Oskar ha 11 anni. È trascorso un anno dal giorno in cui suo padre è morto nell'attentato alle Torri Gemelle. Da quel momento nella sua vita c'è solo una missione: trovare il senso di quello che è accaduto. E della propria vita
del 03 luglio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          «No stop looking», non smettere di cercare. Cosa può lasciarti di più un padre in eredità? E Oskar Schell di cercare non vuole smettere per nulla al mondo, in spe contra spem, per trovare la ragione di quel che è accaduto. È quasi trascorso un anno dal “giorno più brutto”, il giorno in cui “un uomo che non ti conosce si schianta contro un grattacielo per ucciderti”, l’11 settembre 2001. Il papà di Oskar, che ora ha 11 anni, era dentro una delle Torri Gemelle. «Dicono che se il sole esplodesse, per otto minuti non ce ne accorgeremmo. Continueremmo a vedere la sua luce e sentire il suo calore». Ecco, si dice Oskar, io devo fare in modo che quegli otto minuti con mio padre non finiscano mai. Il suo modo per esorcizzare il dolore è congelarlo, e costruirci sopra una strategia per dargli senso. “Non smettere di cercare”, gli insegnava suo padre. Così, quando nell’armadio Oskar trova una chiave con un nome, Black, si convince che quella è la missione segreta che il padre gli ha lasciato: trovare la porta che quella chiave apre. E decide di incontrare tutti i 472 Black di New York per provare le loro serrature. Pianifica tutto, come uno scienziato un po’ matto: nomi, percorsi, mesi, anni.          Molto forte, incredibilmente vicino è un film poetico e struggente, si snoda più come una fiaba che come un racconto realistico. È tratto dal romanzo omonimo di Jonathan Safran Foer, giovane scrittore americano divenuto famoso con Ogni cosa è illuminata, in cui racconta un viaggio dall’America in Ucraina alla ricerca della sua famiglia sterminata dalla Shoah. Nel 2005 è stato tra i primi ad avere il coraggio di elaborare in forma letteraria la tragedia delle Twin Towers. E in fondo lo schema delle storie ebraiche, una ricerca continua che diventa memoria attraverso la memoria di altre storie, è filo conduttore anche qui. Stephen Daldry, già regista di Billy Elliot, storia di un ragazzo figlio delle miniere ma con la danza nei piedi e nel cuore che non “smette di cercare” il suo sogno, non tradisce lo spirito del libro.          Un film sull’11 settembre, dunque? Sì, ma anche no. Lo è nel riverbero di quella tragedia nelle storie personali, nelle ferite di una New York bellissima e invernale, come non vediamo spesso al cinema. Ma in fondo anche no. Parla di un dolore assoluto, della ricerca di se stessi che è la ricerca di un padre. Oskar è un ragazzo particolare, lo scopriamo afflitto dalla Sindrome di Asperger, un disturbo simile all’autismo che misteriosamente sembra acuire, insieme alle paure, intelligenza e sensibilità. Anche suo padre, diciamolo, era un bel nevrotico, stravagante e poetico – la parte cui Tom Hanks è ormai abbonato – che cerca di curare le paure del figlio inventando per lui sfide complicate e affidandogli missioni impossibili, come ritrovare il “sesto distretto perduto” di New York sotto Central Park. Ma la malattia di Oskar, e le nevrosi e le fobie dei tanti personaggi smarriti che incontriamo, sono il simbolo poetico di qualcosa di più profondo: l’urgenza umana di cercare il senso della propria vita. Anche se la risposta viene “in teoria” negata.           Una dei Black che Oskar incontra prega per lui perché Dio compia il miracolo di fargli trovare quel che cerca. «Io non credo ai miracoli», risponde lui. Del resto nemmeno il padre gli aveva mai promesso che avrebbe trovato qualcosa. E anche il vecchio “Inquilino” misterioso e muto che lo accompagna per la città - uno strepitoso Max von Sydow traboccante di umanità - gli risponde con un gesto: «No». Non c’è miracolo, se non nella scoperta che le paure si possono guarire, e che le storie degli altri partecipano a una corale memoria che dà il senso al vivere. Una morale che affonda le radici nell’ebraismo. Safran Foer si definisce ateo, ma di sé dice: «Scrivo da ebreo. Sono più che altro i miei romanzi a essere ebraici». Nelle ultime immagini del film, la mamma sfoglia un incredibile libro pop-up in cui Oskar ha raccolto la sua avventura. Alla fine c’è un “flip” con il disegno di un uomo che cade dalla torre colpita dai terroristi. Ma muovendo il giochino all’incontrario, con capriola eccolo risalire al sicuro. Vivo.Molto forte, incredibilmente vicino Dal romanzo di Jonathan Safran Foer Sceneggiatura di Thomas Roth Regia di Stephen Daldry Con Tom Hanks, Sandra Bullock, Thomas Horn, Max von Sydow
Maurizio Crippa
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