore funzionante, mantenuto in vita cannibalizzando pezzi di ricambio di quelli che non marciano più, si blocca. Il reparto di Ostreticia e Ginecologia si trova al quarto piano, decisamente troppo in alto per donne che arrivano a travaglio iniziato e dovrebbero salire quattro rampe di scale. Non resta che un montacarichi, che però è piccolo e riservato al trasporto di ogni genere di rifiuti. In quelle occasioni le pazienti vengono dirottate verso qualche altro ospedale, a meno che non decidano di tornare a casa per partorire lì.
Nei reparti le cose non vanno meglio. Manuel è un laureato che sta facendo internato nel reparto di chirurgia. Pressato dalle domande, ammette come stanno le cose: «Sì, nominalmente la sanità pubblica è gratuita, ma nella realtà non è così. Ci mancano parecchie forniture, per operare dobbiamo chiedere la collaborazione dei pazienti: a volte devono portarsi da casa le suture, altre il disinfettante, altre ancora i punti metallici interni». Ne sono carenti gli ospedali pubblici ma anche quelli privati, non si trovano nelle farmacie popolari a prezzi calmierati, e allora bisogna cercarli a prezzi interi, che significano 400 bolivares per un set di 8 suture, 1.000 bolivares per una confezione di disinfettante operatorio, 3.000 bolivares per i punti metallici interni. In Venezuela, ricordiamolo, il salario minimo è di 4.250 bolivares, coi quali bisogna affrontare bisogni di base che, nonostante i prezzi controllati, richiedono 10.444 bolivares mensili per il solo paniere alimentare.
«Settimana scorsa tutti gli ascensori erano fermi, e allora i vassoi con i pasti li hanno portati su a mano i parenti dei pazienti, noi siamo salite e scese varie volte coi farmaci dentro a delle borse», spiega Matilda, un’infermiera della Maternità e Ginecologia. Lo stipendio di un infermiere ammonta a 7 mila bolivares, quelli dei medici stanno fra 10 e 12 mila bolivares. Molto meno di quelli delle cliniche private, dove già il primo stipendio, se si lavora a tempo pieno, è di 17 mila bolivares. Naturalmente i medici degli ospedali pubblici, tolti i laureati che fanno internato e che affollano le corsie dell’ospedale José Gregorio Hernandez del barrio Catia, lavorano anche in cliniche e ambulatori privati. La federazione di questi ultimi (Associazione venezuelana di cliniche e ospedali, che riunisce 208 istituzioni) produce statistiche allarmanti. «Le nostre cliniche non importano direttamente, acquisiscono le forniture nel mercato nazionale, al prezzo fissato dalla catena di commercializzazione, essendo l’anello finale che presta servizio soffrendo insieme ai nostri pazienti le conseguenze dell’esaurimento progressivo delle riserve. Alla data del 26 marzo scorso su 239 presidi analizzati 194 si trovavano in stato di penuria assoluta e 45 in stato di penuria critica. Mancano presidi sanitari che vanno dai medicamenti e dai guanti chirurgici fino alle valvole cardiache, dalle siringhe alle sonde, ai cateteri e alle suture. È una situazione estremamente grave per le implicazioni che ha per l’attenzione ai malati, tanto nel sistema pubblico come in quello privato». Manca anche l’acqua corrente, che due giorni la settimana, il martedì e il giovedì di solito, sparisce per tre ore negli ospedali pubblici come in quelli privati e in quasi tutta la città.
La penuria di materiali sanitari e medicine è dovuta alle stesse ragioni per cui scarseggiano molti prodotti alimentari: le importazioni (90 per cento dei presidi sanitari è importato) sono controllate dallo Stato, che assegna dollari a chi ne fa richiesta per potere importare. Siccome le casse dello Stato sono carenti di valuta forte, la catena si blocca e la sanità non funziona. Non solo gli acquisti non vengono finanziati o liquidati dopo che sono stati autorizzati, ma nemmeno i rimborsi alle cliniche private convenzionate con la sanità pubblica vengono versati: il debito attuale dello Stato verso le cliniche è di 10 miliardi di bolivares. In attesa di migliorare la propria liquidità, per affrontare la crisi il governo sembra non aver trovato di meglio che ridurre l’operatività dei suoi propri ospedali.
Chi visita il José Gregorio Hernandez di Catia, area molto popolata della capitale, scopre che il terzo e il quinto piano sono inutilizzati. Nelle camere i letti appaiono desolatamente vuoti, sulle reti metalliche solo materassini ricoperti di pelle marroncina. L’ingresso alla corsia del quinto piano addirittura è bloccato da un grosso lucchetto che chiude una catena avvolta attorno alla maniglia a spinta della porta del corridoio. Risuonano in mente le parole del comunicato dell’associazione delle cliniche private: «Attualmente esiste un deficit di 30 mila posti letto a livello nazionale. Il settore pubblico dispone di circa 45 mila posti di letto messi a bilancio, ma di questi solo 12.300 sono operativi e assolvono la domanda del 44 per cento della popolazione. Mentre il settore privato coi suoi 8 mila posti letto operativi si prende cura del 56 per cento della popolazione».
Ma la cosa più strana di tutte è che fra il 56 per cento di popolazione che si ricovera nelle cliniche private convenzionate ci sono anche dipendenti pubblici di tutti i tipi (insegnanti, impiegati, poliziotti, ecc.). Il socialismo bolivariano è così bizzarro e carente di autostima, che circa 10 milioni di dipendenti pubblici e loro familiari sono coperti da assicurazioni private e previdenze integrative che l’ente pubblico paga per loro. Cioè lo Stato con le trattenute previdenziali in busta paga non è capace di offrire una sanità pubblica ai propri dipendenti. Piuttosto li convenziona con i servizi privati. Chissà cosa direbbe José Gregorio Hernandez Cisneros se fosse ancora vivo. Lui che pagava le medicine di tasca sua e passava a portarle nelle case dei più poveri, che aveva visitato gratuitamente.
Alessio Falsavilla
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