Per donarsi totalmente a Dio non basta il desiderio dell'“utile” ma bisogna offrire risposte al desiderio del “bello". Anche i "voti" devono far trasparire le aspirazioni al bello. Il "celibato" deve rimandare a "fecondità" non a "sterilità"; la "povertà" coincide con il riconquistare perdute terre di libertà all'interno di noi; l' "obbedienza"...
del 27 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
Nei consacrati la bellezza del volto di Dio            Dal Concilio Vaticano II° in poi è iniziato il tempo di riscrivere tante cose. L'ha detto il grande teologo conciliare K. Rhaner: «Mi piacerebbe - disse - poter scrivere un giorno un'enciclica che facesse vedere come sia possibile dire le ultime verità del messaggio di Gesù e della Chiesa anche in maniera diversa da quella a cui siamo abituati fin dai banchi di scuola» . Era mosso da esigenza di verità, circa la quale oggi, più che mai, è diffuso il sospetto che un po' tutte le istituzioni siano accumunate dal nasconderla. Il mondo vuole vedere chiaramente nei cristiani degli appassionati ricercatori della verità, credibili nella misura in cui sanno aderire alla verità non solo per obbedienza, ma per amore della verità stessa. Da tutto ciò non può essere estranea la VR che ha oggi necessità di una riflessione che sappia andare in profondità dovendo riformulare la propria identità a misura del bisogno di una società completamente diversa da quella che l'ha vista crescere nella storia. In questo cammino di ricerca, affinché l'evangelismo non vibri in forma seduttiva soltanto in altre direzioni, penso necessario per la VR il passaggio dall' utile, al bello.  La VC solo per il suo essere «utile»?
           L' 'utilità' per i primi asceti, specialmente nel periodo in cui si credeva prossima la fine dei tempi, era data dalla funzione espiatoria e poi in ogni caso meritoria della salvezza eterna. Progressivamente si corredò, teologicamente, della dimensione 'altra', 'speciale', 'di più' garanzia di santità, pensandola non perseguibile per altra strada: vantaggi tali da giustificare lo stato di vita eroico-ascetico che, con diversa intensità, ha caratterizzato la VR fino ai nostri giorni.All' utilità propria si associò ben presto l'utilità per gli altri. Il servizio delle abbazie e dei monasteri, in varie epoche era dato «dall'assicurare ai donatori un patrimonio incessante di intercessioni e di sacrifici che sarebbero serviti a lui (donatore) e ai suoi parenti sia in vita che dopo morte» . Fu così che i Religiosi/e divennero i rappresentanti presso Dio, di chi a loro ricorreva, preoccupato dei propri destini ultraterreni. Con il passare del tempo furono espresse anche altre utilità quali la bonifica di estesi territori; il farsi carico della cultura; l'accogliere quanti nel monastero vedevano un rifugio a motivo delle eccedenze demografiche di una popolazione agricola troppo numerosa per ciò che la terra poteva dare; come - anche se molto residualmente - l' accoglienza dei 'donati', (oblati) al fine di risolvere divisioni patrimoniali di persone, quasi sempre di origine nobile, che vedevano nell'imponente monastero una sistemazione prestigiosa per i propri figli. Specie in alcune epoche, all'origine di consistenti flussi vocazionali c'è sempre stato il vantaggio della promozione sociale, culturale ed economica. Se questo non è più vero per l'Europa, lo è più che prima per altri continenti quali l'Asia e l'Africa. Dopo la rivoluzione francese sono state proprio le utilità caritative delle congregazioni a risparmiarle dalle soppressioni: era il tempo in cui lo stato non poteva far fronte da solo ai tanti bisogni.
           E siamo arrivati all'oggi, tempo in cui attraverso l' 'utilità' la VR è strutturalmente condannata alla marginalità funzionale e di significato. Ora gli ambiti tradizionali dei servizi (sanitari, didattici, caritativi, assistenziali) hanno trovato ormai i propri professionisti e il proprio sapere specialistico. Impegnarsi in questi da tutti appetiti non offre più segni messianici. Deve far vedere il 'volto bello' del Chiesa
           Oggi per donarsi totalmente a Dio non basta il desiderio dell' 'utile' ma necessita offrire risposte al desiderio del 'bello'. L'evangelismo se non è un fatto riscontrabile come 'bella notizia' è soltanto teoria e come tale incapace di innestare la realtà in quell'humus vitale e fertile di una, per tanti versi, inesplorata cultura della risurrezione e della fecondità. Bellezza non come fatto estetico ma come un accadimento di grazia per la pienezza del vivere, per l'esperienza di Dio. La bellezza - diceva S.Weil - è un'esca, «la trappola del divino di cui più spesso si serve lo Spirito per catturare il cuore»; è acquisire quella attrattiva dell'esistere che dischiude orizzonti impensati di una gioia, differente, ma ugualmente incremento di vita, intensificazione dell'esistenza .Nella mentalità dell'uomo contemporaneo - scrive il Card Martini - «la verità coinvolge, avvince e convince nella misura in cui si fa anche bellezza e tenerezza, per cui nessuno aderisce a un senso ultimo se non per una sorta di fascinazione della sua bellezza percepibile e anticipabile» . Da cogliersi non solo nel 'fare' dei giovani, ma con uguale intensità nei «volti di anziani dove le rughe sembrano un reticolo in cui si è impigliato il sole della bontà, della saggezza, della comprensione affettuosa» .
