Vi invito a rendere grazie a Dio per questo nostro diletto confratello che ha saputo rispondere alla voce del Signore che lo aveva invitato a impegnare tutta la loro vita con Don Bosco, per i giovani, nella Congregazione.
del 05 luglio 2006
«Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese»
 (Eb 11,1-3.8-10.13-16; Sal 122; Lc 12,35-48)
 
 
Carissimi fratelli e sorelle,
 
ci siamo riuniti per celebrare il Mistero della Pasqua del Signore Ges√π e per celebrare, nel contempo, la Pasqua personale del nostro caro fratello, don Claudio Filippin.
 
Domenica 2 luglio, mentre con tutta la Chiesa Universale celebravamo il giorno del Signore, anticipo della “domenica senza fine”, come canta il prefazio domenicale X, don Claudio compiva il suo passaggio da questa vita al Padre per entrare nella gioia del suo Signore.
 
Certo, la notizia della sua morte, così imprevista, ci ha colti tutti di sorpresa, ci ha commosso e ci ha lasciato il dispiacere nel cuore e ci ha rattristati.
 
Umanamente è stato un duro colpo ed una grande perdita per tutti. In primo luogo per la sua famiglia, in secondo luogo per il Rettor Maggiore ed il Consiglio Generale, in terzo luogo per la Ispettoria San Marco di Venezia – Mestre, di cui era il “padre, maestro ed amico”.
 
A noi è sembrata imprevista, ma di certo per lui la morte non è stata come un ladro che arriva senza preavviso. Era vissuto per amare e servire il Signore e si era preparato per seguirlo ovunque quando l’avesse chiamato, come mi raccontava nell’ultimo incontro che ho avuto con lui alla Casa Generalizia, quando aprendo il suo cuore condivideva con me il suo cammino interiore.
 
Nato in una famiglia di forte tradizione cristiana, don Claudio crebbe e si maturò facendo della predilezione per Dio, che l’aveva scelto dal battesimo per essere immagine del suo Figlio, il suo progetto di vita. La sua formazione umana e cristiana, sviluppata in famiglia e nella scuola salesiana di Castello di Godego, l’ha preparato ad accogliere la volontà di Dio nella sua vita e a vivere per realizzarla come salesiano. Nella intervista fattagli dal MGS del Triveneto, nell’aprile 2004, raccontava così la sua vocazione: “(A Castello di Godego, i Salesiani) mi hanno fatto scoprire la gioia del gioco, un po’ alla volta quella della gratuità e del servizio, e mi hanno portato a capire che spendere la vita per Don Bosco era una cosa meravigliosa”. La sua morte, dunque, altro non è che l’ultima tappa e il coronamento di questo progetto di Dio, che ora l’ha glorificato come ha glorificato Gesù.
 
Vi invito dunque a rendere grazie a Dio per questo nostro diletto confratello che ha saputo rispondere alla voce del Signore che lo aveva invitato a impegnare tutta la loro vita con Don Bosco, per i giovani, nella Congregazione.
 
Fedele alla sua promessa di darci “pane, lavoro e paradiso”, don Bosco accoglie oggi don Claudio per renderlo partecipe della sua gioia senza fine. Il desiderio del nostro amato padre espresso prima di morire: “Vi aspetto in paradiso”, è in fondo una bella parafrasi della preghiera di Gesù: «Padre, voglio che dove sono io siano anche quelli tu mi hai dato, perché vedano la gloria che tu mi hai dato…» (Gv 17,24).
 
Pi√π che tessere le lodi delle virt√π di don Claudio, vogliamo riconoscere il bene che lui, per grazia di Dio, ha compiuto nella Chiesa e nella Congregazione.
 
La morte, che è sempre un mistero, è un invito a rinnovare la nostra professione di fede nel Padre di infinita misericordia, che ha promesso una felicità senza fine a coloro che cercano prima di tutto il Regno dei Cieli, come ha voluto fare don Claudio.
 
Nel celebrare oggi il suo funerale, vogliamo ricordare anzitutto che egli ha consumato la vita nel servizio del vangelo, camminando sulla via tracciata da Don Bosco, e che ha lavorato nella vigna del Signore compiendo sino in fondo la sua vocazione. Per lui invochiamo il premio promesso ai servi fedeli, il perdono, la gioia, la luce e la pace eterna, il risveglio alla gloria della risurrezione, perché possa contemplare in eterno il volto di Dio.
 
Nel contempo la partecipazione di don Claudio, come d’altronde quella dei nostri confratelli salesiani defunti, alla Pasqua di Cristo costituisce pure una spinta e un motivo di supplica perché ognuno di noi possa continuare con fedeltà il proprio cammino, specie oggi quando si cede facilmente alla tentazione dell’abbandono.
 
Il brano di Luca, che ci è stato appena letto, ci presenta infatti l’esortazione di Gesù, che sembra programmatica per ognuno di noi come lo è stata per don Claudio: «Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprigli subito, appena arriva e bussa».
 
