Non si finisce mai di crescere!

La formazione permanente prende spunto da tutti questi elementi e ne fa un metodo di lavoro pedagogico, che caratterizza tutta la vita. Essa comporta un lavoro di integrazione dei diversi aspetti della crescita, fondato su principi che regolano, organizzano e strutturano la realtà individuale, facilitandone lo sviluppo dei compiti esistenziali...

Non si finisce mai di crescere!

da Quaderni Cannibali

del 10 febbraio 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

          Ogni persona consacrata porta avanti un processo di sviluppo di sé che le permette di realizzare gli obiettivi vocazionali radicati nel dono della chiamata. Questo lavoro coinvolge l'individuo a vari livelli, sia dentro di sé (il temperamento, il modo di essere in relazione, la regolazione degli stati emotivi, l'evoluzione dei processi cognitivi) che nel rapporto con l'ambiente (familiare, sociale o culturale).

          La formazione permanente prende spunto da tutti questi elementi e ne fa un metodo di lavoro pedagogico, che caratterizza tutta la vita. Essa comporta un lavoro di integrazione dei diversi aspetti della crescita, fondato su principi che regolano, organizzano e strutturano la realtà individuale, facilitandone lo sviluppo dei compiti esistenziali, in vista del fine ultimo che è la piena maturità umana dentro un progetto di vita riconosciuto nella propria storia vocazionale. Il rischio di una formazione stereotipata e monotona          Purtroppo, una certa formazione stereotipata tende a enfatizzare la coincidenza tra il funzionamento morale e i valori centrali della persona, portando così a una accettazione passiva degli ideali di vita, che così restano relegati a un livello superficiale del cammino di crescita, e non incidono nella realtà individuale. Con questa visione, lo stile formativo sarà centrato più sui risultati apparenti che sulla maturazione reale e progressiva del soggetto.Se, per esempio, ci si accontenta che una suora junior abbia un carattere socievole, sia disponibile al servizio richiesto nella pastorale, e partecipi ai rituali liturgici con fervore, senza verificare quali sono le motivazioni subconsce sottostanti, o comunque senza chiedersi a quale modello di spiritualità corrisponde il suo atteggiamento di dedizione apparente, si rischia di deviare l'attenzione educativa su delle aspettative che saranno fuorvianti. Fino a restare sconcertati quando poi, nel processo di crescita della persona, emergeranno delle convinzioni del tutto diverse.«Ma se sono puntuale, mansueto, sorridente, studioso,… perché non mi ammettono al diaconato? Mi hanno sempre detto che un buon seminarista è quello che sa dire sempre di sì alle loro richieste formative. Io l'ho sempre fatto, e ora che vogliono? Solo perché ho sbagliato una volta mi devono dire di no? Non si può etichettare una persona per un errore solitario?», diceva con rabbia uno studente di teologia che si era visto rifiutare l'ammissione agli ordini per il diaconato nella sua congregazione religiosa. Peccato che quello che lui chiamava 'un errore solitario' era il risultato di uno sfaldamento affettivo in atto, di cui i suoi formatori si erano accorti dopo aver accertato la dissociazione tra le motivazioni dichiarate all'esterno e le tendenze pulsionali che egli faticava a contenere.

          Non è solo questione di salvare le 'apparenze' né è sufficiente trasmettere dei contenuti (anche se di valore), per assicurare una sana formazione. Ma occorre un metodo di vita duraturo e qualificato, capace di integrare le diverse dimensioni della persona in un progetto in continua conformazione all'amore di Cristo. «Dovrà essere formazione di tutta la persona, in ogni aspetto della sua individualità, nei comportamenti come nelle intenzioni. È chiaro che, proprio per il suo tendere alla trasformazione di tutta la persona, l'impegno formativo non cessa mai» .Il miglioramento che ci si aspetta allora dal lavoro di formazione permanente è un chiaro slancio evolutivo, un impulso per la vita che è insito nella storia di ognuno, e che porta a considerare la capacità di crescita come una continua e migliore congruenza tra sé e l'Altro, per rispondere armonicamente alla chiamata vocazionale di Dio.Ciò porta a prendere decisioni che aprano agli orizzonti di senso radicati nella propria storia, soprattutto quando la persona si trova a vivere situazioni conflittuali o di difficoltà psico-affettive che si ripresentano con ripetitività: è allora che occorre riscoprire l'identità vitale della propria consacrazione, per ri-orientarsi verso Colui che dà significato al suo essere.Ed è a questo spirito di rinnovamento che la formazione deve richiamarsi per essere concreta e permanente, perché faccia emergere la consapevolezza dei desideri o delle aspirazioni vocazionali che ciascuno porta dentro di sé a partire dalle tante situazioni di vita che incontra lungo l'intero ciclo di crescita.