           Anche i 'voti' devono far trasparire le aspirazioni al bello. Il 'celibato' deve rimandare a 'fecondità' non a 'sterilità'; a orientamento del cuore prima ancora che solitudine sessuale; a persone capaci di canalizzare le pulsioni, i sentimenti, i pensieri, dentro una capacità di amare senza possedere.La 'povertà' non può dare l'immagine di qualcosa che coincide con il non avere o con l'antropologia della negazione ma con il riconquistare perdute terre di libertà all'interno di noi; nel finalizzare i beni, tutti i beni, materiali e naturali (professionalità, casa affetto, sapere) non al possesso ma all'essere dono fraterno. L' 'obbedienza' non intesa come sudditanza ma come aiuto a discernere e ad accogliere la volontà di Dio di cui la funzione vicaria è data soltanto dalla coscienza di ognuno . Una spiritualità che valorizzi anche l' ideale umano           La domanda mi è stata rivolta da una giovane in questi termini: la vita religiosa «sa fare i conti con la verità iscritta nell'essere creature umane»? Schillebeekx risponderebbe «La salvezza che la fede prospetta, deve essere almeno un riflesso parziale e frammentario di quello che l'uomo sperimenta come salvezza totale . Ed E. Bianchi parlando ai religiosi diceva: «se non costruiamo una vita umana bella il mondo non ci capirà più» .La gloria di Dio non può consistere nella negazione della sua creatura quanto piuttosto nella sua affermazione. «Ego, humanum non nego» diceva s.Bernardo. Nella sensibilità odierna è negato piuttosto quel divino che non fa fiorire l'umano. J.M.Tillard scriveva: «Il religioso non può vivere l'attenzione al polo trascendente del Regno e darne testimonianza, se la sua vita umana non riesce a trovare la pace interiore e la gioia profonda che corrispondono all'aspirazione naturale del suo essere». La radicalità cristiana non si misura con la rinuncia: ricondotta a ideale in sé, a lungo andare può ristrutturare la persona portandola a ripiegarsi su se stessa rendendola spesso egoista, esigente, inquieta.
           Evidentemente questo è un modo di pensare diverso da quel tempo - giunto fino a noi - in cui per influsso della dottrina platonica, che ha trovato ampio spazio nella nostra teologia, si pensava che diminuendo l'umano crescesse il divino, credendo che la materia e la corporeità fossero antitetici allo spiritualità. Con questo non si intende mettere in discussione la quotidiana disciplina dell'ascesi, non solo come presa di distanza dalle seduzioni ma anche come assunzione della sofferenza conseguente al dono di sé agli altri. Questi sono elementi fondamentali di umanità, l'abbandono dei quali distruggerebbe l'uomo stesso . Ciò che si intende dire è che non è possibile la salute umana negando i sentimenti, respingendo la loro espressione, perché, costituzionalmente, siamo tutti, mendicanti di un senso dell'umano. La spiritualità senza umanità può portare alla freddezza del non senso, vale a dire alla malattia delle passioni tristi (depressione) che fanno perdere la bussola inaridendo le sorgenti della vita. In queste situazioni non basta la fede dei 'confratelli' a tirarci fuori, a redimere le ore spente o tristi, ma serve l' amicizia degli amici, perché è il cuore che è in sofferenza. Rendere evidente la strada della salvezza           Se l'umanità è la strada per accedere a ciò che l'uomo è nella verità di sé, è necessario pensare anche sotto altra luce la santità. Per poter essere presente nella nuova esperienza storica che stiamo vivendo, la santità non può prescindere dal reinterpretarsi attraverso l'espressione di alcune irrinunciabili istanze di umanità, non estranee al Vangelo, quali, in particolare, la 'gioia' e l' 'amicizia'.Si legge nel Vangelo: «un uomo pieno di gioia vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,45). È la gioia la forza capace di orientare la vita, di dare una direzione alle scelte fino a vendere tutto ciò che uno ha. Non è la rinuncia o l'imperativo del dovere a spingere il desiderio ma l'esuberanza della letizia. Privi di questa non si ha la forza di cercare, scavare, privarsi di ciò che si possiede. È per questo che la Vita «vai e vendi ciò che hai» non deve diventare l'emblema della 'dolenza'. È la gioia a far sperimentare che vale la pena a vivere una scelta e rendere possibile l' «esistere da persona soddisfatta - scriveva Bonhoeffer - nonostante desideri e bisogni insoddisfatti».           La gioia, a sua volta, ha la fonte nell'amore in cui ha la sua radice il piacere e la ragione di esistere. «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile» . Sul piano della vita relazionale e quotidiana l'amore si esprime attraverso l'amicizia. Una certa vita religiosa dice che «basta avere per amico Dio», ma anche per godere Dio bisogna aver affinato l'amicizia amando gli amici. Santa Teresa afferma che l'amicizia non è semplicemente un fatto sentimentale, ma molto di più: è un fatto rivelativo, un luogo teologico. Infatti 'Amico' è un nome di Dio e l'amicizia rivela qualcosa di Gesù di Nazareth il quale ha avuto amicizie bellissime, profonde, da strappargli lacrime tenerissime, come nel caso di Lazzaro. Altre volte a rinfrancare il cuore e le forze di Gesù è l'amicizia di Maria e Marta di Betania. È la storia di s. Francesco che nel momento del congedo dalla vita convoca l'amicizia dicendo a Jacopa: portami quei biscotti con i quali ti prendevi cura di me. Non dei biscotti ha desiderio Francesco ma della mano che li porge. Neppure della mano ha bisogno, ma del cuore che guida la mano . Il religioso/a dev'essere trasparenza esemplare di una persona che vale quanto vale il suo cuore, senza pretese infantili o narcisistiche ma capace di quell'amore e di quell'amicizia che rende colma e bella la vita degli altri e sua. Il dire di Gesù: 'da ciò riconosceranno … ' invita a un amore plurale perché la ricchezza dell'esistenza è data dalla polifonia degli affetti (Bonhoeffer). Senza polifonia rimane la monotonia, la noia del vivere.
Cozza Rino
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