Le due immagini adoperate da Gesù sono eloquenti perché ci portano alla memoria l’esperienza dell’esodo, che è colma di senso antropologico: siamo “homines viatores”. La “cintura ai fianchi” descrive infatti l’atteggiamento tipico di chi si appresta a mettersi in viaggio o a lavorare, e perciò raccoglie la lunga veste alla cintura per essere più libero nei movimenti; le “lucerne accese” stanno ad indicare il comportamento del servo sempre pronto dinanzi all’improvviso ritorno del padrone durante la notte.
 
Non è però l’atteggiamento di servi timidi o paurosi, anzi si è pervasi di gioia, come dimostra il fatto che, non appena tornato, il padrone, capovolgendo i ruoli, si metterà egli stesso a servirli: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli: in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli». La parabola di Gesù e la dipartita di don Claudio sono oggi una sollecitazione a essere pronti, a tenere il cuore e la mente gioiosamente aperti al Signore che viene a inondare di luce la nostra vita.
 
Questo è quanto dice Gesù con l’altra parabola, (quella dell’amministratore) fedele, rispondendo alla domanda di Pietro: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». E il Signore rispose: «Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a suo tempo la razione di cibo?».
 
Sono convinto che don Claudio si sia meritata quella beatitudine riservata a chi sa attendere il Signore che viene e trova il suo servo che sta eseguendo quello che gli era stato comandato di fare: «Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro». Ciò significa spendere tutte le nostre energie, sino all’ultimo respiro, per coloro che il Signore ci ha consegnato. Ciò vuol dire vivere con il cuore distaccato dai valori non definitivi, protesi al futuro, e in stato di vigilanza «perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate». Ciò implica vivere come Don Bosco, con i piedi per terra, la mente al cielo e il cuore aperto a tutti.
 
Tanto la morte di don Claudio come la parola di Dio che la illumina vengono ad invitarci a rinnovare la fede e la gioia nella nostra vocazione, a vivere in attesa, mentre svolgiamo generosamente la missione di essere “segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani”. Forse la domanda di Pietro ha anche senso quando si pensa alla vocazione e alla missione che ci è stata affidata.
 
L’attesa però sussiste solo come espressione della fede e dell’amore: si spera perché si ama, e si smette di attendere quando si è speso l’amore.
 
Su questa linea si muove il meraviglioso brano della lettera agli Ebrei, che esalta la fede di Abramo in quanto aperta al futuro della realizzazione delle promesse: tutto per lui è da attendere e da verificare. Dio gli ha promesso una terra, ma i suoi discendenti la possederanno soltanto dopo circa 700 anni; Dio gli ha promesso un figlio quando sia lui che la moglie Sara non possono più averlo e, una volta ottenuto, glielo chiede addirittura in sacrificio! Una fede dunque, quella di Abramo, senz’altra garanzia che la “promessa” di Dio e la capacità del grande Patriarca di saper attendere con pazienza il maturarsi lento e silenzioso degli eventi, come la lenta crescita del chicco di frumento.
 
È commovente e pieno di pathos questo gesto di Abramo e dei Patriarchi che “salutano da lontano…” i beni promessi da Dio, avviandosi, per conto proprio, verso la patria vera, cioè quella celeste, “il cui architetto e costruttore è Dio stesso”. La “terra promessa” non era per loro che il simbolo di una patria più grande, che stava davanti, che stava oltre e spingeva a credere, a sperare, ad attendere ancora. È la nostalgia del futuro, il senso dell’attesa del non-compiuto, che Abramo esprime nella forma più acuta e paradigmatica. È la motivazione di Don Bosco che diceva “un pezzo di paradiso aggiusta tutto”.
 
Oggi rendiamo grazie al Signore per il dono prezioso che ci ha donato in don Claudio. Sentiamo la sua mancanza, ma il Signore saprà trasformare il nostro lutto in danza, saprà riempire di speranza e di consolazione la famiglia, saprà rendere feconda spiritualmente, pastoralmente e vocazionalmente, le comunità e le opere di questa Ispettoria.
 
E ringraziamo anche te, don Claudio, per essere stato un regalo di Dio per tutti noi, per la tua famiglia, in primo luogo, per la Congregazione, per questa Ispettoria, per i giovani, cui hai voluto far scoprire la bellezza della vita ed insegnar loro a non sprecarla, a non venderla.
 
Grazie per la tua bontà e generosità, per la tua disponibilità, per il tuo impegno instancabile nella missione e la profondità della tua vita spirituale.
 
Oggi è un giorno di festa grande perché, come diceva Don Bosco, «quando succederà che un Salesiano muoia nel campo di lavoro, quel giorno la Congregazione avrà ottenuto un grande premio».
 
A Maria Ausiliatrice affidiamo il nostro caro don Claudio Filippin,  affinché lo presenti davanti al Padre Celeste e davanti al suo divino Figlio. Amen.
 
 
Don Pascual Ch√°vez V.
Venezia – Mestre, 5 Luglio 2006
don Pascual Ch√°vez Villanueva
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