Se ripensiamo al gesto di pagare qualcosa di piccolo in un negozio (il pane, un libro, una maglietta...) ritroviamo tanti intrecci di sguardi spensierati, di sorrisi soddisfatti, di curiosità per l'oggetto acquistato, cose tutte che si raccolgono alla cassa, e che si riassumono in genere in un “grazie! Buona giornata!”. Esiste in quel gesto una profondità inesplorata...
del 20 luglio 2009
 
Esiste un momento nella nostra giornata nel quale incontriamo lo sguardo di una persona che ci dà qualcosa e alla quale dobbiamo dare qualcosa in cambio per quel che riceviamo. Non è dunque un momento libero, di dono, ma un momento in cui chi dà sa di ricevere e sa esattamente quanto. E tuttavia, nonostante questa precisa relazione a tu per tu, in cui persino le mani a volte si sfiorano per un istante, le due persone si sentono libere, persino di sorridersi o meno. Vi è uno scambio di sguardi, in genere, accompagnato da uno scambio di monete o di banconote. E’ il momento dell’acquisto, anzi del pagamento di ciò che si è acquistato.
In realtà l’acquisto avviene prima del pagamento. E’ quasi una decisione interiore. Avviene nel momento in cui entriamo nel negozio e decidiamo che cosa prendere. In quel momento noi “acquisiamo” quell’oggetto e sentiamo che ci corrisponde, che corrisponde al nostro desiderio o, più semplicemente, al nostro bisogno: ci “serve”. Quando lo paghiamo è già nostro, in realtà. Se qualcuno ce lo “rubasse” di mano prima di averlo effettivamente pagato, l’impressione infatti sarebbe comunque quella di aver subito un furto.
Nel momento in cui paghiamo un oggetto è come se chiedessimo la ratifica ufficiale e pubblica di quella acquisizione. Allora contare gli spiccioli, aprire il portafogli, fare i conti sono tutti elementi di un piccolo rituale quotidiano. Il rituale sembra perdersi con l’uso della carta di credito, ma in realtà non è così. Si perde il gesto del contare, ma è sostituito dai codici del bancomat o dal firmare lo scontrino della carta di credito, che è gesto, se vogliamo, ancor più forte: è lasciare il proprio segno, è come stipulare e firmare un contratto alla presenza di un testimone, la persona che sta alla cassa.
Se ripensiamo al gesto di pagare qualcosa di piccolo in un negozio (il pane, un libro, una maglietta…) ritroviamo tanti intrecci di sguardi spensierati, di sorrisi soddisfatti, di curiosità per l’oggetto acquistato, cose tutte che si raccolgono alla cassa, e che si riassumono in genere in un “grazie! Buona giornata!”. Esiste in quel gesto una profondità inesplorata che mette in relazione oggetti, sentimenti e attese, fondendoli in piccoli gesti e brevi parole che rivelano molto della nostra personalità. Come le parole della poesia, che a volte sono una sorta di pedaggio per fare davvero nostre le esperienze che viviamo.
Antonio Spadaro S.I.
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