La sfida educativa interpella insegnanti e genitori. Intervista al ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni che propone un patto con le famiglie.
del 29 maggio 2007
Caro direttore, insegno in una scuola dove per ora non ci sono maestre che tagliano la lingua ai ragazzi, né genitori che picchiano presidi. E anche se un po' di bullismo c'è, non è ai livelli di cui parlano i giornali.
Così all'inizio ho pensato che quella sbattuta in prima pagina non fosse la scuola. Invece le cose non stanno così. . La violenza è solo la punta di un iceberg: ciò che si fa in classe non interessa la vita, questo è il problema della scuola.
Chiediamoci tutti come affrontiamo la domanda di senso degli studenti, e poi vediamo se veramente siamo da promuovere. La questione è a tutto campo, perché in gioco non c'è solo la convivenza democratica dentro le scuole, ma la felicità di chi ogni giorno entra in classe.
 
Così un insegnante del liceo scientifico di Abbiategrasso, in una lettera articolata pubblicata su Avvenire, esprimeva qualche tempo fa il suo travaglio di docente alle prese con la sfida quotidiana di rendere interessante per gli studenti le ore trascorse in aula.
Si è imposta l'etica della televisione, la politica del successo e del denaro, sostiene Paola Mastrocola, scrittrice e insegnante di scuola superiore. Non è stata la scuola a proporre questo indirizzo - continua - ma si è adeguata, perché né scuola, né famiglia si sono posti più il problema morale dell'educazione dei ragazzi e del rispetto delle regole. La scuola in questi anni ha apprezzato l'estroversione, la furbizia, quella del ragazzino che copia e salta le interrogazioni, ma è sveglio e non viene mai punito. Non ce la facciamo a remare contro il mondo che è andato da tutt'altra parte, nonostante tutte le buone intenzioni.
C'è bisogno di porre dei correttivi - interviene Eraldo Affinati, anch'egli scrittore e docente -, soprattutto nell'uso indiscriminato di Internet dove c'è una massa di informazioni che può essere diseducativa.
Per navigare bisogna saper nuotare, altrimenti si affonda.
Non tutta la scuola però va male.
Io che giro l'Italia ho trovato una scuola che lavora bene, una scuola molto migliore di quella che descrivono, ma che non viene messa sotto le luci dei riflettori.
La buona scuola potrebbe essere ad esempio quella che a Voghera, già da dieci anni, propone un modello di intervento che si è rivelato molto efficace: stage residenziali di tre giorni dove studenti e insegnanti vivono costantemente a contatto e partecipano con educatori e psicologi a laboratori e attività ricreative. Una vita di gruppo che fa emergere le dinamiche interne, le personalità di ognuno, le eventuali tensioni. Ne è risultato un vero e proprio progetto dapprima regionale, divenuto da qualche mese nazionale: il Lara (laboratorio per le aggregazioni e le relazioni tra adolescenti) che si avvale della collaborazione scientifica della facoltà di Scienze della Formazione dell'università di Bologna.
La buona scuola è anche l'istituto comprensivo Antonio Ugo, nello storico e degradato quartiere della Zisa a Palermo, 700 alunni e 80 insegnanti. Qui è preside, Pia Blindano, che, lungi dall'essere intimorita dalle difficoltà dell'ambiente, è riuscita a mettere in piedi un progetto educativo capace di tirar fuori il meglio dei ragazzi e di ridurre a zero la dispersione scolastica.
Gli studenti hanno messo su delle cooperative che pensano alla distribuzione di merendine e bevande durante l'intervallo, prestito e scambio di giochi, riciclaggio di materiali per finanziare la beneficenza.
È una scuola dove non si boccia nessuno e per questo sono molto criticata - spiega la preside -. Ma la mia politica educativa è un'altra: non è meglio aiutare uno ad uno gli studenti più difficili? Mi sono resa conto che investendo risorse e tempo su questi ragazzi, i risultati si ottengono. Per questo abbiamo creato la scuola parallela: i ragazzi più grandi, con grosse difficoltà, vengono seguiti a parte, in alcune ore, da insegnati motivati e preparati, approfittando delle ore a disposizione. Così dimostriamo che l'insegnante è per loro e con loro.
Sì, forse una scuola con gli studenti e per gli studenti, una scuola capace di relazioni umane, di rapporto col territorio, con le famiglie.
Insomma una scuola che non finisca dentro le mura dell'edificio che ospitano le aule. Questa è la scuola che da tante parti c'è, da altre si vorrebbe. E in molti ci stanno lavorando.
 
 
Un progetto educativo condiviso
 
A colloquio col ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni che sta mettendo in campo numerose iniziative per una scuola che trasmetta valori e principi, non solo conoscenze.
 
Ministro, quella del bullismo a scuola è da molti considerata un' emergenza sociale. Quali sono, secondo lei, gli aspetti più preoccupanti della questione?
 
Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza educativa che è anche un'emergenza della convivenza civile. La scuola è uno spaccato della società in cui viviamo e tanti problemi dei ragazzi hanno le loro radici al di fuori delle aule.
Dobbiamo superare questa emergenza con un nuovo patto tra famiglia e scuola, chiamate a condividere uno stesso modello educativo.
Un professore che vede 100, 150 alunni per sedici ore a settimana, non può e non deve sostituire il ruolo del papà e della mamma, della famiglia. Di contro tra gli 800 mila docenti ci sono, purtroppo, anche pochi che finiscono per compromettere il lavoro di chi la scuola la vive con serietà e professionalità.
Si tratta di una proporzione infinitesimale che però va rimossa nell'interesse di tutti.
 
Lei ha parlato di una troppo diffusa cultura della tolleranza per la quale tutto (o quasi) è permesso. La scuola ha meno strumenti di prima per intervenire sul piano educativo?
 
La scuola ha a sua disposizione gli strumenti per intervenire efficacemente.
È necessario alzare la guardia della vigilanza democratica perché non è possibile, in presenza di episodi di violenza, girarsi dall'altra parte: bisogna sostituire alla logica del non mi interessa la logica del mi riguarda. Se un ragazzo diversamente abile subisce prepotenze per tre anni in una classe di 20 alunni in cui passano anche molti docenti, è evidente che il problema è anche quello della soglia di tolleranza che si è alzata al punto tale da diventare assuefazione. Non vedere, non sentire, non denunciare certi episodi di violenza che avvengono nella scuola, è un fatto grave come la violenza stessa.
 
Come considera il coinvolgimento dei genitori in ambito scolastico? Vi è una collaborazione sufficiente oppure bisogna trovare altri momenti ed altri metodi di partecipazione? Quanto è necessario fare rete?
 
Il coinvolgimento dei genitori è fondamentale. Tutto il sistema scolastico ha un unico centro: lo studente come persona. Insegnare a leggere, scrivere e far di conto non è sufficiente, le competenze da sole non bastano. Ci vuole un progetto educativo complessivo e condiviso.
Il difficile compito che spetta alle nostre scuole è anche quello di trasmettere valori e principi e stiamo lavorando attivamente con il Forum nazionale delle associazioni dei genitori per avviare strategie comuni di azioni da realizzare nelle scuole. Penso a una partecipazione diretta delle famiglie, attraverso la Rete, per avere, con raccordi provinciali e regionali, consigli e indicazioni dai genitori.
Ho inoltre proposto che ciascuna scuola possa richiedere alle famiglie di sottoscrivere, all'inizio dell'anno scolastico, un patto sociale di corresponsabilità verso i propri figli.
 
Cosa chiede e cosa propone agli studenti?
 
Fin dall'inizio del mio mandato ho elaborato dei provvedimenti che sottolineano l'importanza della partecipazione degli studenti alla vita della scuola e al rispetto della legalità. Sono questi, credo, i due binari che possono far maturare gli studenti e farli diventare cittadini attivi e consapevoli.
Chiedo assunzione di responsabilità e chiedo serietà: offro altrettanto.
In questo senso va interpretata anche la riforma dell'esame di stato: è interesse di chi va a scuola riuscire ad avere un diploma che sia frutto di un esame serio, di una scuola seria e autorevole, che dia agli studenti la consapevolezza di aver fatto una cosa molto importante per la propria vita.
 
Quali elementi ritiene sia necessario inserire nel Piano dell'offerta formativa perché la scuola possa svolgere appieno la sua funzione educativa?
 
Nel piano dell'offerta formativa deve essere rafforzata la possibilità di approfondire materie che non trovano sufficiente spazio nelle attività curricolari. Penso all'educazione sportiva, all'educazione artistica in tutte le sue manifestazioni - teatro, pittura, musica - ma anche all'educazione scientifica e a tutte le potenzialità di sviluppo date dalle nuove tecnologie.
Sarà possibile realizzare questi propositi facendo leva sull'autonomia dei singoli istituti e sulla loro capacità di raccordarsi con il territorio.
 
Veniamo alla campagna Smonta il bullo. Crede che funzionerà? Ha visto una sufficiente adesione?
 
La strada intrapresa è stata quella della massima condivisione e del più ampio ascolto di tutti i soggetti coinvolti. Per contribuire alla stesura del piano nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo si è mobilitato tutto il mondo della scuola e sono arrivate al Ministero ben 521 proposte: messe l'una sull'altra raggiungono un'altezza di 4 metri. Hanno mandato contributi istituzioni scolastiche, dirigenti, docenti, rappresentanti dei genitori e degli studenti, uffici scolastici provinciali e regionali, enti locali, Asl e associazioni del terzo settore. Grande è stata anche la partecipazione degli studenti che hanno mandato 60 ipotesi di logo e 78 manifesti per la campagna di sensibilizzazione, di cui 30 sono arrivati dallo Steiner di Torino.
Tanta partecipazione testimonia quanto il progetto sia sentito e quanto la scuola sia in grado di trovare dentro di sé le risorse e le spinte necessarie per rispondere anche a questo fenomeno. La scuola è viva e sana, è piena di potenzialità e di prospettive, e lo dimostra ogni giorno.
 
Fonte: Città Nuova, aprile 2007
Aurora Nicosia
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