Non siamo tutti impasticcati...

Non siamo tutti impasticcati e non è vero che tutte le ragazze vogliono fare le veline forse è vero che il mondo dei media è lontano dalla realtà che pretende descrivere...

Non siamo tutti impasticcati...

da Attualità

del 07 febbraio 2006

“Ma che la smettano di dire sempre le stesse cose – infuria Roberta – È possibile che ogni volta in cui noi giovani siamo coinvolti in storie di cronaca poco piacevoli, dalle generazioni precedenti si leva un coro unanime denso di moralismi e condanne? Per loro siamo tutti fragili, disorientati, senza valori, le femminucce vogliono tutte fare le veline e i maschietti i calciatori, per noi conta solo l’apparenza, viviamo alla giornata, vogliamo tutto e subito ecc. ecc. E basta! Io non sono così, e come me tantissimi altri ragazzi che conosco”.

Roberta ha 19 anni e le idee ben chiare. Non nega che, rispetto a decenni fa, i giovani vivono in un mondo più problematico. “Sì, è più difficile – dice -, annaspiamo, cerchiamo forse maggiori sicurezze e ragioni di vita, abbiamo più paura, ma siamo ben consapevoli che questo mondo è quello che abbiamo ereditato e ci tocca viverci. Chi riesce a trovare lavoro paga la pensione di coloro che invece ci accusano di essere ingrati, maleducati, sconsiderati, irresponsabili e deboli. Guai a toccare i loro diritti acquisiti. Sembra che abbiano fatto tutto loro, che certe sofferenze che hanno provato (guerra, fame, malattie...) li autorizzino a criticare il nostro stile di vita. Ma si rendono conto delle difficoltà e delle sofferenze che oggi i giovani devono affrontare?

C’è in effetti la tendenza a guardare la realtà con le lenti deformate della propria esperienza, nonché l’incapacità a capire che i cambiamenti, di qualunque natura essi siano, esigono nuovi approcci e abiti mentali. E non è detto che questi siano inefficaci e prodotti dall’incompetenza e dalla mancanza di serietà. Chissà, forse bisognerebbe imparare a sdrammatizzare un po’, per non soffocare la creatività in troppi rigidismi...

Cristina, 35 anni, è madre di una bambina che quest’anno frequenta la prima elementare. “Solo adesso – confessa – mi sto rendendo conto di certi miei parametri di giudizio, di certi schemi rigidi di interpretazione del mondo. Faccio un esempio. Di fronte ai compiti scolastici di mia figlia Sara, inizialmente ero disorientata per la complessità di certe schede, per il metodo di studio completamente nuovo, per le troppe cose che oggi si imparano a scuola. Anch’io ho detto un giorno: ‘Ai miei tempi...’, e sono inorridita, perché diversi anni fa ero molto polemica con i miei genitori che dicevano sempre, appunto, ‘Ai miei tempi...’”.

“Un giorno - continua Cris - mia figlia ha portato a casa alcune schede di italiano e, leggendole, la mia prima reazione è stata: ‘Non riuscirà mai a farle da sola’, così l’ho aiutata. Il giorno dopo ho detto alla maestra che forse certi compiti erano un po’ troppo complessi, soprattutto per come erano strutturati. Lei mi ha detto che Sara era perfettamente in grado di farli da sola e me l’ha dimostrato. Ho capito, vergognandomi, di quanto fossi stata limitata nei miei orizzonti, piena di pregiudizi e di paraocchi”. Soprattutto, Cristina ha capito che certa miopia poteva impedire alla figlia di volare alla ricerca di soluzioni inedite e originali ai problemi che avrebbe affrontato nel corso della sua vita.

I giovani possono cambiare il mondo. In meglio. Basta guardarsi intorno, osservare il mare di gente che ogni anno nuota - senza annaspare - fino al Papa, alle cui labbra si appende per sentire parole di speranza per offrire al mondo malato le stesse parole, da cui fioriscono fatti concreti. Basta ascoltare le domande che molti giovani rivolgono in classe a professori messi in difficoltà dall’acume di certe osservazioni. Basta accorgersi dell’esercito di coloro che sono disposti a partire per mettersi al servizio di chi ha bisogno e per allargare i propri orizzonti, dimostrando di essere molto meno attaccati alle “cose” rispetto ai loro genitori.

“Non è giusto che si parli di noi quasi esclusivamente quando ci suicidiamo, ci droghiamo, uccidiamo o entriamo in sette sataniche – dice Marco, 24 anni – Ci fanno apparire come zombi, ragazzi narcotizzati e incapaci di affrontare i problemi, che preferiscono stordirsi e divertirsi piuttosto che realizzare un progetto di vita. Non siamo tutti così. A volte mi chiedo se i responsabili di questo disagio non siano gli stessi ‘adulti’ che, anziché incoraggiarci ad agire e a vivere, ci sfiduciano continuamente facendoci sentire degli imbecilli. Ci propongono i loro modelli di vita, alimentano insicurezze che nascono dalla sensazione che se non ci comportiamo come loro non otterremo nulla”. Ottenere che cosa?

I rapporti tra genitori e figli sono sempre stati più o meno complicati. “I miei non fanno altro che starmi addosso – racconta Giuliana, 17 anni – Vorrebbero sapere tutto di me, con chi esco, cosa faccio nel tempo libero. Sento addosso il loro alito carico di ansia, di paura, di apprensione. Temono che possa infilarmi in qualche brutto giro, che mi impasticchi, che abbia una vita sessuale disinvolta e sia a rischio Aids. Vogliono fare gli amici, avere le mie confidenze. Ma io non andrò mai a raccontare loro i fatti miei, personali, perché so che non capirebbero, non mi sarebbero di aiuto, perché sono fatti a modo loro e spesso li sento criticare noi giovani perché siamo troppo liberi, facciamo quello che ci pare, non pensiamo al futuro”.

Come sarebbero contenti i genitori di Giuliana se sapessero che la loro figlia non beve, non fuma, non si droga, conduce ancora una vita casta, è impegnata in un’associazione di volontariato e, a differenza di loro, va a Messa tutte le domeniche e ama Gesù di un amore che non le è stato trasmesso a casa ma da alcuni suoi amici. Ecco, tutte queste cose i suoi non le conoscono. Lei non dice nulla, perché “loro – conclude Giuliana - vogliono sapere quello che faccio ma non chi sono”.

Patrizia Spagnolo

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