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Notte della Cultura Europea da Giovani per i Giovani

Solo se riesce a porsi davanti alla cultura contemporanea, vedendo in essa la figura di Giobbe, la cui fede mai venne meno, pure nei dubbi e nei tormenti, la cultura cristiana riuscirà, ascoltandone il lamento, a trovare una risposta all'agonia nella quale la cultura sembra caduta.


Notte della Cultura Europea da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 28 luglio 2008

agonia della terra del tramonto?

 

Solo se riesce a porsi davanti alla cultura contemporanea, vedendo in essa la figura di Giobbe, la cui fede mai venne meno, pure nei dubbi e nei tormenti, la cultura cristiana riuscirà, ascoltandone il lamento, a trovare una risposta al l'agonia nella quale la cultura sembra caduta, perché ogni Notte - individuale e collettiva - si risolva in luce, in Amore. In queste intense pagine, Giuseppe Maria Zanghì mostra come solo il modello trinitario, vissuto nella vita di ogni giorno e quindi in ogni esperienza culturale, sia I. chiave di questa nuova stagione della cultura: «Occorre che questa vita ci conquisti completamente. Conquisti completamente le nostre intelligenze, facendoci comprendere (...) quel Discorso vivo che dobbiamo essere: il Discorso del Dio vivo, della Trinità. L'unico (...) che può mostrare in tutta verità il Dio di Gesù Cristo, il Dio-Trinità».

 

(proponiamo in queste pagine i capitoli centrali del libro G. M. Zanghì,

 Notte delle cultura europea. Agonia della terra del tramonto, Città Nuova, Roma 2007, 39-72).

 

 

1. Ci siamo chiesti all'inizio: perché questo esito di una cultura che si è intimamente incontrata con l'annuncio evangelico? E si è costruita intorno ad esso come nuova creazione?

Non vogliamo dire, sia ben chiaro, che l'ateismo e il nichilismo (e tanto meno il Sacro post-nichilista) siano frutto della cultura cristiana come tale, o siano essi stessi la cultura cristiana tutta in crisi. Una cultura cristiana autentica rimane, non confusa in alcun modo con i fondamenti teoretici dell'ateismo e del nichilismo - una cultura cristiana che custodisce e purifica e conserva, come Arca, il vero il bene il bello maturati in tutte le culture.

Vogliamo dire, però, che quanto accade nell'Europa non può non toccarla, è un 'negativo' che ha in essa alcune delle sue radici, e che essa sola allora può sanare, riconducendolo alla chiarezza: a condizione che sappia rispondere alla chiamata che Dio, oggi, le rivolge proprio in questa crisi che nasconde la speranza di un 'nuovo' che vi matura dolorosamente, e grande quanto è grande la crisi.

Una risposta che sappia scoprire le radici di quel negativo anche in risposte non sufficienti - e teoretiche ed esistenziali - date nel passato al Dio di Ges√π Cristo.

Il negativo di oggi vorrei pensarlo anche come sofferenza, piaga intima della cultura cristiana nel suo denso cammino umano di incarnazione.

Se vogliamo sanare questa piaga, occorre che il mistero cristiano sia penetrato ancora più profondamente dall'intelligenza e dalla vita dell'uomo, e le penetri. E ciò può essere sperato se tutto è ricondotto al mistero della Croce, soprattutto in quel SUO vertice che è l'abbandono del Cristo, in cui il Dio che egli rivela è tutto 'aperto'.

Il mistero cristiano, lo abbiamo detto, è la Theanthropia, la Persona del Cristo Dio-uomo. E dire la Persona del Cristo è dire la Trinità. È qui, a mio avviso, il nodo del problema. Il cristianesimo annuncia all'uomo un Assoluto mai prima pensato: un Uno che è Tre!

La teologia cristiana ha accolto il mistero, è evidente, si è costruita attorno ad esso: ma quanto se ne è fatta penetrare? Quanto se ne è fatta informare? Riuscendo così a trasformare a fondo il pensiero stesso dell'uomo?

Questa domanda è suggerita, fra l'altro, dalla constatazione di una separazione che a un certo punto incontriamo nella teologia stessa: la teologia come sapere di Dio in cui la saggezza dell'uomo si apre intimamente alla Rivelazione accogliendola, si separa dalla teologia come mistica, come esperienza trinitaria di Dio. Il teologo accademico, soprattutto nell'Europa dell'Occidente, non ha più generalmente nel grande spirituale, nel mistico, un punto di riferimento essenziale per la sua teologia. La quale è sempre meno penetrata dallo Spirito Santo che, a sua volta, rimane ai margini della stessa riflessione teologica dell'Occidente europeo. Il fatto che negli ultimi tempi si avverta l'urgenza di 'riscoprire' in teologia lo Spirito Santo, e si riconosca di averlo di fatto emarginato nella riflessione di fede, è confessione di quanto abbiamo detto.

