La geografia silenziosa dei 329 Centri che strappano figli all'aborto. Una geografia silenziosa di volti e di storie nelle nostre province. Le madri assistite sono nell'82 per cento dei casi immigrate, i motivi per cui pensano all'aborto sono per il 72 per cento di natura economica.
Quando hanno bussato alle porte del mondo, le loro prospettive non erano delle migliori. Figli appena concepiti da immigrate, o disoccupate, o donne sole: l’esito più probabile della loro storia era di finire prima di cominciare. Ne sono nati, l’anno scorso, 10.078 grazie all’aiuto dei volontari dei Centri di aiuto alla vita; quei luoghi silenziosamente ma capillarmente operanti, in Italia, dove non si discute di etica, ma semplicemente alle donne incerte se tenere un figlio si tende una mano.
Se ne parla fino a domani in un convegno a Bellaria, ma probabilmente non ne leggerete molto sui giornali. Non sono, quei 10.078, opera di maghi della provetta, non sono stati voluti a ogni costo, non hanno magari due madri e un padre che non vedranno mai. Rischiavano, anzi, di non avere né padre né madre. Di essere buttati via, nella contraddizione che segna la maternità in Occidente oggi: se sei voluto sei un figlio, altrimenti sei un niente. 10.078 bambini dunque nel 2011, e 329 Centri di aiuto alla vita sparsi per tutta l’Italia.
Una geografia silenziosa di volti e di storie nelle nostre province. Le madri assistite sono nell’82 per cento dei casi immigrate, i motivi per cui pensano all’aborto sono per il 72 per cento di natura economica. Non hanno soldi, non hanno una casa, temono di perdere il lavoro. La crisi si legge in filigrana in queste statistiche dei Cav. E tuttavia un dato è in controtendenza, in un tempo di bilanci in flessione: da vent’anni a questa parte i centri sono esattamente raddoppiati. Ai primi volontari ormai in là con gli anni se ne sono alternati dei nuovi. Molti sono giovani. Nel fondo della crisi si allarga una solidarietà che certo è concreta, fatta di soldi e vestiti e pannolini, ma che prima di tutto è una faccia amica. L’unica che, quando tutti ti avvertono che stai facendo una follia, ti dice invece: mettilo al mondo, noi per te ci siamo.
Un dato colpisce: fra le donne arrivate al Cav intenzionate ad abortire o incerte, 81 su cento partoriscono. E viene da pensare a quante altre come loro non hanno incontrato nessuno, e a quanto più sole saranno, il giorno che se ne usciranno dall’ospedale. E viene da domandarsi quanti altri figli nascerebbero, se i volontari dei Cav potessero essere presenti, come da sempre chiedono, nei consultori pubblici dove le donne chiedono il certificato per abortire. Dagli esordi dei Cav, i nati in Italia sono 104.965, testimoniano le statistiche, ma in realtà sono di più, perché non tutti i centri riescono a registrare l’attività di sostegno compiuta. La media è di 52 nascite per Centro all’anno – un bambino alla settimana, un sacco da fare.
Ma se leggi i dettagli, quest’anno i nati sono stati 75 a Agrigento, 85 a Bassano, 127 a Prato, 231 a Mantova. E nel dettaglio vedi queste nostre città, le loro piazze, e ti accorgi di quanta vita sono, in un Paese che invecchia, anche pochi bambini. Allora torni su quelle colonne di numeri e ti soffermi sui luoghi più piccoli. A Mazara del Vallo 37, a Nichelino 11, a Vasto 4 bambini. Fino a San Giovanni Ilarione. Dov’è, ti chiedi? In provincia di Verona, dice Google maps, cinquemila anime. A San Giovanni Ilarione dall’aiuto a una madre è arrivato 1 bambino. E quanto grande è il dono di quell’unico bambino; e chissà che farà da grande, e se fra trent’anni in quel paese nasceranno i suoi figli. Nel cono d’ombra dei media a Bellaria si lavora su una solidarietà di cui tace la tv, e non si accorge il nervoso pigolìo di Twitter. Eppure nel silenzio, un figlio per volta, un’altra Italia scrive un’altra storia.
Marina Corradi
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