Nino Baglieri, prima Cooperatore Salesiano poi Volontario con Don Bosco, ha trovato per la sua condizione “infelice” di tetraplegico, una “soluzione” felice: ha esaltato la vita e ne ha testimoniato la gioia con la sua sofferenza offerta come dono». L'inizio del processo di beatificazione è un dono per la diocesi di Noto, la Famiglia Salesiana e la Chiesa tutta.
del 07 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          Nino Baglieri, prima Cooperatore Salesiano poi Volontario con Don Bosco, ha trovato per la sua condizione “infelice” di tetraplegico, una “soluzione” felice: ha esaltato la vita e ne ha testimoniato la gioia con la sua sofferenza offerta come dono». L’inizio del processo di beatificazione è un dono per la diocesi di Noto, la Famiglia Salesiana e la Chiesa tutta.          Poteva muovere solo la testa, ma è stato definito “l’atleta di Dio”; era tetraplegico per la caduta da un’impalcatura nel 1968 a 17 anni, ma con il sorriso, la parola e migliaia di pagine scritte con la bocca, ha girato il mondo. È il ritratto di Nino Baglieri, Salesiano laico consacrato di Modica morto nel 2007, il cui processo diocesano per la beatificazione ha avuto inizio il 3 marzo nella cattedrale di Noto alla presenza del Vescovo Antonio Staglianò e del Rettor Maggiore dei Salesiani Pascual Chavez. Attorno a questo evento il Movimento Giovanile Salesiano di Sicilia ha celebrato, domenica 4 marzo 2012, la festa regionale il cui tema è stato «Corriamo verso la santità. Come Nino, l’atleta di Dio». Più di 2500 partecipanti hanno riascoltato le parole di Nino Baglieri, indirizzate anni fa a loro e scritte con la bocca: «Aiutatemi a lodare e ringraziare Dio per tutto quello che opera nella mia vita. Mi trovo da 36 anni sotto il peso della croce. Gesù rende la mia croce leggera e soave cambiando la mia sofferenza in gioia. Sono tutto paralizzato, posso muovere solo la testa, ma il mio cuore è pieno di gioia e di tanta forza nel testimoniare il Signore al mondo intero. Lui mi fa camminare per il mondo pur restando fermo nel mio letto, mi fa abbracciare il mondo anche se le mie mani non si muovono. (…) Io vi voglio bene, vi sono vicino con la preghiera e la mia offerta di sofferenza. Testimoniate con la vostra vita l’Amore di Dio agli altri giovani».
          Il Vescovo di Noto intravede in questa storia un segno profetico per la bioetica attuale: «In seguito alla sua caduta resta paralizzato. La  condizione clinica è talmente critica che uno specialista proporrà alla madre di praticare l’eutanasia, ma ella coraggiosamente si oppone, confidando in Dio e dichiarandosi disponibile ad accudirlo per tutta la vita. Nino Baglieri conserverà la gratitudine per questo sì alla vita, tanto da richiamarlo nel suo testamento spirituale: “È solo per il sì della mamma alla croce – alla richiesta di mettere fine alla mia vita – che sono qui a scrivere”. Quando nessuno parlava di bioetica, nel 1968, una donna priva di grandi argomentazioni etiche, non tiene in conto l’assenza di una ottimale qualità di vita del proprio figlio, come motivo per privarsi del suo amore. Questa madre, con la sua dotta ignoranza e l’istinto materno, applica quello che nel gergo bioetico è definito il principio della difesa della vita umana, divenendo antesignana di un’opposizione responsabile alla iniziale congiura – contemporanea - nei confronti della vita». In questi anni ampio è il dibattito sulla dignità della vita e sull’eutanasia; la vicenda di Nino Baglieri non può essere però accostata a quella di Piergiorgio Welby o di Eluana Englaro: «Piergiorgio – continua Staglianò - chiederà per sua volontà di essere sedato e sganciato dal respiratore, mentre nel caso di Eluana la volontà eutanasica non è personale, sarà il padre a chiedere la sospensione dei mezzi minimali. Nella vicenda di Nino non emergerà mai la volontà di farla finita, nonostante la totale immobilità o le frequenti crisi di soffocamento, anzi il suo dolore lo orienterà verso una ricerca di senso, compiuta e realizzata nel Crocifisso-Risorto.
          Se un accostamento si vuole fare, si deve registrare il fatto che Nino ha trovato per la sua condizione “infelice”, una “soluzione” totalmente diversa dagli altri due casi: ha esaltato la vita e ne ha testimoniato la gioia con la sua sofferenza offerta come dono». L’inizio del processo di beatificazione è un dono per la diocesi di Noto e la Chiesa anche per il messaggio che dà in tema di bioetica secondo il Vescovo: «Va ricercato nella capacità che ha avuto di integrare il limite della malattia e della non autonomia, non prendendo mai le distanze dall’umano ma ricercando quella dignità della vita che non resta circoscritta agli standard cosiddetti ottimali, senza i quali una vita non merita di esser vissuta. Lascia un messaggio di “vita umana” straordinario: la vita è bella perché è umana, ed è umana non tanto per le condizioni fisiche, materiali, economiche, non tanto per l’efficienza che un corpo riesce a realizzare, ma perché pulsa il cuore nell’amore, e l’intelligenza, la volontà, il sentimento e tutto il proprio corpo si trasfigurano nel dono e diventano compassione, vicinanza, prossimità, cura dell’altro. Quanti andavano a trovarlo, se ne uscivano confortati, pieni di voglia di ricominciare a vivere più cristianamente e più umanamente». 
Marco Pappalardo
Versione app: 3.26.4 (097816f)