          Tale prospettiva permette di pensare ai cambiamenti non tanto come a qualcosa di frammentario o di accidentale, ma come parte di un continuum nello sviluppo delle persone che vivono e condividono uno stesso ideale. La formazione tornerà così a riappropriarsi del suo carattere trasformativo, capace di incidere nel vissuto reale dell'esperienza di consacrazione, con un atteggiamento di continua apertura alla profondità del dono vocazionale ricevuto. Le tante facce della 'trasformazione' permanente          Le modalità di sviluppo di ogni individuo offrono opportunità di crescita che ciascuno realizza in modo differenziato, a seconda della propria esperienza e del proprio carattere: ci sono alcuni aspetti di sé che si sviluppano maggiormente, altri meno. Ciò porta a tener conto di come le caratteristiche di ognuno evolvono lungo i cicli di sviluppo.Tale evoluzione è ancor più significativa nei momenti di crisi: è allora che la persona, anziché restare bloccata nelle sue difficoltà, può attingere dalle risorse precedentemente maturate per reimpostare il proprio cammino, prendendosi così cura di quegli aspetti di sé che l'aiutano ad avanzare nello sviluppo della propria personalità e della propria storia vocazionale.Inoltre, può sempre adattare un certo stile di comportamento, in base alle nuove condizioni che le si presentano. Se una persona ha vissuto in un contesto dove era difficile ottenere rinforzi positivi dagli altri perché il suo compito la portava a sentirsi continuamente in competizione con l'ambiente, potrebbe migliorare il suo sistema di adattamento e quindi attivare risorse diverse, cercando in maniera diversa supporto e sostegno dagli altri con cui vive.

          Prendiamo l'esempio di una religiosa che vive in una comunità dove ha potuto sviluppare delle competenze pastorali adeguate per i servizi richiesti, ma che a un certo momento della sua vita si sente svantaggiata e scoraggiata perché le viene richiesto di fare cose a cui lei non è preparata. La prima cosa che generalmente si fa è di mandarla da qualche parte per un periodo sabbatico in cui possa unire l'utile al dilettevole: prepararsi al nuovo incarico (casomai facendo anche un corso specializzato) e allo stesso tempo riposarsi dalle fatiche precedenti con l'aggiunta di qualche momento di speciale spiritualità. Su questo nulla da eccepire. Ma se nel nuovo ambiente non attiva modalità di adattamento che stimolino la crescita evolutiva delle sue diverse componenti psico-affettive, i suoi corsi di formazione permanente serviranno a ben poco. Se cioè non tiene conto che il cambiamento del servizio pastorale a cui è chiamata la obbliga a rinnovare non solo il modo di 'fare' ma anche il suo modo di 'essere' e le motivazioni sottostanti alla sua disponibilità, tornerà a sentirsi disaffezionata, apatica e incapace di dare un senso non solo al lavoro che fa ma anche alla sua stessa identità di consacrata.

          Quando consideriamo il compito della formazione permanente come un lavoro che deve incidere nella vita della persona, allora le carenze attuali che la persona incontra possono far risaltare altre qualità da valorizzare, ed essere operativamente integrate con i nuovi stimoli che l'ambiente le offre. Se si facilita il suo apprendimento e se lei riesce a sviluppare quegli aspetti di sé che meglio l'aiutano ad aprirsi alle nuove esigenze del lavoro, potrà sentirsi adeguata anche nel nuovo servizio, migliorando così le sue condizioni di vita con esperienze nuove e creative che facilitano il suo processo di trasformazione e di crescita.Questo processo di miglioramento non caratterizza solo i momenti di speciale tensione psicologica (le crisi, i trasferimenti, le obbedienze difficili, i conflitti…) ma tutta la vita, perché in ogni fase ci sono condizioni o situazioni a cui rinunciare, così come in ogni fase ci sono nuove conquiste a cui la persona deve prepararsi. «Lo sviluppo, in un momento qualsiasi della vita, è un'espressione congiunta di aspetti di crescita e di declino. Si presuppone che ogni progressione dello sviluppo mostra in ogni momento nuove capacità di adattamento così come comprende pure la perdita di capacità precedenti» .

