Nella vita di un adolescente è importante un sacerdote che sostiene, approva, corregge in modo ragionevole. L'oratorio, come lo sognava Don Bosco, non era quello di chi accantona, lascia in disparte. Poneva dei limiti ma non era rigido, consapevole che ognuno ha una sua strada da percorrere, un suo passato che può favorire o rallentare il crescere. Credeva molto nella relazione personale, nella capillarità dei rapporti, senza trascurare “il numero”, la massa!
del 22 luglio 2009
Anno sacerdotale, anno della riscoperta del sacerdozio da parte dei preti ma anche da parte dei laici. Ognuno ha incontrato il “suo” prete, quello che ha segnato la sua vita, in positivo o, lo ammette anche il Papa nella sua Lettera ai sacerdoti, in negativo. Personalmente, sulla via del crescere, ho ha avuto la fortuna di incontrare un prete dell’oratorio, che è entrato nella mia vita con poche parole e con la sua passione educativa, il suo stare con noi, animando il nostro tempo libero, suggerendo gesti di solidarietà, narrandoci Gesù con la fantasia del narratore esperto, immediato, coinvolgente.
 
Il sacerdote del mio oratorio
Nella vita di un adolescente è importante un prete che sostiene, che approva, che in certi momenti combatte, “correggendo” in modo ragionevole, mettendoti alcuni paletti alla voglia di libertà, che talvolta è voglia di non impegnarti, di impigrirti. A me piaceva questo prete d’oratorio che condivideva la vita di noi ragazzi, con eguale entusiasmo, con la stessa gioia di giocare, correre, fare teatro, musica. Uno che non alzava mai la voce, che non era invadente ma ci lasciava divinamente liberi ed allo stesso tempo ci obbligava ad essere pienamente quello che eravamo. Si sa: la via del crescere non è facile, spesso è ardua, irta di spine e di sassi. Il mio prete non andava avanti ad appianare la strada, ci insegnava a superare gli ostacoli, motivando il per chi dovevamo farlo! Per noi stessi, per la nostra famiglia, per amore degli amici e per amore del Signore. Per amore degli amici. Ci faceva sentire responsabili dei nostri compagni di scuola o di oratorio. Ricordo che non ci parlava mai di mele marce da togliere dalla cesta perché non facessero marcire quelle sane.
 
La passione di don Bosco
Ci ricordava don Bosco, il suo ottimismo nell’affrontare i ragazzi di strada. Ci teneva a loro e voleva che noi nutrissimo la stessa passione: “La passione non si insegna, la si mostra, la si comunica, la si partecipa”. Ce lo diceva negli incontri di formazione, perché ci appassionassimo come lui alla “salvezza delle anime”. Oggi è forse una motivazione che non tiene più di tanto in giovani, che stanno bene per conto loro e non si preoccupano degli altri. Lui citava pagine del Vangelo come quelle dell’Imitazione di Cristo per aprire il nostro cuore ai lontani, a chi non conosceva neppure l’oratorio o l’ambiente di Chiesa. Mentre sto pensando a lui, mi viene in mente una frase di un film con Gene Hackmann, dove lui interpretava la parte dell’avvocato di una causa considerata disperata: “Quali possibilità abbiamo di vincerla?”, chiede ai suoi collaboratori: “Una su cento!”. “Ebbene, noi punteremo su quella!”. Ecco, il mio Don puntava sull’improbabile, sull’incredibile, sull’insperabile, perché aveva una grande fede in Dio, unita a una grande umanità. L’oratorio, come lo sognava lui, non era quello di chi accantona, lascia in disparte. Poneva dei limiti ma non era rigido, consapevole che ognuno ha una sua strada da percorrere, un suo passato che può favorire o rallentare il crescere. Credeva molto nella relazione personale, nella capillarità dei rapporti, senza trascurare “il numero”, la massa! Era un uomo di cultura, non solo biblica, teologica: “Se vogliamo conoscere le persone, serve anche la letteratura, il romanzo, la poesia, il film d’autore. Ci aiutano a capire gli individui concreti nel loro contesto, nella loro storia, nel loro ambiente, nelle loro passioni”. Era molto selettivo nella scelta degli autori, che proponeva a noi come “libro del mese”.
 
Un ricordo affettuoso
Sono tanti gli oratoriani che lo ricordano con affetto sincero: alcuni di noi sono diventati preti per essere come lui “preti da oratorio”. Non ci ha mai obbligati a seguirlo: lo abbiamo sentito noi come risposta alla chiamata di Dio, come lui aveva risposto! Del santo curato d’Ars, l’esempio sublime che Papa Benedetto ha proposto a tutti i sacerdoti in questo anno di grazia, viveva la povertà e l’Eucaristia. Non lo vedremo nella gloria del Bernini, ma nel novero dei preti oratoriani avrà certamente un posto d’onore. Noi, preti cresciuti con lui in oratorio, gli siamo grati: il Signore si è servito di lui per chiamare anche noi a servirlo come preti nella Chiesa. Un grande dono,un grande privilegio.
don Vittorio Chiari
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