PACS: le scorciatoie delle provocazioni

Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge (introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il patto civile di solidarietà)? Riconoscerle, indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione? Queste, ed altre domande, stanno crescendo...

PACS: le scorciatoie delle provocazioni

da Quaderni Cannibali

del 14 gennaio 2006

  Riconoscere le convivenze? Riconoscerle per legge  (introducendo nel nostro codice - in analogia con quanto è  avvenuto in Francia - un nuovo istituto, il PACS, cioè il  patto civile di solidarietà)? Riconoscerle,  indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso  diverso o dello stesso sesso? Ammetterle all'adozione?  Queste, ed altre domande, stanno crescendo nell'opinione  pubblica italiana e diventeranno, con ogni probabilità,  questioni non marginali nella prossima campagna elettorale.  

Di fughe in avanti, chiaramente volte a predisporre  l'accettazione psicologico-sociale dell''evento', ne  percepiamo ormai molte. Alcuni Comuni italiani hanno già  istituito pubblici registri per le coppie di conviventi (si  è però prestata ben poca attenzione al fatto che,  indipendentemente dall'irrilevanza giuridica di simili  registri, le conseguenti registrazioni sono state  numericamente irrisorie). A Roma, uno dei Municipi della  capitale ha tentato (ma per ora il progetto è fallito) di  fare lo stesso. Ma soprattutto è sul piano delle  provocazioni che sembra che il dibattito si stia collocando:  è tipica la convocazione, in una centralissima piazza di  Roma, di una manifestazione per 'benedire laicamente' le  unioni di fatto di personaggi, più o meno mediaticamente  conosciuti, da parte di altri personaggi dotati di un  carisma fornito loro dalla carica istituzionale di cui sono  portatori (come può essere quello di cui gode un altissimo  magistrato, che ha posto deplorevolmente tale carisma al  servizio di una causa che non è istituzionalmente sua).    In una società democratica la battaglia delle idee non può  che essere sempre benvenuta, perché della società  democratica il dibattito e il confronto costituiscono  l'essenza più preziosa. A condizione, però, che di dibattito  e di confronto davvero si tratti. Quando invece al posto  delle idee fioccano gli slogan; quando il ragionamento,  soprattutto il ragionamento lucido e pacato, viene  sostituito da cortei e da invettive; quando si operano  assurdi corto-circuiti, appiattendo uno sull'altro  clericalismo e difesa del matrimonio e chiamando a raccolta  gli anticlericali, come se la lotta a favore del PACS sia  una lotta per i diritti civili, oppressi dall'oscurantismo  religioso, della democrazia e del suo spirito più autentico  non ne rimane più nemmeno l'ombra. Siamo ancora in attesa di  un argomento, di un solo argomento consistente, a favore del  riconoscimento legale dei PACS. Un breve ragionamento,  assolutamente laico, potrà convincerci di quanto appena  detto.

Le coppie di fatto si dividono in due categorie:  quelle  che non vogliono e quelle che non possono sposarsi. Delle  prime, ragionando in linea di stretto principio, non solo è  opportuno, ma è doveroso che il diritto non si occupi:  l'intenzione dei conviventi (apprezzabile o meno che sia sul  piano strettamente morale) è proprio quella - pur potendolo  fare - di non legarsi giuridicamente e non si vede proprio  perché la legge dovrebbe far loro la 'violenza' di  considerarle comunque legate, sia pure attraverso un labile  PACS, contro la loro volontà. Si osserva:  ma queste coppie  escludono solo il matrimonio 'tradizionale', non altre forme  di riconoscimento giuridico; se chiedono l'istituzione del  PACS è proprio perché vorrebbero usufruire di alcuni diritti  (in genere di carattere economico), che non sono attualmente  riconosciuti se non alle coppie sposate. Ma la ragione per  la quale tali diritti non sono loro riconosciuti è che esse  non hanno l'intenzione di assumere quei doveri che sono  parte essenziale dell'istituto matrimoniale. Non si può, in  buona sostanza, non valutare se non come parassitaria e  quindi indebita l'intenzione di coloro che pretendono un  riconoscimento pubblico della loro convivenza per ottenere  diritti senza doveri. Peraltro, i giuristi ben sanno che  praticamente tutti quei diritti al cui riconoscimento  aspirano i partner di una unione di fatto possono essere  attivati tramite il diritto volontario e senza alcuna  necessità di introdurre nel codice nuovi istituti. Il  testamento, ad es., esiste proprio per far sì che si possa  trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli  legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla  successione legittima. La locazione della casa di comune  residenza può essere stipulata congiuntamente dai due  partner, in modo tale che al momento della morte dell'uno  essa possa, senza alcuna difficoltà, proseguire a carico  dell'altro. Non è vero, in altre parole, che ai conviventi  vengano negati specifici diritti civili:  la differenza  rispetto al matrimonio sta semplicemente qui, che quei  diritti che la legge riconosce automaticamente alla coppia  che contrae matrimonio (assieme a corrispondente numero di  doveri) nel caso delle convivenze devono essere, per dir  così, attivati dai conviventi stessi. Il che, oltre tutto, è  particolarmente coerente col principio, tipicamente moderno,  dell'autonomia della persona, un principio che viene  costantemente rivendicato ed elogiato dalla cultura c.d.  'laica' e che non si vede perché, solo nel caso delle  convivenze, debba essere messo da parte.