          Man mano che la persona consacrata impara a integrare sia gli aspetti positivi che quelli negativi, potrà avanzare nel cammino di fedeltà al progetto di Dio, confrontando la propria vita reale con la sua volontà salvifica.La formazione permanente dovrà far tesoro proprio di questa inquietudine esistenziale, perché è a partire dalle tensioni e dalle crisi che l'individuo potrà effettuare delle scelte che lo orientino di fatto verso la realizzazione di novità armonizzate con gli scopi della sua vita, guardando ad un bene e ad un valore più grandi. Ogni scelta diventerà allora una nuova conquista se è integrata con gli orientamenti esistenziali della sua vocazione. Formazione permanente come compito aperto          Nella vita consacrata, ognuno è invitato a porsi non tanto come colui che interroga la vita per cercare di fare quello che può, quando può e come può. Ma piuttosto come colui che si lascia interrogare dalla vita e dalla Parola, rispondendo all'appello vocazionale che è sotteso nei diversi eventi della vita.

          Dinanzi alle diverse condizioni (dagli anni che passano, dalle crisi, dalla malattia, dal loro carattere, dalla missione, ecc.) i religiosi sono chiamati a lasciarsi interpellare dal progetto vocazionale a cui hanno aderito, che li esorta a fornire delle risposte di senso nella vicende di ogni giorno.

          Esistere, quindi, vuol dire realizzare questi compiti nella concretezza del quotidiano, volgendo al contempo la propria attenzione verso quella prospettiva unificante che dà significato al proprio lavoro e che trascende lo spazio limitato delle singole situazioni. Per un consacrato ciò significa uscire dal proprio Io, dai propri bisogni personalistici, per entrare in un'ottica di comunione con Colui che lo invita a venir fuori da se stesso e dalla propria finitudine, per sperimentare quotidianamente la profondità e la qualità del suo essere 'uomo o donna di Dio'.Il criterio di crescita allora, sarà basato sul desiderio di 'diventare diversi' in quanto chiamati - con i propri pregi e i propri difetti - a essere se stessi in un continuo lavoro di cambiamento che modella il cuore e infonde forza per ritrovare il senso unitario al proprio impegno. «Il desiderio consente di attuare l'unico tipo di trasformazione duraturo, e cioè 'cambiare nella capacità di cambiare': questo consente di riportare ordine nel disordine. Un segno di verità e autenticità del desiderio è che esso conduce a operare una radicale ristrutturazione» .

          Tale radicale ristrutturazione qualifica le scelte sulla base del proprio progetto di vita; non solo, ma coinvolge l'individuo in ogni momento dell'esistenza, poiché egli può continuamente ristrutturare la propria realtà, rifiutando qualsiasi costrizione o qualsiasi condizionamento. Egli può sempre decidere di trasformare ogni situazione che vive (anche la più difficile) in una conquista superiore che abbia senso per la sua storia vocazionale. «Ogni uomo, anche se condizionato da gravissime circostanze esterne, può in qualche modo decidere che cosa sarà di lui» . Nel processo di crescita, nelle fasi critiche, davanti ad una malattia fisica o a un disagio psicologico, la persona non deve semplicemente sottostare a un destino immutabile ma è interpellata ad autotrascendersi per procedere verso «quel 'progetto di comunione' che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio» .

          Questo perché in ogni circostanza resta pur sempre integra la sfera della propria libertà, che consente modi di agire e di trasformarsi imprevedibili e misteriosi, perché legati alla singolarità e alla trascendente ricerca di significato che apre alle novità di Dio. Questa prospettiva richiede necessariamente una formazione permanente che sia veramente parte integrale di tutta la crescita evolutiva della persona: una riscoperta permanente della propria vocazione, dove ogni momento diventa un'occasione preziosa per rispondere con coerenza alle aspirazioni più profonde della propria vocazione.

Crea Giuseppe

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