Così, oggi si è sempre più coscienti che il mistero del Padre è al cuore del cristianesimo: l'analisi della relazione dell'uomo con il Padre nel Cristo conduce al focolaio unificatore del messaggio di Gesù - e d'altra parte rivela, come è stato fatto notare, il focolaio di tutte le rivolte: marxiana, nicciana, freudiana (senza dimenticare la prima, dell'Eden!). Rivolte contro il Padre, e qualunque paternità. Ma chi è il Padre, ancora oggi, mi chiedo, per tanta teologia?

La riscoperta dello Spirito e del Padre (mi sia consentito di parlare così) apre il mistero del Cristo a una maggiore comprensione da parte nostra. In particolare, si comincia a vedere, proprio nella croce e nel grido dell'abbandono, non solo il compimento dell'opera della salvezza, ma anche la tutta aperta rivelazione della vita dei Tre, Padre Figlio Spirito Santo, nel loro mistero di unità e distinzione.

 

2. La Trinità era, accademicamente, uno dei trattati (e non il più ampio) della teologia dogmatica. Ma non è tutta la teologia, si comincia a dire, che deve essere trinitaria? E non possiamo cogliere qui l'origine nascosta di crisi del pensiero e delle forme di vita, che poi hanno deviato nella rivolta? E noi oggi ne assaporiamo i frutti amari?

Torniamo per un momento al medioevo, l'epoca, come diceva Jacques Maritain, che ha conosciuto, nell'Occidente europeo, una grande unificazione degli ambiti del sapere. Ma lo stesso Maritain osservava che «la saggezza faceva pesare in quel tempo, in un modo piuttosto eccessivo, il suo giogo reale sulla scienza; essa amava la scienza (...) ma la costringeva a lavorare sotto il predominio della filosofia (...)» (J. Maritain, Scienza e saggezza, Torino 1964, p.73). Per esistere (spinte all'essere proprio dalla restituzione cristiana del mondo a se stesso, liberato da «Principati e Potestà» [Col 2, 15], e aperto così a Dio non più nel mito, ma nella storia), le scienze 'dovettero' rivoltarsi contro la saggezza. E non tutti gli uomini di scienza seppero avere la cristiana capacità di soffrire di Galilei...

E anche la filosofia era costretta a lavorare sotto il predominio della teologia. Così, la metafisica, che avrebbe dovuto unificare il sapere umano conducendolo alle soglie della sapienza rivelata di Dio, si è rivoltata contro la teologia: ma separatasi al suo vertice da questa si è trovata ridotta ad astrazione. E la teologia si è trovata così con una metafisica ridotta a cadavere. Il sapere scientifico, a sua volta, si è tagliato fuori da quella tensione all'Assoluto in cui non può non sfociare qualsiasi ricerca umana autentica.

 

3. Perché tutto questo, torniamo a domandarci?

Non possiamo pensare - è quanto stiamo suggerendo - che ciò sia stato causato dal fatto che la saggezza teologica (per riprendere il linguaggio di Maritain) non aveva accolto del tutto, certo non intenzionalmente, il Dio di Gesù Cristo? la Trinità? Quel suo 'imperialismo' non nasceva dal fatto che essa intendeva la conduzione all'Uno dei vari ambiti del sapere - e del sapere umano a quello rivelato - in un modo non ancora del tutto cristiano? Conduzione, cioè, ad un Uno ancora neoplatonico, non compiutamente capito come Trinità, come rivelazione, nell'Uno stesso, di un'ineffabile pluralità ?

E ciò si avverte più che nella teologia, che è stata abbastanza esperta di Trinità, nella filosofia che essa elaborava come suo strumento; veniva sì centrata, la filosofia, con straordinaria intelligenza, sull'atto d'essere come epifania dell'Atto puro d'Essere che è Dio: ma questo atto d'essere non giungeva all'essere-amore come Dio è Essere-Amore. Non giungeva, la filosofia, ad un'ontologia trinitaria di spiegata, richiesta da un essere che è amore.

Di fatto, solo la croce può condurre a ciò. Ma la croce capita nel cuore della Trinità e come il vertice dell'uomo nel suo stesso pensare: la croce come evento culturale.

