Obbedire all'amore

Amare non è questione di voglia, ma di verità. Non si dice al proprio amato: «Oggi ho voglia di amarti». La verità dell'amore, della nostra vocazione, la verità di ciò per cui siamo fatti viene prima di ogni nostra semplice voglia...

Obbedire all'amore

da Teologo Borèl

del 28 gennaio 2007

C’è un viaggio che ho sempre sognato di fare, un viaggio che, come un sogno nel cassetto, cova nella mia vita. Ma non trovo agenzie che vendano biglietti per il mio tour. E allora, fermo come in una sala d’attesa nella speranza che prima o poi mi chiamino per la partenza, mi affido all’immaginazione.

Vorrei comprare un biglietto per visitare il mio cuore. Logicamente il biglietto è di andata e ritorno: non è detto che decida di rimanerci.

Parto e poco dopo mi rendo conto che non serve andare in una agenzia di viaggi e neanche nel reparto di cardiologia dell’ospedale più vicino. Basta fermarsi un attimo e avere il coraggio di guardarsi fissando con intensità e a lungo, senza l’orologio in mano, i propri occhi dinanzi ad uno specchio. Dopo un po’ le domande si impongono. Cosa c’è nel mio cuore? Cosa o chi vi abita? O meglio: chi o che cosa vorrei che ci fosse e chi o che cosa vorrei invece sbattere fuori? I miei occhi mi fanno vedere lontano, oltre i confini anche se non sono sempre limpidi… Forse perché quello che vedo mi fa scendere qualche lacrima che offusca la vista.

Gioie, paure, attese, nostalgie, delusioni, desideri, speranze, ricordi, volti, dolori… si intrecciano, si incontrano e si scontrano tra le pieghe e le piaghe nel mio cuore rendendolo, molte volte, una terra difficile da vivere, una terra da cui vorrei fuggire nella illusione che un esodo perenne sia la soluzione. Ricordo di aver letto su un testo di San Francesco di Sales: «Mi sembra che la terra del nostro cuore abbia ricevuto l'ordine di far germogliare le erbe delle virtù, che portino i frutti delle opere sante, ognuna secondo la sua specie» [Œuvres, t. V (Annecy, 1894), p. 82: Traité de l'amour de Dieu. lib. VIII, chap. 8].

 Che strano… il mio cuore ha “ricevuto un ordine”. Questo significa che il mio cuore deve obbedire e che non è vero che “Al cuore non si comanda”. Ma a chi deve obbedire? A che cosa? E perché? Se il mio cuore ha ricevuto un ordine significa che c’è una legge, un comandamento e qualcuno che deve ossequiare. In effetti è stato detto: «Vi do un comandamento nuovo…».

Sì, attraverso i miei occhi vedo che il mio cuore ha ricevuto un ordine, o meglio, vedo che ha un suo destino, ha una sua mission, ha una sua meta da raggiungere. L’ordine che ha ricevuto è quello di vivere d’amore, di carità: è un ordine perché è per questo che è stato fatto. Sta a me obbedire o disertare. L’obbedienza a questo comando permette al mio cuore di essere ciò che deve essere. Non per niente San Paolo dice: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!». É per la carità che il mio cuore è fatto.

I miei occhi, che grondano lacrime per le tante occasioni perse, sono come un oblò di un sottomarino da cui vedo chiaramente che l’impalcatura del mio cuore è l’obbedienza all’amore.

Voglio allora cercarvi con forza i germi di carità che vi sono stati messi prima ancora che uscissi alla luce. Forse sono nascosti dalle mie paure o dalle mie invidie, forse soccombono al mio desiderio di apparire e di fare del mio io l’ombelico del mondo… Sto viaggiando nel mio cuore con la bussola in mano cercando in tutti i suoi anfratti e avvallamenti, tra le sue strade scoscese quella sua soffocata voglia di vivere di carità, quella sua voglia di gridare al mondo che è fatto per amare. Sono tracce di Dio. Non posso lasciare che soccomba, che ceda alla tentazione del compromesso che apparentemente non fa male a nessuno ma che in realtà è una condanna. Il cuore di due persone che si amano viene raffigurato sugli alberi trafitto da una freccia. Non è un caso, non è poesia: la carità vera fa sanguinare, l’amore vero ferisce e le sue cicatrici stanno a testimoniare il passaggio di Dio. Ama finché non ti fa male. Obbedisci, mio cuore, all’amore perché è per questo che sei fatto, per obbedire all’amore.

 Non è forse vero che la tristezza più grande è scoprire di non essere amati da nessuno? Non è forse vero che lo sconforto ci prende quando ci accorgiamo che non siamo capaci di donare? Tradire l’amore significa tradire il nostro cuore, illuderlo deluderlo, ucciderlo, renderlo sclerotizzato.