Le coppie che non possono sposarsi si dividono a loro  volta in due sotto-categorie. La prima è composta da coloro  che non possono ancora sposarsi per impedimenti transitori  di tipo in genere legale (ad es. per la minore età o perché  uno dei partner è in attesa del divorzio, ecc.). Per queste  coppie l'offerta del PACS è senza senso:  la stessa  difficoltà, destinata a risolversi comunque da sola, che  preclude loro le nozze precluderebbe loro anche il PACS. La  seconda sotto-categoria è composta invece da quelle coppie  che vorrebbero sì sposarsi, ma ritengono di non poterlo  fare, per difficoltà economiche, e rimandano quindi, a volte  sine die, il matrimonio. L'autentico modo di venire incontro  ai bisogni sociali di queste coppie non è certo quello di  offrire loro un 'piccolo matrimonio' (secondo l'incisiva e  ironica definizione del Card. Ruini), come è appunto il PACS, che non risolverebbe alcuna delle difficoltà in  questione, ma quello di attivare quelle iniziative sociali a  favore della famiglia, che oltre tutto sarebbero doverose  già in base al dettato della nostra Costituzione.

Cosa resta dunque delle istanze sociali, che  giustificherebbero l'introduzione in Italia del PACS? Sembra  nulla di nulla. A meno che non si voglia vedere dietro la  richiesta del PACS una richiesta profondamente diversa,  quella di una prima forma di riconoscimento legale delle  coppie omosessuali, che dovrebbe aprire la strada, in tempi  ora come ora imprevedibili, ma che per alcuni dovrebbero  essere brevi, ad una compiuta equiparazione al matrimonio  tout court del matrimonio omosessuale. Che le cose stiano  proprio così è fuor di dubbio, per le esplicite  dichiarazioni fatte dai principali rappresentanti del  movimento degli omosessuali e dai loro simpatizzanti.

L'onestà intellettuale vorrebbe allora che di questo e  solo di questo si parlasse:  se cioè abbia una sua coerenza  giuridica l'allargare l'istituto matrimoniale alle coppie  omosessuali. Ma di fatto questo discorso viene  sistematicamente eluso (pur venendo continuamente, ma  indirettamente richiamato), perché nessuno è in grado di  dare argomenti consistenti per dimostrare la necessità di  alterare in modo così plateale e radicale quella struttura  eterosessuale del matrimonio, che appartiene a tutte le  culture e a tutta la storia da noi conosciuta.

È noto che ciò a cui aspirano le coppie omosessuali  (peraltro nemmeno tutte, anzi solo una piccola parte di  esse) è, prima ancora che il riconoscimento di diritti  economici e sociali, un riconoscimento simbolico del loro  rapporto. Ma il diritto non esiste per offrire  riconoscimenti simbolici, bensì per dare risposte pubbliche  ad esigenze sociali, che superano la mera dimensione privata  dell'esistenza. Perché ad es. il diritto dà un  riconoscimento pubblico al matrimonio e non all'amicizia?  Perché l'amicizia, che pure attiva un vincolo, che può  essere in alcuni casi esistenzialmente ancora più  significativo di quello coniugale, non ha rilievo sociale,  ma esclusivamente personale. Il matrimonio invece, fondando  la famiglia, e garantendo l'ordine delle generazioni, ha un  rilievo sociale del tutto caratteristico, che ne giustifica  la giuridicizzazione.

La coppia omosessuale non crea famiglia:  lo impedisce la  sua costitutiva sterilità. Come superare questa difficoltà,  se non potenziando il carattere mimetico della coppia  omosessuale rispetto a quella eterosessuale? Di qui, la  pretesa, confusa, ma dotata di una certa qual coerenza, di  ammettere le coppie omosessuali (e in specie quelle  'sposate') all'adozione. Poco importa che la psicologia  dell'età evolutiva insista nel sottolineare quanto sia  rilevante l'esigenza per i bambini di possedere una doppia  figura genitoriale, maschile e femminile:  di fronte  all'ideologia, anche le argomentazioni della scienza vengono  messe da parte.

Siamo tutti testimoni che si è aperta una partita  decisiva, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, che ha  per oggetto la famiglia e attraverso la famiglia la stessa  identità umana. La famiglia chiede di essere difesa; ma per  difenderla non c'è bisogno di argomenti teologici o  religiosi; bastano comuni argomenti umani, perché ciò che la  famiglia tutela e promuove è innanzi tutto il bene umano.  Chi ritiene che sia giunto il tempo per ripensare in modo  assolutamente radicale la realtà della famiglia ha l'onere  di provare fino in fondo le sue tesi eversive e di non darle  per evidenti; ha il dovere di entrare in un dialogo serrato  con chi è di diverso avviso; e soprattutto deve saper e  voler rinunciare alle scorciatoie delle provocazioni e delle  manifestazioni di piazza, che ben poco aiuto possono dare al  confronto e al progresso delle idee. Sarebbe preoccupante se  nell'Italia di oggi non ci fosse più uno spazio per un tale  stile dialogico.

 

(© L'Osservatore Romano)

FRANCESCO D'AGOSTINO - Presidente dell'Unione Giuristi cattolici Italiani

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