Infatti, superando tutte le speculazioni e comprensioni dell'Uno, quell'Atto puro d'Essere che è Dio si rivela sulla croce Amore proprio quando muore per noi facendo sua la nostra negatività. E questo Atto-Amore ci apre a pensare, proprio nella croce, che Egli può compiere questo 'morire per amore' perché nel suo profondo custodisce un suo 'NonEssere' che però - e questo è mistero! - anziché negarlo lo dice sommamente. Un Non-Essere non 'assoluto' (sarebbe una contraddizione 'assoluta'!) ma relativo; il Padre è l'unico Dio, il Figlio è l'unico Dio, lo Spirito Santo è l'unico Dio - ciascuno dei Tre è l'Uno: eppure, per pensarli Tre, dobbiamo dire - come già intuiva Agostino - che il Padre realmente non è il Figlio, realmente non è lo Spirito Santo...  In un'attualità che non dice dunque staticità, ma un assoluto pulsare d'Amore, di Dono donato e di Dono restituito nella eterna novità di una vita che è tutta e solo Amore. Che cosa accade, se il pensiero dell'uomo scopre nel cuore dell'essere quel non-essere che rivela l'essere come amore? È notte, all'inizio. Ma amabile come la luce, e aprentesi in offerta come teofania del Divino nel suo più profondo Essere.

A condizione che l'uomo si lasci condurre in questa 'notte' dal Cristo crocifisso: dalla sua vita e dal pensiero che ne irradia, con sue categorie assolutamente originali. E la risposta, pensiamo, che la teologia cristiana oggi - e quindi la cultura cristiana - è chiamata a dare. Essa, di fatto, lo ripetiamo, non ha saputo far penetrare nel pensiero-dell'essere la rivelazione dell'Essere che è Trinità, perché essa stessa lo pensava ancora in un modo non sufficiente.

E nel momento in cui il pensare filosofico in rivolta si separò dalla teologia, portò con sé un essere, come 'oggetto' della metafisica, spogliato di realtà: non era più l'essere dei Greci, soprattutto quello aurorale e intenso dei così detti presocratici; né tanto meno 1’ “essere” ormai rivelato da Gesù. La metafisica in rivolta non portò con sé 1’'essere' come atto puro, intuito da grandi maestri medievali, perché non lo aveva seguito fin sulla croce, dove 'perdendosi' si ritrova amore nella pienezza e novità di Dio. Da qui il graduale rigetto proprio dell'essere, ridotto ad astrazione, dall'ambito del pensiero filosofico; da qui il cammino nascosto del nichilismo.

 

4. Tanto pensiero moderno si è fatto difensore dell'uomo nei confronti di Dio. Ma se Dio è Trinità, Essere-che-è-Amore, che senso ha la difesa da Lui? In quel triplice non dei Tre fra loro, non è data proprio la possibilità, che la libertà di Dio rende attuale, del nostro essere di creature che siamo-non-essendo Dio?

Sapendo che questo non non significa insufficienza o negatività, bensì affermazione d'amore-dono! Possiamo realmente essere non-essendo Dio, l'Essere, perché in Dio stesso ciascuno dei Tre è non-essendo l'Apro! E questo Non-Essere non indica nei Tre privazione, ma Amore, Comunione divina. Per questo, la creazione non è un venir meno della pienezza dell'Assoluto in un'emanazione in cui esso, se così si può dire, si estenua, ma l'espressione proprio della comunione divina che liberamente (per amore) si partecipa. Non è il 'contrarsi' dell'Essere per dare spazio all'altro-da-sé, ma 1'“espandersi” (kenotico) dell'Essere come Amore illimitato (l'Essere che si fa per amore non-essere) in quell'essere creaturale che è abitato dalla vocazione all'infinito proprio per la presenza kenotica in esso dell'Amore infinito, e in cui può nel suo modo 'espandersi' in ritorno nella kenosi-amore del suo essere finito.

In Gesù, in maniera particolare. nel momento dell'abbandono, il nostro non-essere, assunto da lui e liberato dal peccato, ridíventa quello che è nell'intenzione di Dio: immagine creata della vita della Trinità. E 1'intersoggettività costitutiva dell'umanità, sulla quale si innesta in maniera aurorale la partecipazione alla stessa vita trinitaria di Dio. È l'essere umano che 'appare' nella comunione delle Persone divine. E la promessa di una rinnovata grande cultura, che sia il 'dilagare' di Dio nel mondo in risposta al suo essersi donato all'estremo, all'essersi fatto non-cultura perché non più uomo, nell'abbandono del Cristo.

 

5. Sul piano della vita sociale, sempre nell'ambito del medioevo occidentale, era stato costruito un possente edificio sociopolitico raccolto nella Cristianità, sintesi di Chiesa e di Impero.

La lotta per l'unità condotta dai due - Impero e Chiesa - come tentata egemonia reciproca, può essere vista come il riflesso di una unità teologicamente ancora troppo poco penetrata di Trinità. L'unità dei Tre, infatti, non è subordinazione di uno all'altro o egemonia di uno sull'altro, ma essere ciascuno l'Uno e l'Uno nell'Altro.