Continuo il mio viaggio e mi addentro ancor più nel mio cuore, ma indossando le pantofole per alleviare la fatica della verità. Eccomi arrivato nell’archivio storico. Che strano… Nell’archivio storico non trovo il giorno di inizio del mio cuore, non vi è alcuna data per risalire alle origini. È come se fosse sempre esistito, è come se da sempre fosse stato pensato. C’è aria di eternità… come se prima di essere formato già esistesse.

Nell’archivio storico vi sono raccolti i miei giorni, uno per uno, e sono catalogati non in ordine cronologico bensì in base ai sentimenti vissuti; sono divisi in due parti: i giorni che vorrei rivivere e i giorni che vorrei dimenticare. I primi sono pieni di luce, i secondi sono in ombra. I giorni che vorrei rivivere sono tra loro cuciti con il filo della carità, data o ricevuta. Gli altri sono messi in ordine sparso come tanti fogli scarabocchiati o accartocciati messi su una scrivania. È la carità che oltre ad essere “un ordine”, mi permette di “fare ordine” nel mio cuore e di dare ad ogni relazione, ad ogni attività, ad ogni amicizia, ad ogni mio sogno, a tutti i miei giorni il peso giusto. È la carità che mette ordine nel mio cuore e che mi fa archiviare le mie giornate tra quelle che vorrei rivivere o tra quelle che vorrei dimenticare.

Devo allora educare il mio cuore, e non attraverso un corso di studi bensì attraverso la carità spicciola, attraverso quei gesti che nessuno vede ma che rappresentano le fondamenta di una vita piena di senso e quindi piena di gioia vera. È la carità, soprattutto quella semplice, quella nascosta e umile il vero esame di maturità della mia vita. Al bando lo scoraggiamento, l’ansia di non sentirsi in grado o il ritenersi appartenenti alla schiera di coloro che dicono «Ormai è troppo tardi…». San Francesco di Sales paragona tali atteggiamenti alla condizione di uccello preso nella rete, il quale, più agita le ali per cercare di fuggire, più ne rimane impigliato.

Nel mio viaggio immaginario dentro il mio cuore non trovo però tutto il dna della carità. Qualcosa risiede altrove… C’è un altro biglietto che dovrei comprare per un’altra destinazione. Ormai non è più solo mio cuore che voglio visitare ma le varie sedi della carità.

Nel testo di San Francesco di Sales il Teotimo (Trattato dell'amore di Dio) ho trovato scritto: «La carità risiede nella volontà, come sua sede, per abitarvi e farle preferire e amare Dio sopra tutte le cose» (ST. FRANÇOIS DE SALES, Œuvres (édition complète), t. IV (Annecy, 1984), p. 165: Traité de l'amour de Dieu, livre II, chap. 22).

Ecco la destinazione del mio prossimo viaggio, ben più arduo: la volontà. La carità risiede non solo nel mio cuore ma anche nella mia volontà. L’amore non è semplicemente una questione di sentimenti, di emozioni del momento, di istinto; chiama in causa anche la mia volontà. É proprio vero allora che l’amore è questione di obbedienza e non dipende dall’umore del momento, dalla luna che oggi ho. É inutile che me lo nascondo: a volte devo decidermi di amare. La verità dell’amore mi si impone e rimane tale anche nelle giornate in cui manderei all’aria tutto e tutti.

Le espressioni «Dobbiamo deciderci per Dio», o «Dobbiamo darci a Dio per tempo», espressioni usate da tanti santi, ci richiamano sul fatto che un cuore che ama affonda le sue radici nella volontà; è questa che ci permette di dare il primato all’amore anche nei momenti o in quelle circostanze in cui la semplice voglia di amare non c’è o in cui vorrebbero prevalere sentimenti opposti. Amare non è questione di voglia, ma di verità. Non si dice al proprio amato: «Oggi ho voglia di amarti». La verità dell’amore, della nostra vocazione, la verità di ciò per cui siamo fatti viene prima di ogni nostra semplice voglia. La scelta vocazionale stessa non è questione di voglia, di «mi piace o non mi piace». Aderire alla propria vocazione significa obbedire alla verità di se stessi. Ciò non vuol dire che dobbiamo amare per forza. Dobbiamo piuttosto scoprire ogni giorno che possediamo la forza di amare. Ci consola il fatto che in Geremia è scritto: «Non ti vinceranno perché io sono con te». Anche Gesù ha fatto un viaggio, e non immaginario. Lui ha comprato da sempre un biglietto di sola andata pagato col sangue per stare con noi e abitare il nostro cuore qualunque cosa succeda.

É l’amore la vocazione principale, la rosa più bella del giardino della nostra vita che ci fa vivere con Dio e di Dio pur sapendo che, scrive San Francesco di Sales, «I rosai producono prima le spine, poi le rose».

A questo punto non so più se usare il biglietto di ritorno…

I.B.

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