Oltre la fortezza

Un gruppo di giovani pacifisti appartenenti a due associazioni torinesi, Acmos e Terra del Fuoco, hanno dato vita a una carovana diretta a Beslan, in Ossezia del Nord. La carovana, che è stata battezzata 'Oltre la fortezza', è partita da Torino lo scorso 13 dicembre e, dopo aver attraversato Romania, Moldavia e Ucraina, è giunta a Beslan il 27 dicembre. Proseguirà poi per l'Inguscezia, dove si trovano i campi profughi ceceni, prima di iniziare il viaggio di ritorno attraverso la Georgia e la Turchia. Pubblichiamo alcuni estratti dei resoconti inviati da un villaggio moldavo, da Kiev e da Beslan da coloro che stanno partecipando a questa esperienza.

Oltre la fortezza

da Attualità

del 01 gennaio 2002

Sestaci, Moldova, 17 dicembre.

La Carovana ‘Oltre La Fortezza’ ha vissuto la sua prima settimana di viaggio. Una settimana intensa fatta di strada, di freddo, di buio, di banchi fitti di nebbia, di ne ve, di stanchezza, di mete lontane da raggiungere, di frontiere faticose da passare. Una settimana fatta di ascolto e di esperienze condivise. (…) Oggi siamo a Sestaci, un piccolo villaggio di duemila abitanti, a un centinaio di chilometri dalla capitale Chisinau. Le strade sono tortuose e sterrate e per arrivarci ci si mette più di due ore. Ci aspettano nella scuola del paese. (…) Quando arriviamo, ci accoglie un quartiere in cui le case sono fatiscenti, le strade dissestate e gelide, piene di cani e gatti randagi. Ma poi imbocchiamo il vialetto che conduce all’edificio, e ci sentiamo invasi di calore. La temperatura è sotto lo zero, ma il sole filtra dagli alberi spogli che ci sono nel cortile. Alziamo lo sguardo e vediamo gli occhi dei bambini che ci aspettano lì alla finestra, curiosi e simpatici. Entriamo. (…) Ogni aula è arredata come fosse una casa. Con tende ricamate a mano alle finestre, con lampadari colorati ai soffitti e con tante piante. Ce ne sono di grandi e piccole, sui davanzali, sulle cattedre, sui mobili. Le maestre con gli allievi e le famiglie se ne prendono cura. Queste scuole sono presidi di civiltà, sono armi contro la disperazione, la dispersione, la vittoria dei privilegiati. Qui si trova quella cura, quel rispetto, quella sobrietà che hanno le persone che sanno cosa vuol dire la povertà.

Siamo rimasti meravigliati e commossi dalla capacità di essere ‘comunità’ che abbiamo percepito nel villaggio. Il paese intero ci ha accolti, le professoresse hanno cucinato per noi e invitandoci a pranzare, in un’aula diventata refettorio, hanno cantato per noi. Questa capacità di essere ‘comunità’ che è resistere allo smarrimento, tenendosi per mano, aggrappandosi alle piccole cose fatte bene e fatte insieme, l’abbiamo ancora respirata nella casa del nonno di Marianna, la nostra guida locale, che passa la sua vecchiaia da invalido leggendo un’enciclopedia russa, che poi racconta ai bambini del paese.

Kiev, Ucraina, 20 dicembre.

Da oggi noi siamo con il popolo ucraino che si batte per il rispetto della legalità democratica. Le nostre jeep assieme alle loro tende, a presidiare i palazzi del potere. I giovani di Kiev si alternano notte e giorno nei tre accampamenti permanenti: quello davanti al Parlamento, quello davanti alla residenza del Presidente Kuchma e quello in Piazza della Libertà. Questi giovani ci hanno chiesto di stare insieme a loro. Riconoscendoci uniti dalle stesse speranze, abbiamo con gioia accettato. Sappiamo che non esiste esperienza politica immune da critiche, ma siamo anche convinti che sia un delitto e una vanità spaccare sempre il capello in quattro e con ciò esimersi dal gettare il proprio peso sulla bilancia della storia. Noi qui, oggi, scegliamo questo movimento, mangiamo con loro e dormiamo sotto le loro tende. (…)

Conosciamo Irina, una ragazza del movimento politico ucraino Porà. Ci dice che stanno conducendo una lotta di resistenza, una lotta volta a proteggere la democrazia dal pericolo che qualcuno si appropri del potere, violando la legalità. (…) Ci dice che per moltissimi di coloro che presidiano la piazza dell’Indipendenza nel centro di Kiev, la cosa importante non è tanto la vittoria di Yushenko, ma la vittoria della democrazia. (…)

Abbiamo poi occasione di parlare con Yevgenija Petrivska, dell’associazione giovanile Spectr, e con Alessia, una delle tante persone che hanno animato il movimento popolare a Kiev in questi mesi. Alessia ci racconta che nel bar dove lei lavora quasi tutte le sere, negli ultimi due mesi, ci sono stati incontri tra militanti delle parti avverse, e non si è mai andati al di là della semplice discussione. Ci spiegano che molti di loro non sono tanto sostenitori di Yushenko, quanto oppositori di Yanukovich. Alcune politiche di Yushenko hanno incontrato e incontrano infatti viva opposizione anche all’interno del movimento che lo sostiene. “A Yushenko abbiamo già fatto sapere che deve fare attenzione”, dice Yevgenija. “Siamo pronti a fare contro di lui quello che abbiamo già fatto contro l’altro, se ci sarà bisogno”.

