Il Pontefice fa salire sul palco di Copacabana una bambina gravemente disabile. Per l'abortista Gramaglia è solo sentimento, ma per il filosofo Esposito «non c'è amore senza verità».
Con l’intervista concessa da papa Francesco ai cronisti presenti sul volo di ritorno dal Brasile, a partire soprattutto dai giornali di riferimento del cosiddetto mondo laico si è diffuso (magari con un pizzico di malafede?) un grave malinteso. Lo sintetizza perfettamente il filosofo dell’Università di Bari Costantino Esposito in un colloquio con Piero Vietti pubblicato oggi dal Foglio.
Stando a una certa lettura delle parole del Pontefice, sembra che sotto la guida di Bergoglio i cattolici siano destinati ad abbandonare ogni pubblica battaglia sui princìpi non negoziabili per togliere il disturbo e darsi al volontariato. Ma «il fatto che il Papa dica di non avere più nulla da dire al riguardo perché la Chiesa si è già espressa chiaramente – osserva Esposito – non è uno sminuire il problema, un darlo per scontato: il Papa ci dice piuttosto che è venuto il momento di far capire perché quelle posizioni sono ragionevoli».
LA BAMBINA ANENCEFALA
Emblematico di questo malinteso è il commento che appare oggi sulla Stampa intitolato “Chiesa e aborto, dopo la guerra ora il dialogo”. Lo firma Mariella Gramaglia, una giornalista da sempre attenta ai temi di “genere”, già deputata della “sinistra indipendente” e assessore per le Pari opportunità nella giunta Veltroni a Roma, nonché docente di comunicazione all’Università di Teramo. Ebbene, la Gramaglia pare non aver digerito benissimo il fatto che il Santo Padre, durante la Messa conclusiva della Gmg a Copacabana, abbia voluto sull’altare per l’offertorio (vedi foto qui sopra) anche una coppia di genitori con una figlia gravemente handicappata incontrati il giorno prima davanti alla cattedrale di Rio de Janeiro. Scrive la giornalista: «Prendere tra le braccia una bambina anencefala, la cui madre si è rifiutata di abortire pur consapevole della durezza intransigente della propria scelta, è un giudizio? No». Ecco, il punto, forse, è proprio qui. Un abbraccio – l’amore, la carezza, quell’accoglienza tanto cara al Pontefice da spingere i media a parlare di “svolta francescana” – è un giudizio oppure no?
L’ACCOGLIENZA E IL SILENZIO
Può anche darsi che, come sostiene la Gramaglia, «qualsiasi persona “di buona volontà” avrebbe fatto lo stesso gesto nella situazione di papa Francesco». Ma se quel gesto non nasce da un giudizio, cos’è che avrebbe indotto il capo della Chiesa a portarsi sull’altare una bambina nata senza cervello per abbracciarla davanti a tutto il mondo? Uno slancio di sentimento? Difficile crederlo. Più probabile che per papa Francesco l’amore sia proprio quel giudizio che la Gramaglia non riesce o non vuole vedere.
«Dove sta il riposo dell’anima di chi osserva e ascolta? Nell’accoglienza che si sostituisce all’anatema», insiste la commentatrice, «nella luce che si punta su chi liberamente sceglie l’insegnamento della Chiesa». Luce che però dev’essere – attenzione al passaggio – «accostata al silenzio per chi percorre altre vie, dell’etica, della spiritualità, o semplicemente della laicità». Cosa resta, infatti, del messaggio del Papa se quell’abbraccio, «quell’accoglienza che si sostituisce all’anatema», non è un giudizio? Nulla. Resta solo il «silenzio».
LA MANIPOLAZIONE
Altro che “svolta”, siamo alle solite. Dalle accuse esplicita di ingerenza che andavano di moda ai tempi di Benedetto XVI, si è passati alla subdola manipolazione delle parole e dei gesti del suo successore, ma lo scopo è sempre lo stesso. Silenziare una presenza che dà fastidio. Se infatti papa Francesco abbraccia una bambina che avrebbe dovuto essere abortita – e abbracciandola ne afferma la dignità –, come si fa a continuare a sostenere che in fondo «si tratta del rispetto di una scelta» e nulla più? Meglio fingere che in quell’abbraccio non ci sia alcun giudizio: solo così la bambina senza cervello, semplicemente, non esisterà più, o quanto meno non c’entrerà più nulla con la mia scelta. «Finché l’uno non si fa due», sostiene ancora la Gramaglia, tra mamma e bambino «uno solo è il corpo, una sola è la coscienza, uno solo è il percorso di responsabilità».
NON C’È AMORE SENZA VERITÀ
Al contrario, sembra ribattere Esposito dalle pagine del Foglio, per papa Francesco l’amore è proprio un giudizio (per la verità il filosofo parla del «discorso sui poveri» di Bergoglio, ma non appare una forzatura allargare la sua analisi ai non nati, i soggetti più “ultimi” e indifesi fra tutti). «Noi post moderni pensiamo sempre che ci sia un’estraneità tra amore e giudizio», avverte Esposito. «Parlando al Venerdì Santo, ma anche nell’ultima enciclica sulla fede, Francesco ha spiegato bene invece che non è possibile l’amore senza la verità, perché si ridurrebbe a essere solo feeling, e alla lunga si esaurirebbe, ma anche che non c’è verità senza amore: e la verità è che Dio ci abbraccia, che tu sei voluto e sei grande. Insomma, “Dio ci giudica amandoci”».
«QUELLO SGUARDO È UN GIUDIZIO»
«Pensiamo al Papa a Lampedusa, o nella favela, o con gli stessi giornalisti», prosegue il professore. «Che cosa c’è dietro quel suo modo di stare? Una sua bontà? Non solo: quello sguardo è un giudizio». E che giudizio. Come ricorda Esposito, incontrando i movimenti e le associazioni ecclesiali a maggio il Papa ha detto che per lui il povero, l’ultimo, l’indifeso «è la carne di Cristo». È per questo, e non per chissà quale “feeling” o per chissà quale strategia politico-mediatica, che la Chiesa «tocca, bacia, ama», dice il Santo Padre. Vale anche per quella bambina nata senza cervello.
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