Nell'educare ci vuole occhio!

Parole, parole, parole... cantava Mina. E di parole se ne dicono tante, se ne sentono tante. Un ragazzo, un giorno, entrando in ufficio, mi ha detto: «Don, ho l'otite!», spiegando che era stufo di sentire i richiami della mamma

Nell’educare ci vuole occhio!

da L'autore

del 05 gennaio 2008

Parole, parole, parole... cantava Mina. E di parole se ne dicono tante, se ne sentono tante. Un ragazzo, un giorno, entrando in ufficio, mi ha detto: «Don, ho l’otite!», spiegando che era stufo di sentire i richiami della mamma: «Crede di cambiarmi con le prediche, ma io non l’ascolto più! Anche mio papà dice di avere l’otite!». Mi sono fatto mandare la mamma con la quale, ho cercato di parlare nelle poche pause di respiro che mi ha concesso.

La parola è una leva potente per educare: se usata con discrezione, se non ferisce, fa leva sulle emozioni e sui sentimenti, sul desiderio che i ragazzi hanno di essere incoraggiati, anche quando le cose non vanno bene, evitando pessimismi che creano tristi scoraggiamenti e forme di depressione, di disistima di sè.

 Un amico giornalista, anni fa, in un liceo scientifico di Torino, aveva chiesto ai ragazzi quali erano le parole che maggiormente sentivano dai loro genitori e quali avrebbero preferito sentire, Le risposte sono state interessanti, molto uguali: «Smettila!»; «Sei già qui? Si sta così bene, quando sei a scuola!»; «Non rompere!»; «Alla prossima ti sbatto fuori casa!»; «Sei proprio capace di fare niente!»; «Sei tutto tuo padre (o tua madre)!»; «Stasera, niente cena, così impari!» eccetera, eccetera, con chiara censura sulle parolacce, che accompagnavano alcune frasi. I ragazzi e e le ragazze, si noti bene di scuola superiore, decisamente ne preferivano altre: «Hai un bel sorriso!»; «Sono contento di quel che hai fatto oggi!»; «Dirò al papà che sei migliorato! »; «Quando non ci sei, la casa è vuota!»...

Parole anche per correggere. ll termine «correzione» è odioso, antipatico, modernamente si preferisce dire «autorevole intervento educativo». Comunque sia, è necessario intervenire, l’importante è il modo, il tono che si usa, il tempo propizio per farlo e, direbbe Cesare Beccaria, la ragionevolezza della pena.

Ma... c’è un ma, che mette in crisi genitori ed educatori: se ci limitassimo solo alle parole, otterremmo ben poco dai nostri ragazzi. Occhio! Nell’educazione è importante l’occhio: è il senso più potente dell’udito, è il più pronto e più penetrante dei nostri sensi. I nostri ragazzi hanno bisogno di vedere. Nella comunicazione si tende a privilegiare l’occhio, colpire l’occhio. Nell’educazione questo è essenziale: con il nostro modo di fare, noi colpiamo visibilmente i nostri ragazzi. È la forza del buon esempio, visibile, concreto, trasparente.

Già in tempi antichi si diceva: «Verba movent sed exempla trahunt». Potremmo tradurre che le parole stimolano l’intelligenza, possono creare attenzione, ma solo le testimonianze attirano i ragazzi e li aiutano a fare scelte positive, quando sono buone, producendo effetti nefasti quando sono negative. Talvolta occorrono anni per cancellarne le impressioni provocate, che possono condurre i ragazzi su strade di infelicità.

Più volte si afferma che ragazzi violenti provengono da famiglie violente, che il male ha radici lontane. Famiglie perfette non ce ne sono: pregi e difetti non sono mancati neppure nelle famiglie dei Santi. Non si può pretendere che non ce ne siano! L’importante è riconoscerlo e cercare insieme, genitori e figli, di far crescere il bene, lottando contro la tentazione di dire: siamo fatti così, non è possibile cambiare!

Occhio! I ragazzi vorrebbero vedere in famiglia testimonianze d’amore, ma anche «di buon umore». Sarà forse una mia personale deformazione, per la familiarità che ho con il mondo dei clowns, ma credo fermamente che una buona dose di allegria, qualche sorriso in più, distenderebbe gli animi, renderebbe più serena la casa, aumenterebbe la voglia di starci o di tornarci. Don Bosco era più allegro, quando i dispiaceri lo assediavano maggiormente. Conservava l’allegria, nonostante le contrarietà, per non pesare sopra i suoi confratelli ed i ragazzi e mantenere sereno, gioioso, il clima dell’oratorio. Forse questo non guasterebbe neppure nelle nostre famiglie! «La santità » – diceva il santo dei giovani – consiste anche nello stare allegri».

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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