Beslan, Ossezia del Nord, 27 dicembre.

L’incontro con le ragazze ossete di Beslan che hanno partecipato al laboratorio teatrale insieme a ragazzi ingusci e russi ci ha profondamente toccato. E’ stata una straordinaria testimonianza di come si possa superare il pregiudizio e l’odio etnico conoscendosi, fidandosi gli uni degli altri e lavorando insieme per costruire qualcosa. Per questo motivo abbiamo scritto una lettera a Zalina, una di queste ragazze. Eccola.

“Cara Zalina, anche per noi è difficile capire. Ieri siamo andati tutti al cimitero dove riposano i bambini di Beslan. Ognuno di noi aveva un mazzo di garofani rossi in mano. Abbiamo camminato tra le tombe, abbiamo sostato davanti alle immagini di quei volti così simili ai nostri, abbiamo ascoltato accanto a noi il pianto dei parenti lì in quel momento. L’abbiamo sentito dentro di noi. Abbiamo deposto uno ad uno i nostri fiori, siamo stati lì, raccolti, svuotati dall’assurdo di tanta violenza. Impressionati per sempre da quelle date ingiustamente vicine: nato 1993, morto 2004. Perché?! Ce ne siamo andati, che facevamo fatica a guardarci negli occhi, preoccupati pudicamente l’uno del dolore dell’altro. Siamo arrivati nella scuola numero 6 (dove sono stati trasferiti i superstiti della scuola numero 1, ndr). Qui i ragazzini ci attendevano per il torneo di calcio. Con gli italiani o ti fai una spaghettata o ti fai una partita a pallone.

C’erano tutti ad aspettarci. Abbiamo organizzato due squadre, loro quattro. Il torneo si è svolto in palestra. (…). Ci siamo capiti, ci siamo trovati. A rincorrere il pallone non c’erano ‘italiani’, ‘osseti’, ‘vittime’, ‘scampati’... C’erano ragazzi. C’era la voglia di divertirsi, e basta. Che effetto pensare che la palestra dove risuonava il tifo era così simile e vicina a quell’altra palestra, quella del massacro. Le professoresse ci hanno raccontato che per diverse settimane successive all’attacco i più piccoli si rifiutavano di entrare in palestra. Ora la voglia di vivere da ragazzi sta riprendendo il sopravvento, ma dai discorsi spuntano la paura, la diffidenza, l’incertezza per il futuro. Perchè?!

E poi arrivi tu, Zalina, le tue parole le  capiamo solo nella traduzione, ma la tua voce è dolce, profonda, sembra che echeggi di tutta la sofferenza del Caucaso. Hai sedici anni, sei osseta, ma hai incontrato i ragazzi ingusci attraverso un laboratorio teatrale. Ci racconti che è stata dura all’inizio, ma che un po’ per volta avete capito di essere tanto simili. Ci affidi un messaggio per i ragazzi che stanno dall’altra parte, in Inguscezia, che tu ora vedi con difficoltà e che noi incontriamo domani: “Fermiamoci prima che sia troppo tardi. Non è giusto che noi giovani paghiamo gli errori dei grandi...”. No, non è giusto! Ti ascoltiamo parlare di speranza, i tuoi occhi si illuminano, ci dici che credi in un futuro diverso, nel quale i conflitti si placheranno perché le persone impareranno a perdonarsi. Sembra che sia tutto possibile. Ma il tuo volto è così simile a quelli che ci guardavano dalle tombe ieri. Davvero Zalina non è giusto che il veleno dell’odio trasformi un po’ per volta i sorrisi che uniscono, in ringhi che spaventano. Perché?!

Cara Zalina, anche per noi è proprio difficile capire il perché.

Quello che capiamo è che le persone semplici si capiscono con le cose semplici. Capiamo che riusciamo ad incontrarvi così profondamente proprio perché siamo un gruppo di giovani che ha scelto di condividere cose semplici. I fiori, la partita a pallone, il cibo, il tempo. Capiamo che è così che alla pace può essere data una speranza. Ma ci vuole pazienza, ci vuole perdono, ci vuole il rispetto delle differenze. E questo mondo va troppo in fretta. E’ come il cingolo di un carro armato, che schiaccia tutto sotto di sé. Ma i carri armati, Zalina, si possono fermare, anche solo per alcuni minuti, come avvenne sul ponte di piazza Tiennanmen. Possiamo essere come quel ragazzo che da solo si piazzò davanti alla colonna di cingolati. Dobbiamo farlo, per i bambini ingusci e ceceni, per i bambini di Beslan, che adesso hanno paura a stare in macchina con il loro papà, perché credono che all’improvviso possa diventare un terrorista. Solo la pace ha dei perché. L’orrore dei grandi che ringhiano, no. Ecco la risposta. Ciao Zalina”.

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