Così, il medioevo occidentale conobbe il maturare delle libertà civili, sotto la spinta dell'Evangelo che opera nell'uomo più profondamente di quanto l'uomo stesso ne abbia consapevolezza; ma presto quelle libertà nascenti, nella crisi del rapporto Chiesa-Impero, furono inghiottite da entità sociopolitiche 'minori' rispetto all'Impero (parlo degli Stati nazionali), costruite intorno ad un'unità intesa come egemonia: egemonia di un potere su un altro, di una classe su un'altra, di una nazione su un'altra.

 

6. In sintesi, direi che il sapere teoretico e pratico costruito dalla cultura cristiana e dell'Occidente e dell'Oriente europei, pur con immensi guadagni di luce e di vita, non è ancora approdato a una cultura tale che rispecchi la Trinità proprio al suo livello. Le separazioni fra le Chiese cristiane ne sono, mi sembra, l'esempio più appariscente.

Da tutto questo è derivata la frantumazione interna del sapere, con l'isolamento della teologia come sapere 'fideistico'; il tramonto della metafisica in quanto ridotta a sapere di un essere 'svuotato' della sua realtà (Dio Trinità, l'uomo e il cosmo nel Cristo); lo svilupparsi egemone del sapere scientifico nei vari ambiti, ma anche questi in fuga tra loro e senza che riescano ad attingere, trascendendosi nella reciprocità, le profondità dell'uomo.

Da qui l'emarginazione progressiva della Chiesa vista come realtà solo di fede. Da qui il rischio della Chiesa di ricercare la perduta cristianità non in avanti, nello Spirito che fa nuove tutte le cose scompigliando di continuo gli orizzonti conosciuti (come scriveva Paolo VI), ma indietro, in una presenza di sé nel sociale non nel grande realismo della profezia, ma nel piccolo realismo della politica. Da qui il tramonto dell'idea di un'unità politica universale.

Da qui lo sviluppo nell'Europa degli Stati nazionali in situazione di conflittualità reciproca e alla ricerca continuamente frustrata di un ordine che non sia egemonia di uno sugli altri - ordine d'altra parte necessario per la sopravvivenza dell'uomo.

 

7. Lo ripeto: non voglio ridurre a quest'unica chiave di interpretazione la comprensione del fenomeno complesso che stiamo analizzando. Ma la proposta che qui avanzo mi sembra abbia una sua verità.

In effetti, il pensiero contemporaneo non si è rivoltato originariamente contro un Dio in generale, se così posso dire, ma contro il Dio di Gesù Cristo non capito a fondo nella sua dimensione trinitaria .

È da qui che nasce la caratteristica specifica dell'ateismo dell'Europa rispetto agli ateismi presenti nelle culture non cristiane: il rapporto dell'uomo con la rivelazione della Trinità!

La Trinità, rivelazione dell'Assoluto inaudita per qualsiasi fede religiosa non cristiana e per qualsiasi pensiero che si muova solo all'interno di sé, combatte oggi con l'uomo europeo come l'angelo con Giacobbe, per farsi accogliere da lui per accoglierlo in Sé. E la Trinità che preme sul pensiero, sui rapporti interpersonali, per informarli di Sé. Ed è nell'accettazione di questa 'forma' che si potrà svuotare della sua terribile pericolosità il Sacro anonimo che oggi si presenta.

Se riusciamo a non separare in Giobbe la fede, che mai gli venne meno pure nel dubbio tormentoso, dal lamento che a tratti raggiunse momenti di rivolta, potremmo vedere nella più nobile cultura 'laica' dell'Europa il lamento di Giobbe nella sua crudezza e nella sua rivolta, ma sempre visitata da una nascosta religiosità; e nella cultura cristiana d'oggi più attenta e aperta, la ricerca di una fede calata nel tempo, che ascoltando come suo quel lamento, cerca una risposta da offrire: risposta tale che, senza cadere nell'errore degli amici di Giobbe, possa far dire all'uomo sofferente: «Il mio orecchio aveva udito di te, ma ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42, 5).

 

 

 

-Giuseppe Maria Zanghì è direttore della rivista culturale «Nuova Umanità» e autore, per Città Nuova, di Dio che è Amore. Trinità e vi fa in Cristo (1991, 20043).

Il libro da cui è tratto il contributo appartiene ad una nuova collana, Universitas, che, richiamandosi al significato originari dell'istituzione universitaria nata nel contesto della cultura cristiana del Medioevo, intende suggerire la vocazione all'unità - intellettuali e pratica - inscritta nell'esercizio, insieme autonomo e convergente e dei diversi saperi.

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